Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30101 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 19/11/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 19/11/2019), n.30101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 429 del ruolo generale dell’anno 2018,

proposto da:

F.L. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso dall’avvocato

Giuseppe La Spina (C.F.: LSP GPP 41M21 H154W);

– ricorrente –

nei confronti di:

S.O. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa

dall’avvocato Renzo Molinelli (C.F.: MLN RNZ 42D02 D451V);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Perugia n.

642/2017, pubblicata in data 14 settembre 2017 (e notificata in data

31 ottobre 2017);

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 27 giugno 2019 dal consigliere Tatangelo Augusto.

Fatto

RILEVATO

che:

F.L. ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., avverso il precetto di pagamento dell’importo di Euro 21.059,19 intimatogli dal coniuge separato S.O. sulla base del provvedimento giudiziale di omologazione della loro separazione consensuale.

L’opposizione è stata accolta dal Tribunale di Perugia.

La Corte di Appello di Perugia, in riforma della decisione di primo grado, la ha invece (sostanzialmente) accolta solo in parte, riconoscendo dovuto alla S. il solo minore importo di Euro 10.662,72.

Ricorre il F., sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso la S..

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile/manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

La controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 c.p.c..

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il contenuto del ricorso non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti prescritto a pena di inammissibilità dell’impugnazione di legittimità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. Tale esposizione, essendo considerata dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che garantisca alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770 – 01; conf.: Sez. 3, Ordinanza n. 22385 del 19/10/2006, Rv. 592918 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15478 del 08/07/2014, Rv. 631745 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493 – 01). La prescrizione del requisito in questione non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. U, Sentenza n. 2602 del 20/02/2003, Rv. 560622 – 01; Sez. L, Sentenza n. 12761 del 09/07/2004, Rv. 575401 – 01). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

Il ricorso del F., nella parte dedicata all’esposizione del fatto, non rispetta affatto tali requisiti: in esso infatti si indica esclusivamente che era stato intimato precetto per una determinata somma, che nell’opposizione si era sostenuto che nulla era dovuto, che il tribunale aveva accolto l’opposizione e che avverso tale sentenza l’intimante aveva proposto appello, ma non si chiarisce in alcun modo lo specifico e concreto contenuto della decisione di primo grado, in relazione alle eccezioni e alle difese delle parti, nonchè agli elementi di prova eventualmente presi in considerazione dal giudice di primo grado, nè si dà puntualmente conto dello specifico contenuto delle censure avanzate in sede di gravame nei confronti della suddetta decisione.

Non è quindi possibile intendere appieno il significato, la portata e l’eventuale fondatezza delle censure rivolte nella presente sede al provvedimento impugnato.

Il ricorso è pertanto inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

2. Anche a fini di completezza espositiva, si osserva che gli singoli motivi del ricorso risultano del pari inammissibili, ancor prima che manifestamente infondati.

2.1 Con il primo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere l’attrice provato l’entità del proprio credito”.

La censura di violazione dell’art. 2697 c.c. non risulta prospettata con la necessaria specificità, in conformità ai canoni a tal fine individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640192 – 01, 640193 – 01 e 640194 – 01).

D’altra parte, risultando il credito oggetto dell’intimazione da titolo esecutivo di condanna al pagamento di un determinato importo (somma di danaro da corrispondere periodicamente), e non risultando alcuna contestazione in relazione all’efficacia del suddetto titolo esecutivo, è evidente che era l’intimato a dover dimostrare l’avvenuto di pagamento, in tutto o in parte, dei suddetto importo, ai sensi degli artt. 1218 e 2697 c.c.: la decisione impugnata, sotto questo aspetto, non ha in alcun modo invertito il corretto assetto degli oneri probatori e dunque si sottrae certamente alla censura di violazione dell’art. 2697 c.c..

2.2 Con il secondo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame da parte della corte di appello di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, costituito dall’atto di precetto e da i pagamenti effettuati e riconosciuti dalla stessa opposta – appellante”.

La censura, sebbene rubricata come omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, si risolve, nella sostanza, in una inammissibile richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove.

Il ricorrente sostiene che la documentazione da lui prodotta, se adeguatamente valutata, unitamente al riconoscimento operato dalla stessa intimata dell’avvenuto pagamento di una parte dei crediti precettati, avrebbe dovuto condurre i giudici di merito a riconoscere dovuto un residuo importo di soli Euro 2.750,00 (e non di Euro 10.662,72).

La corte di appello ha in realtà tenuto conto del riconoscimento di alcuni pagamenti da parte della creditrice opposta, ma non ha ritenuto i documenti e, in particolare, le quietanze prodotte dall’opponente, sufficiente prova dell’ulteriore estinzione dell’obbligazione dedotta.

Si tratta, come è evidente, di attività di valutazione delle prove, non censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e, in ogni caso, non sindacabile in sede di legittimità (se non, eventualmente, nel caso di totale carenza di motivazione della decisione, vizio peraltro non dedotto e comunque insussistente).

E’ comunque opportuno sottolineare che certamente i “fatti” di cui il ricorrente lamenta l’omesso esame, e cioè “l’atto di precetto e i pagamenti effettuati e riconosciuti dalla stessa opposta – appellante” risultano espressamente presi in considerazione dalla corte di appello, che li ha valutati ai fini della sua decisione di merito.

3. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Dette spese vanno distratte in favore del procuratore della controricorrente, avvocato Renzo Molinelli, che ha reso la prescritta dichiarazione di anticipo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge, con distrazione in favore dell’avvocato Renzo Molinelli.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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