Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 301 del 09/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 301 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 26153-2012 proposto da:
ANSALDO SISTEMI INDUSTRIALI S.P.A. P.I. 03238380962,
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PASUBIO 15,
presso lo studio dell’avvocato TARDELLA CARLO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato JUCCI
2013

GUIDO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

3295

contro

FRANCALANZA STEFANO;
– intimato –

Data pubblicazione: 09/01/2014

Nonché da:
FRANCALANZA

STEFANO

C.F.

FRNSFN67T24D612J,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BANCO DI S.
SPIRITO 48, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO
D’OTTAVI, rappresentato e difeso dall’avvocato SCISCA

– controricorrente e ricorrente incidentale contro

ANSALDO SISTEMI INDUSTRIALI S.P.A. C.F. 03238380962;
– intimata –

avverso la sentenza n. 1358/2011 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 21/05/2012 R.G.N.
89/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/11/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito l’Avvocato TARDELLA CARLO;
udito l’Avvocato SCISCA ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi.

ROBERTO, giusta delega in atti;

I

R.G. n. 26153/12
Ud. 19.11.13
Ansaldo Sistemi Industriali S.p.A. c. Francalanza

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Milano, con sentenza emessa il 2.12.11 e depositata il
21.5.12, in riforma di quella n. 5303/09 emessa dal Tribunale della stessa sede,

annullava il licenziamento intimato il 30.7.07 a Stefano Francalanza da Ansaldo
Sistemi Industriali S.p.A., condannando quest’ultima al pagamento a titolo
risarcitorio dell’ammontare delle retribuzioni — sulla base di una retribuzione
mensile pari a C 9.261,78 – maturate da tale licenziamento al secondo recesso poi
intimato dalla società, oltre alla regolarizzazione contributiva per lo stesso periodo.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre Ansaldo Sistemi Industriali S.p.A.
affidandosi a quattro motivi.
Stefano Francalanza resiste con controricorso e a sua volta spiega ricorso
incidentale basato su un solo motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Preliminarmente ex art. 335 c.p.c. si riuniscono i due ricorsi in quanto aventi ad
oggetto la medesima sentenza.

2- Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte territoriale, considerando generica
la contestazione sul punto svolta dalla società, accolto la domanda di risarcimento
danni sulla base di una retribuzione mensile indicata — ma non provata – dal
Francalanza in C 9.261,78 e nonostante che la stessa busta paga prodotta dal
lavoratore recasse una retribuzione mensile pari ad C 5.934,33. In tal modo —
prosegue la società ricorrente — la sentenza impugnata ha addossato al convenuto
l’onere di dimostrare l’infondatezza della domanda dell’attore. Per altro – conclude
il motivo — che l’importo mensile della retribuzione del Francalanza fosse di C
5.934,33 e non di C 9.261,78 è circostanza acclarata in altra sentenza del Tribunale
di Milano, che ha rigettato la domanda del lavoratore intesa ad ottenere il
pagamento di differenze retributive e benché tale sentenza sia stata appellata, essa
fa stato tra le parti o almeno giustifica la sospensione del presente processo in attesa
del passaggio in giudicato.
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R.G. n. 26153/12
Ud. 19.11.13
Ansaldo Sistemi Industriali S.p.A. c. Francalanza

Analoga doglianza viene sostanzialmente fatta valere con il secondo motivo (sotto
forma di vizio di motivazione e violazione dell’art. 112 c.p.c.) e con il terzo motivo
(ancora sotto forma di vizio di motivazione e violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c.,

considerato che in appello il Francalanza non aveva reiterato ed argomentato la
domanda risarcitoria concernente detta quantificazione).
Con il quarto motivo (sebbene non numerato come tale) la ricorrente principale
chiede comunque la cassazione della sentenza impugnata anche in ragione dello ius
superveniens costituito dal nuovo testo dell’art. 18 legge n. 300/70, come
modificato dall’art. 1 co. 42° legge n. 92/2012, nuovo testo entrato in vigore il
18.7.12 e che per licenziamenti come quello in discorso (annullato per violazione
del cd. repéchage) prevede non più la tutela reintegratoria, ma una mera tutela
indennitaria. Sostiene la società ricorrente che si tratta di normativa applicabile
anche a licenziamenti intimati prima dell’entrata in vigore della novella, giacché la
citata legge n. 92/2012, mentre dispone che le modifiche processuali abbiano effetto
solo per i licenziamenti successivi all’entrata in vigore della legge stessa, non opera
analogo rinvio quanto agli effetti sostanziali d’un licenziamento illegittimo.

3- I primi tre motivi del ricorso principale — da esaminarsi congiuntamente perché
connessi — sono infondati.
La prima censura contenuta nel ricorso principale sembra sovrapporre onere di
contestazione e onere probatorio, trascurando che il secondo sorge solo se e nella
misura in cui si sia in presenza di fatti specificamente contestati: si veda in
proposito l’art. 115 co. 1° c.p.c., nel testo risultante dalla novella di cui all’art. 45
legge n. 69/09, che ha esteso anche al rito ordinario quel principio di non
contestazione che — per antica e consolidata giurisprudenza di questa Corte
Suprema (cfr., ex aliis, Cass. 13.3.12 n. 3974; Cass. 3.7.08 n. 18202; Cass. 27.2.08
n. 5191; Cass. 16.12.05 n. 27833; Cass. 19.1.05 n. 996; Cass. 6.7.04 n. 12345; Cass.
5.3.04 n. 4556; Cass. 21.10.03 n. 15746; Cass. 15.1.03 n. 535; Cass. S.U. 23.1.02 n.
761) — governa il rito speciale, alla stregua del disposto dell’art. 416 c.p.c., che
impone al convenuto, a pena di decadenza, l’onere di prendere immediata e precisa

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R.G. n. 26153/12
Ud. 19.11.13
Ansaldo Sistemi Industriali S.p.A. c. Francalanza

posizione in ordine ai fatti primari asseriti dall’attore a sostegno della propria
domanda.
Per l’effetto, nel rito speciale — e, per i giudizi instaurati dopo il 4.7.09, anche in

quello ordinario a seguito della novella dell’art. 115 c.p.c. operata con legge n.
69/09 — vige il principio per cui la mancata specifica contestazione dei fatti
costitutivi della domanda vincola il giudice a ritenere sussistenti i fatti stessi, salco
che (ma non è questo il caso) il giudice positivamente accerti d’ufficio l’esistenza o
l’inesistenza di fatti non contestati che emerga dalle risultanze probatorie già
ritualmente e tempestivamente acquisite (cfr. Cass. 4.4.12 n. 5363; Cass. 10.7.09 n.
16201).
Ora, l’impugnata sentenza ha dato atto che Stefano Francalanza ha indicato in €
9.261,78 la propria retribuzione mensile e che tale ammontare è stato solo
genericamente contestato dalla società.
Dunque, a fronte di un fatto primario solo genericamente contestato, la Corte
territoriale ha fatto corretta applicazione del summenzionato principio di non
contestazione.
È pur vero che le S.U. di questa S.C., con sentenza 22.5.12 n. 8077, hanno statuito
che, quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la
nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel
compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente
prescritto dal legislatore ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto
introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle
ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria
cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il
giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare
direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda.
Tuttavia ciò è consentito — prosegue la citata sentenza n. 8077/12 – purché la
censura sia stata proposta conformemente alle regole fissate a riguardo dal codice di
rito e oggi, quindi, conformemente alle prescrizioni dettate dagli artt. 366 co. 10 n. 6
e 369 co. 2° n. 4 c.p.c.

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RG. n. 26153/12
Ud. 19.11.13
Ansaldo Sistemi Industriali S.p.A. c. Francalanza

Nel caso in esame, invece, la Ansaldo Sistemi Industriali non ha né trascritto il
punto della propria memoria difensiva in cui contestava l’ammontare della
retribuzione mensile indicato dall’attore (sicché il ricorso si palesa, a riguardo, non

autosufficiente) né ha indicato gli atti e i documenti su cui si fonda il proprio
ricorso, così contravvenendo al cit. art. 366 co. 1° n. 6 c.p.c.
Analogo difetto di autosufficienza e di rispetto dell’art. 366 co. 10 n. 6 c.p.c. si
rinviene anche nella parte del primo motivo in cui si parla di altra sentenza resa
inter partes dal Tribunale di Milano; a ciò è appena il caso di aggiungere che,
trattandosi — a dire della stessa società ricorrente — di sentenza ancora sub iudice, in
nessun caso può fare stato tra le odierne parti; in proposito il ricorso sembra non
distinguere fra la mera provvisoria esecutività della sentenza di primo grado e la sua
efficacia dichiarativa, che ex art. 2909 c.c. consegue solo al giudicato.
La questione del se la provvisoria esecutività possa riferirsi soltanto
all’anticipazione dell’efficacia esecutiva della sentenza di condanna, rispetto al
momento del suo passaggio in giudicato, od anche ad altri tipi di sentenza (v. in
particolare le statuizioni inibitorie e quelle costitutive) è stata da tempo risolta in
senso negativo dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema (cfr., e pluribus, Cass.
26.3.09 n. 7369; Cass. 12.7.2000 n. 9236; Cass. 6.2.99 n. 1037; Cass. 24.5.93 n.
5837): invero, affinché vi sia un’anticipazione dell’efficacia di accertamento e/o
costitutiva della sentenza rispetto al momento della formazione del giudicato
formale vi sarebbe bisogno d’una specifica previsione normativa (come, ad
esempio, quella dell’art. 421 c.c.) che invece negli artt. 282 e 431 co. 1° c.p.c.
manca del tutto.
Suffragano tale soluzione anche l’art. 447 bis — che si riferisce alla sola ipotesi di
sentenza di condanna – e l’art. 283 c.p.c. (dettato per regolare la sospensione
dell’esecuzione provvisoria generalizzata sancita, appunto, dall’art. 282 c.p.c.), che
prevede che l’inibitoria attenga alla “efficacia esecutiva” della sentenza di primo
grado.
In altre parole, l’anticipazione dell’efficacia della sentenza rispetto al suo
passaggio in giudicato riguarda soltanto il momento dell’esecutività della
pronuncia, con la conseguenza — attesa la necessaria correlazione tra condanna ed
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R.G. n. 26153/12
Ud. 19.11.13
Ansa/do Sistemi Industriali S.p.A. c. Francalanza

esecuzione forzata – che la disciplina dell’esecuzione provvisoria ex art. 282 c.p.c.
trova legittima attuazione solo con riferimento alla pronuncia di condanna, poiché è
l’unica che possa, per sua natura, integrare titolo esecutivo (il concetto stesso di

esecuzione postula, infatti, un’esigenza di adeguamento della realtà al decisum che,
evidentemente, manca nelle statuizioni di mero accertamento o costitutive).
In sintesi, deve ribadirsi che le statuizioni dichiarative o costitutive sono inidonee
ad acquisire efficacia esecutiva prima del passaggio in cosa giudicata e deve
escludersi in relazione ad esse che, prima della definizione della controversia con
tale passaggio in giudicato, sussista un titolo suscettibile di provocare
l’immutazione della situazione giuridica preesistente (cfr. Cass. 24.3.98 n. 3090).
Quanto alla ventilata sospensione del presente giudizio di legittimità in attesa
della definizione di altro venente fra le stesse parti, esso non può trovare
accoglimento né ai sensi dell’art. 295 c.p.c. né ex art. 337 cpv. c.p.c.
Non è possibile la sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c. perché la sospensione
necessaria in esso prevista si limita ai casi di pregiudizialità tecnica e non
meramente logica (giurisprudenza costante: cfr., da ultimo, Cass. 21.12.11 n.
27932), cioè quando in un altro giudizio debba essere decisa una questione
pregiudiziale intesa nel primo senso e che ricorre soltanto quando la preventiva
definizione di una controversia (civile, penale o amministrativa) sia imposta da una
espressa disposizione di legge, ovvero ne costituisca l’indispensabile antecedente
logico-giuridico, il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato.
Infine, il rilevato difetto di autosufficienza in ordine all’esatta portata della
sentenza del Tribunale di Milano che avrebbe accertato un inferiore ammontare
della retribuzione mensile del Francalanza preclude – a monte — qualsiasi ipotesi di
sospensione facoltativa ai sensi dell’art. 337 cpv. c.p.c.
Le considerazioni che precedono escludono che vi sia stata violazione alcuna
degli artt. 112 e 115 c.p.c. o dell’art. 2697 c.c.
Del pari deve negarsi l’ipotizzata violazione dell’art. 346 c.p.c., poiché dalle
conclusioni delle parti riportate nell’impugnata sentenza emerge che il Francalanza
ha specificamente coltivato in appello anche la domanda di condanna della Ansaldo

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R.G. n. 26153/12
Ud. 19.11.13
Ansaldo Sistemi Industriali S.p.A. c. Francalanza

Sistemi Industriali al pagamento delle retribuzioni maturate a far data dal
licenziamento “sulla base di una retribuzione globale di fatto pari ad 69.261, 7 8” .
In proposito va escluso che per coltivare una domanda ai sensi e per gli effetti di
cui all’art. 346 c.p.c. (e non incorrere, quindi, in una rinuncia ad essa, che ad ogni

modo avrebbe valore meramente processuale e non anche sostanziale: cfr., ad
esempio, Cass. 3.12.96 n. 10768) vi sia bisogno di formule sacramentali o di
specifiche spiegazioni concernenti la quantificazione della domanda medesima,
essendo sufficiente che, in qualsiasi forma idonea, emerga inequivocabilmente dal
complesso dell’atto d’appello la volontà di riproporre la domanda (cfr. Cass.
11.5.09n. 10796).
Ed è sicuramente una forma idonea la riproposizione delle conclusioni già
avanzate in prime cure e specificamente trascritte in appello anche con espresso
riferimento al calcolo delle retribuzioni dovute a titolo risarcitorio sulla base
mensile di € 9.261,78 (come avvenuto nel caso in discorso).

4- Anche il quarto motivo del ricorso principale è infondato.
La circostanza che il co. 67° dell’art. 1 cit. legge n. 92/2012 preveda
l’applicabilità delle nuove norme processuali solo alle controversie instaurate dopo
l’entrata in vigore della legge stessa non significa, a contrariis, che le nuove norme
sostanziali in essa contenute siano applicabili ai licenziamenti anteriormente
intimati, ma semplicemente che queste ultime seguono, in assenza di esplicita
disposizione contraria, la regola dell’irretroattività sancita dall’art. 11 disp. prel. al
c.c., regola cui — com’è noto – può derogarsi soltanto se ciò è espressamente
previsto da apposita disposizione di diritto transitorio, che nel caso de quo manca.
In assenza di espressa disposizione derogatoria, il principio dell’irretroattività
della legge previsto dall’art. 11 disp. prel. al c.c. fa sì che la nuova legge non possa
essere applicata, oltre ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in
vigore, a quelli sorti anteriormente e ancora in vita ove, in tal modo, si
disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere
efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso; ed è appunto
questa l’ipotesi del licenziamento già giudicato illegittimo.
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Ud. 19.11.13
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Lo ius superveniens è, invece, applicabile ai fatti, agli status e alle situazioni
esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti
ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge,

debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal
collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che,
attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto
generatore (cfr., da ultimo, Cass. 3.7.13 n. 16620; meno recentemente v. in senso
conforme Cass. 3.3.2000 n. 2433 e, in epoca più remota, Cass. S.U. 12.12.67 n.
2926).

5- Con un solo motivo il ricorso incidentale lamenta che l’impugnata sentenza, nel
riconoscere al Francalanza le retribuzioni maturate dal primo licenziamento fino al
secondo licenziamento, intimato dalla Ansaldo Sistemi Industriali in data 2.4.08,
vale a dire dopo l’ordinanza ex art. 700 c.p.c. con cui il Tribunale aveva disposto in
via d’urgenza e ante causam la reintegra del lavoratore nel suo posto di lavoro, ha
in sostanza revocato il provvedimento cautelare immotivatamente e in assenza di
apposita domanda di revoca. Ritiene, infine, il ricorrente incidentale che il secondo
licenziamento, intimato dopo una reintegra sostanzialmente simulata da parte
aziendale, debba considerarsi inesistente per mancato adempimento dell’obbligo di
reintegra a seguito dell’ordinanza ex art. 700 c.p.c. e comunque ingiustificato e
lesivo dell’iter disciplinare di cui all’art. 7 Stat.
Il ricorso incidentale è inammissibile perché, in un unico e disomogeneo apparato
argomentativo, svolge le proprie censure senza inquadrarle specificamente e
distintamente sotto ipotesi di vizio di motivazione o di violazione di norme di diritto
o di error in procedendo e senza nemmeno indicare analiticamente quali norme
sarebbero state violate.
È pur vero che, secondo quanto statuito da Cass. S.U. 24.7.13 n. 17931, non è
necessario che il ricorso per cassazione adotti formule sacramentali o provveda
all’esatta indicazione numerica di una delle ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., ma è
pur sempre necessario che esso venga articolato in specifici motivi riconducibili in
maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione
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Ud. 19.11.13
Ansaldo Sistemi Industriali S.p.A. c. Francalanza

stabilite dalla citata norma codicistica, cosa che il ricorso incidentale in esame non
ha fatto.
Ad ogni modo — ciò sia detto per mera completezza espositiva – è appena il caso

di notare che la censura oggetto del ricorso incidentale è comunque infondata: ai
sensi del co. 3 0 dell’art. 669 novies c.p.c. il provvedimento cautelare perde efficacia
quando la sentenza di merito, sebbene non ancora passata in giudicato, abbia
dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso (ed anche
nell’ipotesi inversa, sostituendosi la sentenza di merito al precedente titolo: cfr.
Cass. 4.6.08 n. 14765).
Invero, i provvedimenti di urgenza hanno natura strumentale e funzione
cautelativa del tutto provvisoria, in quanto volti ad evitare che la futura pronunzia
del giudice possa restare pregiudicata nel tempo necessario per ottenerla e sono per
loro stessa natura destinati a perdere ogni efficacia e vigore a seguito della
decisione emessa nel successivo giudizio di merito, nella quale rimangono assorbiti
e caducati, con l’esaurimento della funzione cautelare che li caratterizza (cfr. Cass.
11.3.04 n. 4964).
Ciò non ha bisogno di motivazione ulteriore rispetto a quella già contenuta nella
sentenza di merito che accerti o neghi il diritto a cautela del quale era stato concesso
il provvedimento.
Del pari non è dovuta un’espressa confutazione degli argomenti a suo tempo
accolti in sede di emissione della misura, atteso che il giudizio di merito non si pone
come una sorta di fase impugnatoria di quello cautelare.
Da ultimo, la sorte del secondo licenziamento intimato a Stefano Francalanza è
questione che esula dalla presente controversia.

6- In conclusione, il ricorso principale è da rigettarsi, mentre quello incidentale è
da dichiararsi inammissibile.
Ciò consiglia di compensare fra le parti le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte,

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Ud. 19.11.13
Ansaldo Sistemi Industriali S.p.A. c. Francalanza

riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello
incidentale. Compensa fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, in data 19.11.13.

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