Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3011 del 07/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3011 Anno 2018
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: NAPOLITANO LUCIO

ORDINANZA
sul ricorso 24766-2016 proposto da:
COMUNE DI ISCHIA, in persona del Sindaco, elettivamente cO .4domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la
CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e
difeso dall’avvocato GENN ARO DI MAGGIO;
– ricorrente contro
SWEET TRAVEL SRL, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dagli avvocati SILVIO TRANI, GIOVANNA
DI SANTO;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 07/02/2018

avverso la sentenza n. 4181/51/2016 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di NAPOLI, depositata il 05/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 23/11/2017 dal Consigliere Dott. LUCIO
NAPOLITANO.

La Corte,
costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.,
come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del
d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 197/2016;
dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo
Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente
motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:
Con sentenza n. 4181/51/2016, depositata il 5 maggio 2016, non
notificata, la CTR della Campania rigettò l’appello proposto dal
Comune di Ischia nei confronti di Sweet Travel S.r.l. (di seguito
società) avverso la sentenza della CTP di Napoli, che aveva accolto il
ricorso proposto dalla società avverso avviso di pagamento emesso
dall’ente locale per TARSU in ordine all’anno d’imposta 2010 e per
acconto TARES 2013.
Avverso la sentenza della CTR il Comune Ischia ha proposto ricorso
per cassazione affidato a due motivi.
La società resiste con controricorso.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia «Nullità — violazione e falsa
applicazione di norme di legge — violazione e falsa applicazione art. 63,
70, 71 e 72 D..lgs. 507/1993 in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., per
avere la pronuncia impugnata ignorato la sussistenza di pronunce
intervenute tra le stesse parti (CTR della Campania n. 227/44/10 e
339/28/2012), passate in giudicato, che, in relazione a pregresse
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FATTO E DIRITTO

annualità e con riferimento alla stessa unità immobiliare, avevano
ritenuto legittimi gli avvisi di pagamento emessi dal Comune, senza che
fosse intervenuto alcun mutamento delle circostanze di fatto relative
alla detenzione dell’unità immobiliare.
Il motivo deve ritenersi inammissibile in primo luogo per carenza di

esterno tra le parti, non trascritte nel loro contenuto, né allegate al
ricorso, senza che neppure ne risulti indicato tempo e luogo della
relativa produzione nel giudizio di merito (sull’onere di autosufficienza
del ricorso per cassazione riguardo all’eccepita sussistenza di giudicato
esterno, cfr., più di recente, Cass. sez. 5, 11 febbraio 2015, n. 2617;
Cass. sez. 2, 23 giugno 2017, 15737), in secondo luogo essendo stato
dedotto il vizio di violazione di legge in modo non coerente con
l’invocata sussistenza del giudicato esterno, che avrebbe dovuto essere
ricondotto alla violazione dell’art. 2909 c.c.
Del pari è inammissibile il secondo motivo con il quale il Comune,
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 63, 70, 71 e 72
D..lgs. 507/1993 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c..
Di là dall’erroneo riferimento al parametro normativo di cui all’art.
360, comma 1, n. 4, c.p.c., lamentandosi in realtà violazione di norme
di diritto sostanziale, deve rilevarsi che, sub specie del vizio di violazione
o falsa applicazione di norme di diritto, l’ente locale mira piuttosto a
sollecitare una diversa valutazione degli elementi istruttori rispetto al
governo fattone dal giudice di merito, ciò che è precluso in sede di
legittimità (tra le molte, più di recente, si veda, Cass. sez. 5, 4 agosto
2017, n. 19547).
La CTR, infatti, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede,
ha ritenuto che non fosse provata in maniera univoca l’occupazione
dell’area in oggetto da parte della società sulla base degli elementi di
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autosufficienza in relazione alle pronunce invocate come giudicato

prova offerti dall’ente impositore al quale faceva carico il relativo onere
probatorio.
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in Euro 1100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15 per cento, agli esborsi, che liquida in euro 200,00,
ed agli accessori di legge, se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 — bis dello stesso
articolo 13.

P.Q.M.

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