Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30121 del 30/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 30/12/2011, (ud. 07/12/2011, dep. 30/12/2011), n.30121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIULIA DI COLLOREDO 4 6-48, presso lo studio dell’Avvocato

DE PAOLA GABRIELE, che lo rappresenta e difende, giusta procura alle

liti in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. rep. 319 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

03/07/2009, depositato il 02/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito l’Avvocato MATTIOLI ANNA (per delega dell’Avvocato DE PAOLA

GABRIELE), difensore del ricorrente, che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. UMBERTO APICE che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che G.P., con ricorso del 7 aprile 2011, ha impugnato per cassazione – deducendo un unico motivo di censura, illustrato con memoria -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Bologna depositato in data 2 marzo 2010, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del G. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha respinto la richiesta di indennizzo;

che resiste, con controricorso, il Ministro dell’economia e delle finanze;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 6.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 17 marzo 2009, era fondata sui seguenti fatti: a) il G., appartenente alle Forze Armate ed asseritamente titolare del diritto alla indennità di missione equipollente a quella erogata a militari di altre nazionalità partecipanti alle missioni in Albania e Kosovo, aveva proposto – con ricorso del 26 aprile 2000 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio;

b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza del 16 dicembre 2008;

che la Corte d’Appello di Bologna, con il suddetto decreto impugnato, ha respinto la domanda, osservando: “…appare fondata nella specie l’eccezione preliminare.

L’incertezza ed il patema d’animo non sembrano infatti prospettabili in una fattispecie, quale quella in esame, nella quale, sin dal ricorso introduttivo, la fondatezza della pretesa viene subordinata alla non manifesta infondatezza della prospettazione d’incostituzionalità delle norme da applicarsi e successive pronunce giurisprudenziali, disattendendola, ne abbiano escluso in radice la fondatezza”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il motivo di censura, viene denunciata dal ricorrente come illegittima, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sia l’affermata non indennizzabilità della irragionevole durata del processo per la mera prospettazione della questione di legittimità costituzionale della disciplina applicabile, sia l’affermata piena consapevolezza della manifesta infondatezza della pretesa fatta valere dinanzi al Giudice amministrativo, nonchè l’apoditticità della motivazione;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte – come nella specie – sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, le sentenze nn. 9938 del 2010, 25595 del 2008, 21088 del 2005);

che, nella specie, i Giudici a quibus hanno sostanzialmente – ed erroneamente – fondato la ratio decidendi, in violazione di tutti i su richiamati principi, soltanto sull’esito del giudizio presupposto, senza accertare la sussistenza dei presupposti della fattispecie di abuso del processo sulla base delle prove eventualmente dedotte dal Ministro resistente;

che, inoltre, gli stessi Giudici hanno erroneamente ritenuto che “L’incertezza ed il patema d’animo non sembrano … prospettabili in una fattispecie, quale quella in esame, nella quale, sin dal ricorso introduttivo, la fondatezza della pretesa viene subordinata alla non manifesta infondatezza della prospettazione d’incostituzionalità delle norme da applicarsi”;

che infatti, la L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, comma 1, lett. a) e b), (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) – nel disporre che “Nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale una delle parti o il Pubblico Ministero possono sollevare questione di legittimità costituzionale mediante apposita istanza, indicando: a) le disposizioni della legge o dell’atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione viziate da illegittimità costituzionale; b) le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali, che si assumono violate” – legittima pienamente la parte a sollevare questione di legittimità costituzionale della norma da applicare nel caso concreto, anche “nella parte in cui non prevede” la fattispecie dedotta in giudizio e, quindi, il diritto ivi fatto valere, senza che dall’esercizio di tale legittima facoltà possa desumersi l’insussistenza dell’ansia e della sofferenza connesse al protrarsi irragionevole del processo, essendo vero semmai esattamente il contrario, tenuto conto della maggiore complessità e della maggiore incertezza circa l’esito definitivo del processo, allorquando si invochi l’intervento del Giudice delle leggi;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alle censure accolte del ricorso principale;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo presupposto de quo ha avuto una durata complessiva di otto anni ed otto mesi circa (dal 26 aprile 2000, data del ricorso introduttivo del processo presupposto, al 16 dicembre 2008, data del deposito della sentenza), sicchè – detratti tre anni di durata ragionevole di tale processo – residuano cinque anni ed otto mesi circa di durata irragionevole indennizzabile;

che, secondo consolidato orientamento, questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che, nella specie, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 va determinato in Euro 4.900,00 per i cinque anni ed otto mesi circa di irragionevole durata, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4^, e B, paragrafo 1^, allegate; al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, in complessivi Euro 1.150,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 380,00 per diritti ed Euro 720,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 4.900,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.150,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 380,00 per diritti ed Euro 720,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 7 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2011

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