Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30109 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/11/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 19/11/2019), n.30109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 3442 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

BCC Umbria Credito Cooperativo società cooperativa (C.F.:

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

G.P. rappresentato e difeso dagli avvocati Lanfranco Bricca

(C.F.: BRC LFR 51R17 C990G) e Tommaso De Dominicis (C.F. DDM TMS

57H12 H501Q);

– ricorrente –

nei confronti di:

M.L. (C.F.: (OMISSIS));

S.C.A. avvocato (C.F.: (OMISSIS)) entrambi

rappresentati e difesi dal secondo;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Siena n. 1273/2017,

pubblicata in data 15 dicembre 2017 (e notificata in data 18

dicembre 2017);

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 11 luglio 2019 dal consigliere Tatangelo Augusto.

Fatto

RILEVATO

che:

Nel corso di un procedimento di espropriazione immobiliare promosso nei suoi confronti dalla Crediumbria soc. coop. (oggi BCC Umbria Credito Cooperativo società cooperativa), M.L. ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che aveva disposto una nuova fissazione della vendita del bene pignorato, a prezzo ribassato.

Sul merito dell’opposizione il Tribunale di Siena ha dichiarato cessata la materia del contendere, avendo frattanto il giudice dell’esecuzione revocato l’ordinanza impugnata (con fissazione di ulteriore nuova vendita ad un prezzo più elevato, a seguito della rinnovazione della stima dell’immobile). Ha peraltro condannato la banca opposta al pagamento delle spese di lite (con distrazione in favore del procuratore dell’opponente ai sensi dell’art. 93 c.p.c., avvocato S.C.A.), in base al cd. principio della soccombenza virtuale.

Ricorre BCC Umbria Credito Cooperativo società cooperativa, sulla base di tre motivi.

Resistono con controricorso il M. ed il suo avvocato distrattario, S.C..

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente fondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

I controricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Il Collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.”.

Con il secondo motivo si denunzia “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 91 c.p.c.”.

I primi due motivi del ricorso sono logicamente connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Essi sono manifestamente fondati.

Si premette che risulta incontestata la dichiarazione di cessazione della materia del contendere sul merito dell’opposizione, correttamente dichiarata dal giudice del merito a seguito della revoca dell’ordinanza opposta (con pronuncia non oggetto di alcuna censura).

La regolamentazione dell’onere delle spese del giudizio andava, ed è stata, di conseguenza, effettuata sulla base del cd. principio della soccombenza virtuale.

Ma la soccombenza virtuale della banca opposta, come da questa dedotto, è stata effettivamente ritenuta sussistente in virtù del rilievo di un vizio dell’ordinanza stessa (la violazione della disposizione di cui all’art. 591 c.p.c., nella parte in cui pone limiti al possibile ribasso del prezzo base della vendita) che non era tra quelli specificamente indicati tra i motivi di opposizione avanzati dal debitore.

Inoltre, il giudice del merito non ha neanche correttamente applicato la disposizione richiamata, avendo ritenuto illegittimo il ribasso in quanto il nuovo prezzo base era inferiore al quarto dell’originario prezzo di stima. Tale limite non è però affatto previsto dall’art. 591 c.p.c. (nella formulazione applicabile alla fattispecie, ratione temporis), che si limita a consentire successivi ribassi del prezzo base, ciascuno nella misura massima di un quarto dell’importo del precedente prezzo base, di modo che è ben possibile (e del tutto legittimo) che, dopo una serie di tentativi di vendita andati deserti (come avvenuto nella specie: lo fa presente la banca ricorrente a pag. 23 del ricorso, sostanzialmente dolendosi dell’indicato errore in diritto del giudice del merito; gli stessi controricorrenti danno del resto atto dei numerosi tentativi di vendita effettuati, a pag. 23 del controricorso), seguiti da costanti ribassi, il prezzo iniziale di stima possa ridursi ad un importo inferiore ad un quarto dell’originario prezzo di stima.

Il principio della cd. soccombenza virtuale non è stato, in definitiva, correttamente applicato dal giudice del merito, con la conseguenza che la decisione impugnata va cassata (ovviamente con riguardo al solo capo relativo alla regolamentazione delle spese di lite).

Non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto ai fini della decisione della lite, che può essere definita con la integrale compensazione delle spese stesse.

E’ infatti sufficiente rilevare, in proposito, che certamente il motivo di opposizione proposto (in via principale) dal debitore opponente, tendente ad ottenere la dichiarazione di estinzione della procedura a seguito dell’eccessivo ribasso del prezzo di vendita rispetto a quello originario, benchè tale prezzo fosse ancora fissato in misura superiore agli Euro 88.000,00, non avrebbe potuto trovare accoglimento, ed era anzi manifestamente infondato, non potendosi in alcun modo ritenere sussistenti, in tale situazione, i presupposti per la chiusura anticipata della procedura esecutiva di cui all’art. 614 bis disp. att. c.p.c., come del resto implicitamente riconosciuto sia del giudice del merito, sia dalle stesse parti (la dichiarazione di cessazione della materia del contendere per la revoca dell’ordinanza opposta a seguito di nuova ordinanza di vendita a diverso prezzo, presuppone infatti la legittima prosecuzione della procedura esecutiva; d’altronde tale ultima decisione, e la stessa legittimità della nuova fissazione della vendita a prezzo più elevato, non sono state specificamente censurate). D’altronde, neanche il motivo di opposizione proposto in via subordinata avrebbe potuto trovare integrale accoglimento, non avendo fondamento alcuno la richiesta di sospensione per un periodo di almeno dodici mesi della procedura esecutiva.

Peraltro, deve tenersi conto della circostanza che alla richiesta di fissazione di nuova vendita del bene pignorato ad un prezzo più elevato di quello conseguente ai ripetuti ribassi, previa rinnovazione delle operazioni di stima (richiesta comunque contenuta nel motivo di opposizione proposto in via subordinata), poi accolta dal giudice dell’esecuzione, abbia sostanzialmente in qualche modo aderito la stessa banca opposta (la quale aveva essa stessa chiesto la rinnovazione delle operazioni di stima per individuare il valore attuale di mercato del bene, come emerge dalle sue difese trascritte nel ricorso, a pag. 5 e 6; comunque non risultano contestazioni in relazione al provvedimento del giudice dell’esecuzione che ha di fatto disposto la nuova vendita al prezzo attuale di mercato del bene, determinando la cessazione della materia del contendere, il che è assorbente).

Ciò determina, a giudizio di questa Corte, se non un’ipotesi di reciproca soccombenza parziale delle parti, quanto meno gli eccezionali motivi richiesti ai fini dell’integrale compensazione delle spese di giudizio dall’art. 92 c.p.c., comma 2 (nella formulazione applicabile alla fattispecie, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 19 aprile 2018, che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, nel testo modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, diverse da quelle richieste dalla norma vigente, cioè diverse dalla soccombenza reciproca delle parti, dall’assoluta novità della questione trattata o dal mutamento della giurisprudenza sulle questioni dirimenti).

Quanto osservato è quindi sufficiente per la decisione del merito della controversia (pendente esclusivamente in relazione alle spese del giudizio), nel senso indicato, con assorbimento del terzo motivo del ricorso (con il quale si denunzia “… violazione e/o falsa applicazione dell’art. 93 c.p.c.”).

Analoghe considerazioni (unitamente alla considerazione della concreta evoluzione delle vicende processuali) inducono alla integrale compensazione anche delle spese del giudizio di legittimità.

2. Il ricorso è accolto.

La sentenza impugnata è cassata in relazione al capo relativo alle spese e, decidendo nel merito, sono dichiarate integralmente compensate le spese dell’intero giudizio, ivi incluse le spese di quello di legittimità.

PQM

La Corte:

– accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata in relazione al capo sulle spese e, decidendo nel merito, dichiara integralmente compensate tra le parti, le spese dell’intero giudizio, ivi incluso quello di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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