Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30104 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. I, 21/11/2018, (ud. 23/05/2018, dep. 21/11/2018), n.30104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1643/2014 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in Roma, Corso Trieste

n. 87, presso lo studio dell’avvocato Antonucci Arturo, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Costa Vittorio e

Vassalle Roberto, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Lungotevere Arnaldo da Brescia n. 9, presso lo studio dell’avvocato

Mannocchi Massimo, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati Corsi Francesco, Iozzelli Elena, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 931/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 18/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/05/2018 dal Cons. Dott. VALITUTTI ANTONIO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha chiesto il

rigetto del ricorso principale con assorbimento di quello

incidentale condizionato.

Spese del giudizio di legittimità a carico del ricorrente

F..

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 28 giugno 2004, F.A. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Massa il Monte del Paschi di Siena s.p.a. (incorporante la Banca Toscana s.p.a.), nonchè la nuova Banca Toscana s.p.a., chiedendo dichiararsi la nullità, o pronunciarsi l’annullamento o la risoluzione, dei contratti di investimento finanziario stipulati con le suddette banche, e condannarsi le convenute alla restituzione all’istante degli importi versati ed al risarcimento dei danni subiti. Il Tribunale adito, con sentenza n. 714/2008, rigettava la domanda, compensando integralmente tra le parti le spese di lite.

2. Con sentenza n. 931/2013, depositata il 18 luglio 2013, la Corte d’appello di Genova rigettava l’appello principale proposto dal F. ed accoglieva parzialmente l’appello incidentale del Monte dei Paschi di Siena, compensando per un quarto le spese di entrambi i gradi del giudizio, che poneva – per i restanti tre quarti – a carico dell’appellante principale. La Corte riteneva tardiva l’eccezione di mancanza del contratto quadro, che riteneva comunque valido in quanto recante la sottoscrizione del cliente, reputava irrilevante la mancanza di diversi ordini relativi agli investimenti azionari, non costituendo gli stessi atti richiedenti la forma scritta ad substantiam, e considerava validi gli ordini a firma disconosciuta dal F., non avendo il medesimo reiterato il disconoscimento in appello ed avendoli comunque ratificati, riscuotendo frutti e cedole, riscattando le polizze e disinvestendo alcune gestioni patrimoniali.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso F.A. nei confronti della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., affidato a sedici motivi, illustrati con memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c.. La resistente ha replicato con controricorso, contenente altresì ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, F.A. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

1.1. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello non si sia pronunciata sull’eccezione di difetto di carenza di rappresentanza processuale in capo al sig. L.C.P., costituitosi in giudizio in primo grado per la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., sebbene tale eccezione fosse stata proposta dall’appellante nella prima udienza (25 giugno 2009) dopo la costituzione dell’istituto di credito, e fosse stata reiterata in comparsa conclusionale.

1.2. Il motivo è infondato per due ordini di ragioni.

1.2.1. In primo luogo, deve invero, osservarsi che l’eccezione in parola ha carattere meramente processuale, investendo il potere di rappresentanza in giudizio ex art. 75 c.p.c., di colui che si è costituito per la banca. E il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali, ma solo su domande ed eccezioni sostanziali (Cass., 25/01/2018, n. 1876; Cass., 26/09/2013, n. 22083).

1.2.2. In secondo luogo, deve considerarsi che il difetto di legittimazione processuale della persona fisica, che agisca in giudizio in rappresentanza di un ente, può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato dell’effettiva rappresentanza dell’ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare l’operato del “falsus procurator” (Cass., 15/11/2016, n. 23274; Cass., 18/03/2015, n. 5343).

Ebbene, nel caso di specie, l’eventuale difetto di legittimazione processuale è stato sanato con la costituzione nel giudizio in appello, avvenuta con la memoria di replica – trascritta sul punto nel controricorso dell’istituto di credito (p. 25) – del legale rappresentante della banca Monte di Paschi di Siena, che ha espressamente ratificato l’attività processuale compiuta dal L.C.. Tale ratifica è stata, altresì, rinnovata dalla banca resistente nel presente giudizio di legittimità, con eguale dichiarazione di fare propri tutti gli atti in precedenza posti in essere, resa dalla medesima persona fisica, legale rappresentante dell’istituto di credito, costituitasi per l’ente (v. controricorso, p. 26).

1.3. Il mezzo va, pertanto, rigettato.

2. Con il secondo e terzo motivo, F.A. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 183,184,345 c.p.c. e art. 1421 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. Lamenta l’istante che il giudice di appello abbia ritenuto tardiva l’eccezione di nullità degli investimenti per cui è causa per mancanza di un valido contratto quadro, poichè non redatto in forma scritta ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, ancorchè siffatta eccezione fosse stata, per contro, proposta dal F. fin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado, e sebbene si trattasse di nullità rilevabile dal giudice anche d’ufficio.

2.2. Le censure, benchè in astratto condivisibili, atteso che la nullità di protezione – come quella che deriva dal dedotto difetto di forma scritta del contratto quadro del D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 23 – è rilevabile d’ufficio (Cass. Sez. U., 12/12/2014, nn. 26242 e 26243), non possano, tuttavia, comportare in concreto – di per sè la cassazione dell’impugnata sentenza, atteso che la decisione di appello si fonda, altresì, su di un’autonoma ed ulteriore ratio decidendi, concernente il merito della predetta eccezione di nullità. Tale ratio costituisce, invero, oggetto del quarto motivo di ricorso, che si passa a trattare.

2.3. Le doglianze non possono, di conseguenza, trovare accoglimento.

3. Con il quarto motivo di ricorso, il F. denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per la causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.1. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello – la quale, benchè avesse dichiarato inammissibile l’eccezione di nullità del contratto quadro per difetto di forma scritta, si è poi pronunciata nel merito, ingenerando nell’istante l’interesse a ricorrere anche avverso tale statuizione, ulteriore rispetto a quella in rito – abbia omesso di esaminare i fatti decisivi della controversia costituiti dalla tardività – regolarmente eccepita dal ricorrente – della produzione, da parte della banca, del contratto quadro (produzione n. 45), dal disconoscimento delle sottoscrizioni in calce al predetto documento attribuite al F., e della mancanza della data in detto contratto, in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.2. Il motivo, ammissibile sotto il profilo dell’interesse a ricorrere (art. 100 c.p.c.), è, tuttavia, inammissibile, sotto il profilo della struttura e della funzione del denunciato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.2.1. Sotto il primo profilo, va osservato, infatti, che il principio secondo cui, qualora il giudice, dopo una statuizione d’inammissibilità – o declinatoria di giurisdizione o di competenza con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse a impugnarla, e conseguentemente è inammissibile, per difetto di interesse, la impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato – oltre che sulla questione processuale anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata (Cass. Sez. U., 20/02/2007, n. 3840; Cass. Sez. U., 17/06/2013, n. 15122, Cass., 19/12/2017, n. 30393), è applicabile esclusivamente nell’eventualità in cui il giudice abbia negato la propria “potestas iudicandi” per una ragione preclusiva di ogni esame del merito della domanda (o dell’impugnazione) proposta.

Tale principio non è, per converso, applicabile nell’eventualità ricorrente nella specie – nella quale il giudice del gravame, lungi dallo spogliarsi dell’esame del merito dei motivi, li abbia specificamente presi in considerazione, pervenendo alla loro reiezione, all’esito di una ponderata valutazione di merito. Con la conseguenza che, ove il soccombente abbia censurato la sentenza impugnata unicamente nella parte in cui ha rigettato il primo motivo di appello – concernente la statuizione pregiudiziale – e nulla abbia dedotto quanto alla motivazione che sorregge il rigetto del secondo motivo – avente ad oggetto il merito della stessa questione – il ricorso è inammissibile per carenza di interesse (Cass., 16/10/2012, n. 17683).

3.2.2. Posto, pertanto l’interesse, del F. a ricorrere avverso la decisione nel merito sull’eccezione di nullità, fondata su di una accurata disamina del motivo di appello a sostegno della stessa, la censura è, nondimeno inammissibile sotto il profilo concernente la congruenza del motivo in relazione al vizio denunciato.

Ed invero, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Per converso, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., 27/11/2014, n. 25216; Cass., 11/04/2017, n. 9253; Cass. Sez. U., 21/02/2017, n. 17619).

Ed inoltre, nel paradigma del vizio come configurato dalla novella succitata, stante l’inequivoco riferimento ad un “fatto”, non è inquadrabile neppure la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive delle parti (Cass., 14/06/2017, n. 14802).

3.2.3. Tanto premesso in via di principio, non può revocarsi in dubbio che – nel caso di specie – l’omesso esame dell’eccezione di tardività della produzione del contratto quadro, contenuta nella memoria di controreplica dell’attore, del D.Lgs. n. 5 del 2003, ex art. 7, nonchè del disconoscimento della sottoscrizione del F., nonchè della mancanza di data nel documento contenente il contratto quadro, non costituiscano fatti storici controversi, bensì allegazioni difensive relative ad eccezioni proposte e ad atti istruttori (documento contenente il contratto quadro), non riconducibili al paradigma del vizio prefigurato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.2.4. Nè la censura può accogliersi sotto il diverso profilo dedotto nell’illustrazione del motivo – dell’omissione di pronuncia, non essendo tale vizio configurabile – come dianzi detto -in relazione a questioni processuali (Cass., 25/01/2018, n. 1876; Cass., 26/09/2013, n. 22083).

3.3. La doglianza in esame va, pertanto, rigettata.

4. Con il quinto motivo di ricorso, il F. denuncia la violazione degli artt. 1325,1350,1418,2697,2704 c.c., D.Lgs. n. 98 del 1998, art. 23, art. 30 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1. L’esponente lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto infondata l’eccezione di nullità del contratto quadro, per difetto di forma scritta, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, sebbene il modulo contrattuale recasse la sola firma (apocrifa) del F., e non anche quella del rappresentante dell’istituto di credito, avendo – secondo la Corte di merito – la banca mostrato comunque di volersene valere, producendolo in giudizio. Trattandosi, per contro, di atto richiedente la forma scritta ad substantiam, sarebbe stata, invece, necessaria – a parere del ricorrente – la sottoscrizione anche da parte di un rappresentante della banca, non potendo, peraltro, la produzione del contratto in giudizio sanare la nullità degli investimenti precedentemente posti in essere.

4.2. La censura è infondata.

4.2.1. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, invero, di recente affermato – al riguardo – che, in tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23,va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma. Ne discende, pertanto, che tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti (Cass. Sez. U., 16/01/2018, n. 898; Cass. Sez. U., 23/01/2018, n. 1653).

4.2.2. Alla luce di tali principi, pertanto, la doglianza del ricorrente, relativa alla mancanza di sottoscrizione del contratto quadro da parte dell’intermediario, si palesa infondata e va disattesa.

5. Con il settimo motivo di ricorso – che riveste caratteere prioritario rispetto al sesto – F.A. denuncia la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23,artt. 2725 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

5.1. Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto che, oltre al contratto quadro, non richiedessero la forma scritta ad substantiam anche i singoli ordini di investimento in prodotti finanziari e le polizze “unit linked”,a suo dire del pari regolate – anche quanto all’onere di forma – dal D.Lgs. n. 58 del 1998. Di più, la sottoscrizione apposta su tali ordini e polizze – come espressamente dedotto in primo grado, e ribadito con il secondo e quarto motivo di appello – sarebbe stata disconosciuta dal F.; talchè di tali presunti ordini la Corte non avrebbe potuto tenere conto, atteso che – ai sensi dell’art. 2702 c.c. – il disconoscimento della sottoscrizione priva la scrittura privata di qualsiasi efficacia probatoria.

5.2. Il mezzo è infondato.

5.2.1. Va osservato, in proposito, che – secondo il costante insegnamento di questa Corte – la prescrizione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23, secondo cui i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento debbono essere redatti per iscritto a pena di nullità del contratto, deducibile solo dal cliente, attiene al solo contratto-quadro, che disciplina lo svolgimento successivo del rapporto volto alla prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari, e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario. La validità di tali ordini non è, difatti, soggetta a requisiti di forma, non rilevando che l’intermediario abbia violato le regole di condotta concernenti le informazioni (attive e passive) nei confronti del cliente (cfr., ex plurimis, Cass., 22/12/2011, n. 28432; Cass., 13/01/2012, n. 384; Cass., 09/08/2017, n. 19759). E neppure – ove la previsione contenuta nel contratto quadro richiami ai sensi dell’art. 1352 c.c., la possibilità di dare all’intermediario ordini orali, secondo quanto prevede il regolamento Consob n. 11522/98, imponendo alla banca intermediaria di registrare su nastro magnetico, o altro supporto equivalente, gli ordini inerenti alle negoziazioni in valori mobiliari impartiti telefonicamente dal cliente – la documentazione attraverso la registrazione dell’ordine costituisce un requisito di forma “ad probationem” degli ordini suddetti, ma semplicemente uno strumento atto a facilitare la prova, altrimenti più difficile, dell’avvenuta richiesta di negoziazione dei valori, con il conseguente esonero da ogni responsabilità quanto all’operazione da compiere (Cass., 08/02/2018, n. 3087).

Nè è stato neppure dedotto in giudizio – nel caso di specie – che il contratto quadro prevedesse espressamente la forma scritta ad substantiam o ad probationem anche per gli ordini di investimenti, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1352 c.c. (Cass. n. 19759/2017).

5.2.2. Ne discende che, non vertendosi – con riferimento ai singoli ordini di investimento ed alle polizze “unit linked” – in una ipotesi nella quale sia richiesta, per legge o per volontà delle parti, la forma scritta “ad probationem” ovvero “ad substantiam”, non sussiste alcun onere, per colui che intenda giovarsi dei documenti disconosciuti, di proporre l’istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c., ben potendosi avvalere della prova testimoniale e di quella per presunzioni per dimostrare l’esistenza, il contenuto e la sottoscrizione del documento medesimo (cfr. Cass., 16/10/2017, n. 24306).

5.3. La censura va, di conseguenza, disattesa.

6. Resta assorbito – in forza delle considerazioni suesposte – il sesto motivo di ricorso, con il quale il F. – denunciando la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 25 bis – censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondato il motivo di appello con il quale il medesimo aveva dedotto che le suddette polizze “unit linked”, in quanto collegate a fondi comuni di investimento, dovessero essere assoggettate alla normativa sugli strumenti finanziari prevista dal D.Lgs. n. 58 del 1998, anche in relazione all’onere di forma scritta ad substantiam.

7. Con l’ottavo motivo di ricorso, F.A. denuncia la violazione degli artt. 2697,2702 c.c. e art. 216 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

7.1. Il ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui non ha attributo rilievo alcuno al disconoscimento, oltre che degli ordini di investimento, dello stesso contratto quadro – prodotto quale documento n. 45 dalla banca – ovverosia del contratto di negoziazione, disconosciuto dall’investitore a seguito della notifica della memoria di controreplica della banca, del D.Lgs. n. 5 del 2003, ex art. 7, notificata alla controparte il 30 dicembre 2004. Di più, tale disconoscimento sarebbe stato reiterato dal F. nei motivi di appello, con la conseguenza che il contratto in questione avrebbe dovuto essere ritenuto del tutto privo di effetti dal giudice di seconde cure.

7.2. La doglianza è fondata.

7.2.1. Dall’esame degli atti si evince, infatti, che nella memoria di replica del D.Lgs. n. 5 del 2003, ex art. 7, in data 18 gennaio 2005 – ossia nella prima risposta successiva alla produzione, trascritta nella parte essenziale nel ricorso (p. 31) – l’attore aveva formalmente disconosciuto (“formalmente disconosce”) “anche la firma a lui riferita nel documento n. 45 allegato alla predetta controreplica del 30 dicembre 2004 (modulo intitolato “contratto di intermediazione mobiliare”)”. Il F. aveva, dunque, tempestivamente disconosciuto – oltre, come detto, i singoli ordini di investimento – anche lo stesso contratto quadro a monte degli stessi. La banca aveva, quindi, proposto nella difesa successiva ossia nella memoria di replica del 26 gennaio 2005 – istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c., con specifico riferimento all’avvenuto disconoscimento del contratto quadro (produzione n. 45), dato che in tale memoria, trascritta sul punto nel controricorso (p. 63, si legge: “con riguardo al doc. 45, è proposta sin da ora istanza di verificazione”.

Alla suddetta domanda – per errore attribuita all’attore e non alla convenuta – il tribunale non dava, tuttavia, corso, atteso che, nell’ordinanza del 30 gennaio 2008, riteneva che la questione della “falsità di alcune sottoscrizioni” – peraltro espressamente riferita dall’organo giudicante agli ordini, e non al contratto di negoziazione – fosse stata sollevata dal F. “solo incidentalmente ed in via eventuale”, ossia al fine esclusivo di “depurare” il saldo finale del conto degli investimenti finanziari per i quali mancava comunque un ordine scritto, poichè assente del tutto, o a firma apocrifa, o in quanto reso per quantità inferiori. Non sarebbero stati, poi, secondo il tribunale, neppure indicati gli ordini da verificare, nè sarebbero state formulate specificamente le prove della falsità.

Il disconoscimento della sottoscrizione, apparentemente apposta dal F. sul contratto quadro, è rimasto, dunque, fermo – in assenza di una pronuncia sull’istanza di verificazione – derivandone l’inutilizzabilità della scrittura in parola da parte della banca, ai sensi del combinato disposto degli artt. 215,216 c.p.c. e art. 2702 c.c..

7.2.2. Il disconoscimento in parola – sebbene l’appellante non vi fosse tenuto, stante l’assenza di un’espressa statuizione del giudice di primo grado circa il valore probatorio del contratto quadro, tempestivamente e ritualmente disconosciuto dal F. (cfr. Cass., 06/07/2018, n. 17902) – è stato, altresì, reiterato da quest’ultimo nell’atto di appello. Ma neppure nel giudizio di seconde cure la specifica questione relativa al disconoscimento del contratto quadro è stata specificamente affrontata, essendosi la Corte limitata – richiamando genericamente l’ordinanza del Tribunale del 30 gennaio 2008 – a definire, peraltro con riferimento alla “inautenticità (…) delle firme apposte su ordini di borsa (…)”, la “questione non decisiva nel senso preteso dall’interessato, il quale ha sistematicamente ed in modo inequivoco ratificato (…) gli ordini di acquisto e/o di investimento”.

E’ del tutto evidente, pertanto, l’errore di diritto posto in essere dalla Corte territoriale, essendo, ben al contrario, la questione relativa alla mancanza di sottoscrizione dell’investitore – stante il disconoscimento da questi operato della propria firma, non seguito dal successivo giudizio di verificazione, in ordine al quale la banca non ha, peraltro, neppure proposto ricorso incidentale in questa sede – del tutto rilevante ai fini del decidere. Come dianzi osservato, infatti, la mancanza di un contratto quadro redatto in forma scritta e regolarmente sottoscritto dal cliente, dà luogo a nullità del medesimo, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23.

7.3. Per tali ragioni, dunque, la censura in esame deve essere accolta.

8. Restano assorbiti il nono e decimo motivo di ricorso, con i quali l’esponente – riproducendo nel ricorso il sesto motivo di appello proposto sul punto (p. 85) – lamenta che la banca non abbia redatto e fatto sottoscrivere la scheda cliente e non abbia consegnato al medesimo il documento sui rischi generali degli investimenti, in violazione dell’art. 28 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, essendo tali motivi espressamente fondati sul disconoscimento delle relative ricevute, di per sè irrilevante ed assorbito dal disconoscimento del contratto quadro a monte.

9. Con l’undicesimo e dodicesimo motivo, il F. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

9.1. L’istante censura l’impugnata sentenza nella parte in cui il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciarsi – in violazione dell’art. 112 c.p.c. – sull’inadempimento, da parte dell’intermediario, dei fondamentali obblighi di informazione e di protezione, sanciti del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, denunciato dal F. con il settimo motivo di appello, e posto a fondamento della domanda di risoluzione, dal medesimo proposta ai sensi dell’art. 1453 c.c., dei contratti di investimento finanziario stipulati tra le parti. In ogni caso, per l’ipotesi in cui questa Corte dovesse, invece, ritener che il giudice di appello abbia implicitamente pronunciato su tale inadempimento, il ricorrente denuncia altresì la violazione delle norme succitate da parte dell’istituto di credito.

In particolare, la banca avrebbe omesso di fornire adeguate informazioni sulle caratteristiche e la provenienza dei titoli negoziati, sulla rischiosità delle operazioni di investimento – in special modo per quanto concerne le obbligazioni argentine, ad alto rischio di imminente default – in relazione al profilo dell’investitore, nonchè al rating dei titoli acquistati. E ciò facendo leva esclusivamente sulla pretesa esperienza acquisita dal F. in investimenti di tal genere e sulla sua alta propensione al rischio, essendo derivata, per contro, dalla rischiosità delle operazioni poste in essere dall’intermediario, una consistente perdita patrimoniale in danno dell’odierno ricorrente.

9.2. Le censure sono fondate.

9.2.1. Questa Corte ha, invero, affermato in proposito che, in tema di intermediazione finanziaria, la pluralità degli obblighi (di diligenza, di correttezza e trasparenza, di informazione, di evidenziazione dell’inadeguatezza dell’operazione che si va a compiere) previsti dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. a) e b), art. 28, comma 2 e art. 29 del Reg. CONSOB n. 11522 del 1998 (applicabile “ratione temporis”) e facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie, convergono verso un fine unitario, consistente nel segnalare all’investitore, in relazione alla sua accertata propensione al rischio, la non adeguatezza delle operazioni di investimento che si accinge a compiere (cd. “suitability rule”). Tale segnalazione deve contenere specifiche indicazioni concernenti: 1) la natura e le caratteristiche peculiari del titolo, con particolare riferimento alla rischiosità del prodotto finanziario offerto; 2) la precisa individuazione del soggetto emittente, non essendo sufficiente la mera indicazione che si tratta di un “Paese emergente”; 3) il “rating” nel periodo di esecuzione dell’operazione ed il connesso rapporto rendimento/rischio; 4) eventuali carenze di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo (situazioni cd. di “grey market”); 5) l’avvertimento circa il pericolo di un imminente “default” dell’emittente (Cass., 26/01/2016, n. 1376; Cass., 31/03/2017, n. 8314).

9.2.2. Nel caso di specie, mentre deve escludersi l’omissione di pronuncia, da parte della Corte d’appello, sul motivo di gravame concernente l’inadempimento degli obblighi di informazione e di protezione, avendo il giudice di seconde cure. provveduto espressamente in merito (p. 14), deve, per converso, ritenersi che l’impugnata sentenza sia incorsa nella violazione e falsa applicazione delle disposizioni succitate.

Sul punto, la motivazione della decisione di seconde cure (p. 14) si limita, invero, ad asserire che deve essere esclusa – senza indicare ragioni diverse dall’entità del patrimonio del F. e della sua presunta esperienza in prodotti finanziari – la violazione dell’obbligo, per la banca, di “segnalazione al F. dell’inadeguatezza delle operazioni che egli intendeva effettuare rispetto alla sua situazione economico finanziaria ed al suo complessivo patrimonio immobiliare (che era invero di indubbia consistenza, avendo inoltre dichiarato il suo titolare di avere buona conoscenza degli strumenti finanziari, nonchè una propensione al rischio elevata”. La Corte territoriale fonda, dunque, il giudizio di

esclusione dell’inadempimento dell’intermediario finanziario esclusivamente su due elementi: la consistenza del patrimonio del F., da un lato; la sua esperienza di strumenti finanziari e la sua propensione al rischio, dall’altro.

9.2.3.. Serivoinchè, è di tutta evidenza che la mera consistenza del patrimonio del cliente non può, di per sè, valere ad esimere l’intermediario dagli obblighi di informazione e di protezione suindicati, ben potendo le operazioni finanziarie poste in essere avere ad oggetto anche l’intero ed ingente patrimonio dell’investitore (Cass., 17/04/2015, n. 7922).

9.2.4. Nè rilevanza alcuna può ascriversi all’esperienza negli investimenti ed alla propensione dell’investitore ad effettuare operazioni ad alto rischio, nonchè al rifiuto del medesimo a fornire indicazioni in ordine alla sua situazione patrimoniale ed ai suoi obiettivi di investimento. Invero, ai fini della valutazione di adeguatezza delle informazioni che l’intermediario è tenuto a dare al cliente, nonchè delle omissioni in esse ravvisabili, non rileva che quest’ultimo abbia dichiarato, in sede di stipula del contratto quadro di investimento, di possedere un’esperienza “alta” con riferimento ai prodotti finanziari da acquistare ed un’elevata propensione al rischio, nè che egli si sia eventualmente rifiutato di dare indicazioni sulla propria situazione patrimoniale (Cass., 23/09/2016, n. 18702).

Ed invero, nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, l’accertata propensione al rischio del cliente che non rivesta le caratteristiche dell’investitore abilitato o professionale non elimina gli obblighi informativi dell’intermediario ma li qualifica in modo peculiare, nel senso che l’esperienza dell’investitore e le sue scelte devono orientare la selettività delle informazioni da fornire, dirigendosi verso quelle specifiche e non generalmente o facilmente accessibili del prodotto, tenuto conto che tanto più elevato è il rischio dell’investimento tanto più puntuali devono essere le informazioni da fornire, essendo necessario verificare se le decisioni d’investimento si siano fondate sulla conoscenza effettiva dei rischi conoscibili del prodotto (Cass., 27/04/2018, n. 10286).

9.3. Per le ragioni esposte, pertanto, i motivi in esame devono essere accolti.

10. Con il tredicesimo motivo di ricorso, F.A. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

10.1. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello non si sia pronunciata sull’eccezione di nullità del rapporto di gestione patrimoniale n. 62078, per mancanza del relativo contratto prescritto dall’art. 37 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998.

10.2. La doglianza è infondata.

10.2.1. Il vizio di omessa pronuncia, rilevante ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si configura, invero, esclusivamente allorquando sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto (Cass., 13/10/2017, n. 24155; Cass., 04/10/2011, n. 20311).

10.2.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha, per contro, provveduto, al riguardo, disattendendo l’eccezione – contenuta nel relativo motivo di appello – relativa alle “asserite inadempienze in cui sarebbe incorso l’istituto relativamente alle gestioni patrimoniali aperte dalla controparte”, trattandosi di “affermazioni generiche e non supportate da idonei riscontri” (p. 14). Nè l’istante ha fornito, in questa sede, ulteriori elementi a sostegno dell’eccezione in parola, al di là del richiamo alla forma ad substantiam, ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, che – come si è detto – concerne il solo contratto quadro.

10.3. Il mezzo va, di conseguenza, rigettato.

11. Con il quattordicesimo motivo di ricorso, il F. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

11.1. Lamenta l’istante che il giudice di seconde cure avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccepito inadempimento, da parte della banca, al mandato di gestione patrimoniale n. (OMISSIS), in quanto sarebbero risultate – dai rendiconti della gestione – variazioni delle linee di investimento.

11.2. Il motivo è inammissibile.

11.2.1. Deve invero per contro, rilevarsi che la Corte d’appello si è pronunciata sull’eccezione, affermando, anche a tal riguardo, che il F. aveva reso, sul punto, “affermazioni generiche e non supportate da idonei riscontri” (p. 14). La doglianza oggetto del presente motivo di ricorso appare, altresì, del tutto generica, posto che – come nel relativo motivo di appello (l’undicesimo) il F. si è limitato a dedurre che le linee di investimento sarebbero state arbitrariamente variate dalla banca, “mediante spostamento dalla linea (OMISSIS) alla linea (OMISSIS) con conseguente aggravamento del rischio”, senza fornire alcun ulteriore elemento di riscontro, anche probatorio, sul punto.

11.2.2. La doglianza va, di conseguenza, disattesa.

12. Con il quindicesimo motivo di ricorso, F.A. denuncia la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 e art. 27 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

12.1. Il ricorrente lamenta che il giudice di secondo grado sia incorso nella violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23,comma 6, per avere posto a carico del cliente l’onere di provare la sussistenza di un conflitto di interessi non segnalato e non autorizzato, produttivo di danni per l’investitore, in special modo in relazione alle obbligazioni argentine ed ai fondi (OMISSIS), trattandosi a suo dire – di titoli appartenuti al portafoglio del Monte dei Paschi di Siena o di società del gruppo, o emessi e/o amministrati da società dello stesso gruppo.

12.2. Il mezzo è infondato.

12.2.1. Va difatti osservato, al riguardo, che grava sull’investitore l’onere di provare il nesso causale consistente nell’allegazione specifica del deficit informativo, nonchè di fornire la prova del pregiudizio patrimoniale dovuto all’investimento eseguito, potendosi fornire la prova, anche in via presuntiva, del nesso causale tra l’inadempimento ed il danno lamentato (Cass., 28/02/2018, n. 4727).

12.2.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha, per converso, accertato in fatto la totale assenza di prove, da parte del cliente sul quale incombeva il relativo onere, circa l’esistenza stessa di un conflitto di interessi concreto ed attuale, dal quale possa essere derivato un pregiudizio all’investitore medesimo. La decisione sul punto non merita, pertanto, censura alcuna.

12.3. La doglianza va, di conseguenza, disattesa.

13. Con il sedicesimo motivo di ricorso, F.A. denuncia la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

13.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte d’appello abbia omesso di pronunciarsi – relativamente al rapporto di cui al c/c n. (OMISSIS) – in ordine al mancato accredito degli interessi sulle partite creditorie relative al predetto conto corrente, “al tasso massimo Bot”, di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, lett. a).

13.2. Il motivo è infondato.

13.2.1. Non sussiste, invero, la dedotta omissione di pronuncia, che è configurabile, dome dianzi detto, solo allorquando sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto (Cass., 13/10/2017, n. 24155; Cass., 04/10/2011, n. 20311).

13.2.2. Nel caso concreto, il giudice di appello si è, difatti, pronunciato sulla domanda di determinazione del tasso degli interessi, avendola ritenuta del tutto generica, non essendosi concretizzata neppure in una “specifica domanda, compresa fra quelle per il cui accoglimento egli ( F.) ha insistito”.

13.3. La doglianza va, pertanto, disattesa.

14. Il ricorso incidentale proposto dal Monte di Paschi di Siena è assorbito dall’accoglimento del ricorso principale, avendo ad oggetto questioni di merito non esaminate dal giudice di appello, in quanto assorbite da quelle trattate; questioni che – non ravvisandosi una soccombenza della banca controricorrente in ordine alle stesse vanno demandate all’esame del giudice di rinvio (Cass., 21/02/2014, n. 4130; Cass., 22/09/2017, n. 22095).

15. L’accoglimento dell’ottavo, undicesimo e dodicesimo motivo di ricorso comporta, invero, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, e provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie l’ottavo, undicesimo e dodicesimo motivo di ricorso; rigetta il primo, secondo, terzo, quarto, quinto, settimo, tredicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il quattordicesimo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il sesto, il nono ed il decimo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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