Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30109 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. I, 21/11/2018, (ud. 17/10/2018, dep. 21/11/2018), n.30109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16720/2014 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in Roma, via G. Pierluigi

da Palestrina n. 55, presso lo studio dell’avvocato Mariano Peppino,

che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Mentana, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, via Dei Castani n. 195, presso lo studio

dell’avvocato Galati Bruno, che lo rappresenta e difende, giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2444/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

30/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/10/2018 dal Cons. Dott. FRANCESCO TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

l’arch. M.G. ricorre per cassazione, con unico motivo, avverso la sentenza della corte d’appello di Roma depositata il 30/4/2013, non notificata, che ha rigettato il gravame del medesimo nei confronti della decisione con la quale il tribunale di Tivoli, per quanto ancora rileva, aveva dichiarato inammissibile la domanda di indebito arricchimento formulata contro il comune di Mentana, relativamente alle prestazioni eseguite per il collaudo di alcuni lavori di ristrutturazione della locale (OMISSIS);

il comune ha replicato con controricorso;

il ricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 191, commi 1 e 4 T.U.E.L. e degli artt. 2041 e 2042 c.c., per avere la corte d’appello affermato che la sussistenza dell’impegno contabile assunto con la determinazione dirigenziale di affidamento dell’incarico, recante l’indicazione del capitolo di bilancio cui imputare la spesa con visto di regolarità contabile, non integrava i presupposti per l’applicazione della norma;

nello specifico addebita alla Corte d’appello di essersi sviluppata in una contraddizione, avendo dapprima stabilito che il responsabile del servizio, conseguita l’esecutività del provvedimento di spesa, doveva comunicare al terzo l’impegno di copertura finanziaria e poi, invece, affermato che, in mancanza di un atto contrattuale giuridicamente vincolante per l’amministrazione, il funzionario operante non poteva ordinare la prestazione;

in termini concreti sostiene che l’avvenuta comunicazione dell’impegno di spesa era ricavabile dalla fattura n. (OMISSIS), emessa dal ricorrente medesimo e recante i riferimenti previamente comunicati;

il motivo è in parte inammissibile, poichè non coglie la ratio dell’impugnata sentenza, e in parte comunque infondato;

occorre premettere che la corte d’appello ha accertato che la prestazione era stata ordinata dal funzionario responsabile del comune di Mentana in difetto di un’obbligazione derivante da un atto contrattualmente vincolante per l’amministrazione, mediante convocazione (risultante da apposito verbale) della visita periodica di collaudo del 28-12-2004;

la circostanza non è smentita dal ricorso e rende irrilevante la questione dell’impegno contabile di spesa, visto che l’impegno di spesa deve pur sempre conseguire a un atto contrattuale giuridicamente vincolante per il comune;

da questo punto di vista deve essere puntualizzato che il contratto si rende necessario in quanto il funzionario responsabile del servizio non può altrimenti impegnare il comune sul piano delle obbligazioni contrattuali;

ora la ratio dell’impugnata sentenza si rinviene nella negazione in tal guisa della possibilità di proporre l’azione di indebito arricchimento contro l’ente locale, e tanto è conforme alla giurisprudenza di questa Corte;

infatti, in tema di assunzione di obbligazioni da parte degli enti locali, qualora le obbligazioni contratte non rientrino nello schema procedimentale di spesa, insorge un rapporto obbligatorio direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, per difetto del requisito della sussidiarietà, sicchè resta esclusa l’azione di indebito arricchimento nei confronti dell’ente, il quale può soltanto riconoscere a posteriori il debito fuori bilancio, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 194 (cd. T.U.E.L.), nei limiti dell’utilità e dell’arricchimento per l’ente stesso puntualmente dedotti e dimostrati (cfr. per tutte Cass. n. 24860-15, Cass. n. 12608-17); peraltro, tale riconoscimento può avvenire solo espressamente, con apposita deliberazione dell’organo competente, e non può essere desunto anche dal mero comportamento tenuto dagli organi rappresentativi (oltre tutto nella specie neppure dedotto), essendo esso insufficiente a esprimere un apprezzamento di carattere generale in ordine alla conciliabilità dei relativi oneri con gli indirizzi di fondo della gestione economico-finanziaria dell’ente e con le scelte amministrative compiute;

se ne ricava che il funzionario pubblico non può attivare un impegno di spesa per l’ente locale senza un previo contratto e senza l’osservanza dei controlli contabili relativi alla gestione dello stesso, ossia al di fuori dello schema procedimentale previsto dalle norme cosiddette di evidenza pubblica; e proprio questo nella specie è stato accertato dal giudice del merito;

in simile eventualità, degli effetti di tale attività di spesa verso il terzo risponde proprio e soltanto il funzionario inadempiente, nei confronti del quale, pertanto, è tenuto ad agire il terzo interessato;

l’azione di ingiustificato arricchimento dell’ente locale è preclusa dalla carenza del necessario requisito della sussidiarietà, notoriamente inesistente quando vi sia un’altra azione esperibile non solo contro l’arricchito ma anche verso un distinto soggetto (cfr. Cass. n. 80-17);

le spese processuali conseguono alla soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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