Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30096 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2018, (ud. 29/10/2018, dep. 21/11/2018), n.30096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. D�ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL�ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6065-2012 R.G. proposto da:

STUDIO TECNO AZIENDA 2 S.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Francesco D. Pugliese

giusta procura in calce al ricorso introduttivo ed elettivamente

domiciliata in Roma, via Nomentana n. 91, presso lo studio dell’avv.

Giovanni Beatrice;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Umbria n. 185/1/11, depositata il 20 settembre 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 ottobre

2018 dal Consigliere Valeria Piccone.

Fatto

RILEVATO

Che:

– la società STUDIO TECNO AZIENDA 2 S.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ed in riforma della decisione impugnata, aveva respinto la domanda di annullamento dell’avviso di accertamento con cui erano stati recuperati a imposizione maggiori ricavi non dichiarati, per Euro 36.249,00 per l’anno 2004;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– la società contribuente deduce, con il primo motivo, la nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè art. 111 Cost. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, mentre, con il secondo, denunzia violazione della L. 6 maggio 2004, n. 129, artt. 1 e 3, con riferimento all’oggetto del contratto di franchising;

– entrambi i motivi sono inammissibili;

– va premesso che, con l’atto impugnato, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato lo scostamento dei ricavi dichiarati da quelli desumibili dalla applicazione dello studio di settore inerente le agenzie immobiliari, accertato maggiori ricavi, recuperato le relative imposte ed applicato le connesse sanzioni;

– la Commissione Tributaria Regionale, nell’accogliere l’appello della Agenzia delle Entrate, ha evidenziato come dalla lettura del contratto di franchising stipulato fra le due società si rilevava che le royalties avrebbero dovuto essere impiegate in larga parte (80%) per “la gestione del franchising” e nella restante parte per “spese pubblicitarie comuni”:

– ha quindi ritenuto la CTR che il costo delle royalties andasse configurato in termini di acquisto di beni e servizi strettamente correlati alla produzione dei ricavi che originano dall’attività d’impresa, anzichè come “corrispettivo per l’utilizzo di beni di terzi” come ritenuto in primo grado, precisando che a differenza di quanto ritenuto dai primi giudici l’indicazione di tale costo al rigo F10 dello studio di settore non ne aveva determinato la trasformazione in ricavo, incidendo diversamente solo ai fini della determinazione dei ricavi presumibili;

– deduce in primo luogo parte ricorrente la sostanziale impossibilità di comprendere le ragioni poste a fondamento della decisione;

– premessa la assoluta completezza e congruità dell’iter decisorio seguito dal giudice di secondo grado, aspetto, questo che esclude in radice la configurabilità della violazione dell’art. 132 c.p.c. (rectius 36 proc. trib.), va rilevato che la doglianza prospettata, pur avanzata in termini di violazione di legge, si configura in realtà come una vera e propria richiesta di revisio prioris instantiae inammissibile in sede di legittimità;

– la piana lettura del ricorso introduttivo, infatti, consente di affermare che la società contribuente si sia limitata a riproporre le stesse argomentazioni addotte in secondo grado, peraltro inammissibilmente riportando stralci delle proprie deduzioni onde ottenerne una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità;

– per costante giurisprudenza di legittimità, invero, (cfr, fra le più recenti, Cass. n. 20335 del 2017) attiene alla violazione di legge la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando necessariamente una attività interpretativa della stessa, mentre il vizio relativo all’incongruità della motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante;

– orbene, nel caso di specie, sebbene in più punti – e confusamente – parte ricorrente richiami la normativa in tema di franchising, quale contratto posto a fondamento del pagamento di royalties la cui erronea imputazione avrebbe influito sulla diversa entità dei ricavi come determinata dall’ufficio, nondimeno, non adduce la erronea sussunzione della fattispecie oggetto di giudizio nell’ambito della normativa medesima, limitandosi, inammissibilmente, a contestare l’iter decisorio della Commissione nella parte in cui ha ritenuto che il costo delle royalties andasse configurato in termini di acquisto di beni e servizi strettamente correlati alla produzione dei ricavi che originano dall’attività d’impresa, anzichè come “corrispettivo per l’utilizzo di beni di terzi” come ritenuto in primo grado, precisando che a differenza di quanto apoditticamente ritenuto dai primi giudici tale – corretta – indicazione del costo al rigo F10 dello studio di settore non ne aveva determinato la trasformazione in ricavo, incidendo diversamente solo ai fini della determinazione dei ricavi presumibili;

– con il secondo motivo parte ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. 6 maggio 2004, n. 129, artt. 1 e 3, ancora con riferimento all’esatta qualificazione dell’oggetto e della natura del contratto di franchising ed in particolare delle prestazioni che gravano sul franchisor e sul franchisee e, cioè, pagamento dei canoni da parte del franchisee a fronte di concessione di diritti da parte del franchisor (privativa, marchio, know how);

– orbene, anche con riguardo a tale motivo, deve ritenersi che parte ricorrente mira ad ottenere una inammissibile revisio prioris instantiae facendo apparire come una violazione di legge la dedotta censura in punto di motivazione limitandosi a riproporre le stesse argomentazioni addotte in secondo grado;

– deve, d’altro canto, evidenziarsi che l’interpretazione e la qualificazione di patti contrattali e delle relative clausole è censurabile in punto di diritto esclusivamente per violazione delle regole di ermeneutica contrattuale (sul punto, ex plurimis, Cass. n. 28319 del 2017, Cass. n. 20469 del 2017, Cass. n. 13587 del 2010) mentre, sotto altro aspetto, non può negarsi che le royalties rientrino fra i costi inerenti (sul punto, Cass. n. 450 del 2018 e Cass. n. 7881 del 2016);

– anche tale motivo deve, quindi, essere dichiarato inammissibile;

– con il terzo motivo parte ricorrente deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in riferimento all’oggetto ed alla natura del contratto di franchising, mentre con il quarto motivo denunzia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio sempre con riguardo alla natura del contratto di franchising e delle prestazioni che gravano su franchisor e franchisee;

– entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati;

– questa Corte ha più volte ritenuto inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata;

– il motivo dì ricorso si risolverebbe, infatti, in caso contrario, in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (in questi termini, fra le tante, Cass. 26 marzo 2010 n. 7394);

– nel caso di specie appare evidente ancora una volta non solo che parte ricorrente, con le sue articolate ed estesissime ma confuse censure mira ad avere un nuovo giudizio di merito, non indicando in che modo il percorso argomentativo del giudice di secondo grado sarebbe viziato, ma limitandosi a contestare le conclusioni cui lo stesso perviene e contrapponendo alle stesse le proprie diverse conclusioni, ma, inoltre, ripete pedissequamente la definizione del contratto di franchising, premessa negli stessi termini dallo stesso giudice di secondo grado nonchè il contenuto del contratto intercorso tra le parti (da cui si evinceva che le royalties fossero utilizzate nella misura dell’80% per la “gestione del franchising” e nella restante parte per “spese pubblicitarie comuni”) inferendo però da tale premessa conclusioni diverse circa l’imputazione del costo relativo rispetto a quelle motivatamente desunte dalla Commissione Tributaria Regionale

– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;

– le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 29 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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