Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30097 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2018, (ud. 29/10/2018, dep. 21/11/2018), n.30097

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto ai n. 17727/2012 R.G.. proposto da

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

C.M.G., D.C.W., D.C.A., nella

qualità di eredi di D.C.G., eelettivamente domiciliati in

Roma, Viale Parioli n. 43, presso lo studio dell’avv. Francesco

d’Ayala Valva, che li rappresenta e difende giusta procura a margine

del ricorso introduttivo;

– controricorrenti –

nonchè

Equitalia Sud S.p.A. (già Gerit S.p.A.), in persona del legale

rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 257/40/11, depositata il 31 maggio 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 ottobre

2018 dal Consigliere Valeria Piccone.

Fatto

RILEVATO

CHE:

– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di accoglimento dell’appello proposto dal dante causa dei controricorrenti avverso la sentenza con cui la Commissione Tributaria Provinciale aveva respinto il ricorso da lui avanzato nei confronti della cartella di pagamento notificata il 21 maggio 2007 per complessivi Euro 103.842,17, concernente l’anno 2003 ed emessa a seguito di controllo automatizzato ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis;

– il ricorso è affidato ad un motivo;

– resistono, con controricorso, C.M.G., D.C.W., D.C.A., nella qualità di eredi di D.C.G.;

– la Equitalia Sud S.p.A. (già GERIT S.p.A.) è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36 – bis e 42, nonchè della L. n. 289 del 2002, art. 9-bis;

– premessa la pacifica emissione della cartella di pagamento impugnata a seguito di controllo automatizzato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, va rilevato che la motivazione della CTR, nell’annullare la cartella stessa, si fonda sull’assenza della precisazione circa lo “specifico motivo della pretesa” al di à della indicazione relativa al carattere automatizzato del controllo, all’anno di imposta, alla comunicazione predisposta in data 31.05.2006;

– i giudici di secondo grado, peraltro, reputano tale corollario, inerente l’assenza di motivazione della cartella impugnata, assistito dalla deduzione del contribuente circa l’asserita illegittimità della pretesa, non essendo la somma definitiva nel suo ammontare per esser stata presentata istanza di condono ex L. n. 289 del 2002, art. 9 bis, e pagata la prima rata;

– orbene, non può negarsi che, sulla base di quanto affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui, “la cartella esattoriale che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione” (Sez. U, n. 11722 del 14/05/2010) la giurisprudenza di legittimità, rilevando che anche per effetto del più generale principio di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, la motivazione costituisce elemento imprescindibile di tutti gli atti tributari, in quanto essa assolve, come pure si è precisato, alla “ineludibile esigenza (dettata dal principio di legalità che informa lo Stato di diritto e dalla garanzia costituzionale del diritto di difesa) di portare a conoscenza del contribuente i fatti costitutivi sui quali si fonda la pretesa, al fine di consentire al destinatario dell’atto di verificare la correttezza o meno dell’accertamento ed eventualmente di sindacare l’illegittimo esercizio del potere avanti la giurisdizione tributaria” (Cass. n. 11176 del 21/05/2014), ha più volte ribadito che la cartella di pagamento, in quanto atto impositivo, deve essere motivata in relazione ai presupposti di fatto e di diritto che hanno originato la pretesa (Cass., n.2023 del 2014);

– nondimeno, è stato chiarito che “la generale portata precettiva dell’obbligo di motivazione va differenziata a seconda del contenuto prescritto dalle norme per ciascun atto impositivo” (Sez. 5, n. 3948 del 18/02/2011), di modo che, dovendo distinguersi, anche con riguardo alla cartella, tra l’atto di liquidazione dell’imposta e l’atto accertativo della pretesa fiscale, l’obbligo di motivazione, in funzione delle finalità conoscitive e di difesa del contribuente, risulta ineludibile allorchè a mezzo della cartella si rettifichino i risultati della dichiarazione ed essa divenga perciò estrinsecazione di una pretesa ulteriore, in tal caso configurandosi l’esercizio di una vera e propria potestà impositiva riconducibile all’ordinaria attività accertatrice e dovendo dunque la cartella essere debitamente motivata in adesione a quanto più specificamente prescritto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 1, (Cass. n. 11176 del 2014, cit.; Cass. n. 28056 del 30/12/2009:

– in modo dei tutto diverso, quindi, si caratterizza l’obbligo di motivazione qualora la cartella, nel quadro delle attività di controllo che hanno rilievo solo cartolare (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis), si sovrapponga alla dichiarazione del contribuente e si proceda perciò alla liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente o rinvenibili negli archivi dell’anagrafe tributaria, in tal caso essendosi ripetutamente affermato che il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, talchè l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima (Cass. n. 8137 del 23/05/2012; Cass. n. 10033 del 06/05/2011; Cass. n. 26671 del 18/12/2009);

– alla luce delle suesposte argomentazioni, deve di riconoscersi la fondatezza della doglianza della agenzia circa l’insussistenza del difetto di motivazione ritenuto dal giudice di merito nella cartella oggetto di impugnazione, atteso che la sua emissione è avvenuta all’esito di un procedimento di controllo c.d. formale o automatizzato della dichiarazione a cui l’amministrazione ha potuto procedere attingendo i dati necessari direttamente dalla dichiarazione medesima;

– la “sovrapposizione” della cartella alla dichiarazione fa si, quindi, che non sussista il lamentato vulnus, poichè gli elementi conoscitivi utilizzati dall’ufficio erano già noti al contribuente, avendovi egli stesso dato causa (in questi termini, Cass. n. 15564 del 27 luglio 2016);

– la conformità della cartella di pagamento alle prescrizioni di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, e la notifica della stessa all’esito della procedura di cui al più volte richiamato art. 36 – bis inducono, quindi, a reputare del tutto idonea la succinta indicazione dei dati da cui scaturisca la pretesa tributaria avanzata, e, quindi, adeguatamente individuabile la pretesa avanzata, mediante le indicazioni contenute nella cartella con cui l’Agenzia ha recuperato il credito dichiarato, scomputandolo di quello effettivamente spettante, nonchè della somma versata per il meccanismo di cui alla L n. 289 del 2002. art. 9 – bis, cui il contribuente aveva aderito versando la prima rata;

– il ricorso deve, quindi, essere accolto a cagione dell’erronea interpretazione ed applicazione, sul punto, del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36 – bis e 42;

– l’insussistenza di valutazioni di fatto occorrenti per la decisione consente al giudice di legittimità di decidere la causa nel merito ex art. 384 con conseguente rigetto del ricorso originario;

– le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge il ricorso introduttivo di primo grado. Condanna la parte controricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della parte ricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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