Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3009 del 11/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 3009 Anno 2014
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso 32196-2007 proposto da:
BEST COMPANY S.R.L. 01376040471 in persona del suo
legale rappresentante pro tempore Sig. ANGELO
INFANTINO, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato

VALLESI ROBERTO con studio in 56127 PISA, VIA ANGELO
BATTELLI 25 giusta delega in atti;
– ricorrente contro

CENTRO MANN DI CARDINI GIANFRANCO E BENVENUTO DANIELE

Data pubblicazione: 11/02/2014

S.A.S.;

avverso

la

sentenza n.

D’APPELLO di FIRENZE,

intimata

1599/2006 della CORTE

depositata il 20/11/2006,

R.G.N. 2521/A/2003;

udienza del 20/09/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto;

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udita la relazione della causa svolta nella pubblica

I FATTI

Nel giugno del 2000 venne stipulato, tra le parti ancor oggi in
lite, un contratto qualificato come “fornitura di servizi”, in
forza del quale il Centro Mann mise a disposizione della Best
Company uno spazio da trasformarsi in locale a spese di

verso un canone mensile fissato in L. 2.300.000, oltre ad oneri
condominiali ed ulteriori L. 200.000 per spese varie,
prevedendosi altresì il versamento di una cauzione pari a L.
3.000.000.
Sino al rimborso dei costi sostenuti dal conduttore, si
convenne che il canone mensile fosse ridotto a L. 800.000.
All’atto di collegare l’impianto di riscaldamento alla caldaia
centrale, i tecnici idraulici esclusero tale possibilità
attesane la inidoneità, indicando come soluzione quella della
relativa sostituzione.
Il centro Mann, cui sarebbe spettato il relativo onere, si
astenne dal provvedervi, così impedendo all’affittuaria di
terminare il locale.
Tanto premesso, la Best Company, ritenendo “risolto” il
contratto per inadempimento della controparte, convenne in
giudizio, dinanzi al tribunale di Lucca, il locatore,
chiedendone l’accertamento dell’inadempimento al contratto di
servizi, e conseguentemente la condanna alla restituzione delle
somme ricevute -a titolo di caparra e di canoni mensili-, al

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quest’ultima, onde destinarlo poi ad ufficio di rappresentanza,

rimborso dei costi sopportati, al risarcimento dei danni
subiti.
Il giudice di primo grado respinse la domanda di risoluzione,
accolse quella di rimborso, e dichiarò Best Company tenuta a
corrispondere i canoni previsti ex contractu per il solo

(legittimamente) esercitato, nella sostanza, il diritto di
recesso da parte del conduttore ex art. 27 della legge 392/78.
La corte di appello di Firenze, investita del gravame proposto
dal Centro Mann, lo accolse, condannando l’appellata (della
quale venne rigettata l’impugnazione incidentale) al pagamento
della somma di 83.021 euro per differenza canoni non
corrisposti.
Per la cassazione della sentenza della Corte fiorentina la Best
Company srl ha proposto ricorso illustrato da un unico motivo
di censura.
L’intimata non ha svolto attività difensiva.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso non può essere accolto.
si denuncia

Con il primo ed unico motivo,

violazione e falsa

applicazione di norme di diritto – art. 360 n. 3 c.p.c.
segnatamente degli artt. 1362 e 1322 c.c. in riferimento alla
legge 392/1978 – art. 27.
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto
(formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile
ratione temporis,

nel vigore del D.lgs. 40/2006):

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///”?

periodo settembre 2000/febbraio 2001, ritenendo

Dica la Corte di cassazione se il contratto intercorso tra le
parti in lite, avente ad oggetto l’utilizzo di un vano oltre
all’erogazione di servizi quali segreteria, fax, centralino e
centro stampa, denominato per questo “fornitura di servizi”,
debba essere inquadrato nella previsione dell’art. 1322 c.c.,

se la disciplina della legge 392/1978 all’art. 27 possa
includere, tra gli immobili adibito ad uso diverso da quello
abitativo, la locazione di uno spazio aperto.
Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
Infondato, nella parte in cui esso contesta l’interpretazione
del contratto che entrambi i giudici di merito hanno ritenuto
di adottare, ritenendo in particolare la corte territoriale che
il contenuto della convenzione negoziale per la quale è ancor
oggi processo fosse tale da far ritenere prevalente l’aspetto
locativo di uno spazio delimitato all’interno di un più vasto
centro gestito dalla Mann anche alla luce delle in equivoche
pattuizioni riguardanti il canone (folio 4 della sentenza),
dimostrative, nell’economia contrattuale, della prevalenza
dell’uso della spazio rispetto a tutte le altre pattuizioni.
Il motivo è,

pertanto,

irrimediabilmente destinato ad

infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal
giudice d’appello dianzi descritto, sì come scevro da vizi
in parte qua,

logico-giuridici, dacché esso,

pur formalmente

abbigliati sotto la veste di una (genericamente denunciata)
violazione di legge generato dalla pretesa violazione di norme

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A2

così interpretando la volontà delle parti ex art. 1362 c.c., e

di interpretazione negoziale, si risolve, nella sostanza, in
una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione
di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede
di merito. Parte ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a
questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo

diversa lettura delle risultanze procedimentali così come
accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo
all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perché
la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della
scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere
la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in
via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a
fondamento del proprio convincimento e della propria decisione
una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare
una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur
astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non
incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del
proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad
affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale
ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio
di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 del
codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun
aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il
merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo
controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità

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di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una

a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello,
al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle
fonti del proprio convincimento. Il ricorrente, nella specie,
pur denunciando, apparentemente, una pretesa violazione di
legge della sentenza di secondo grado, inammissibilmente

(perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e
funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa
Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai
cristallizzate

quoad effectum)

come emerse nel corso dei

precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad
una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in
un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale
ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai
cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto
l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella
ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse
dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate
al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai
propri

desiderata

-,

quasi che nuove istanze di fungibilità

nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora
legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.
Quanto all’interpretazione adottata dai giudici di merito con
riferimento al contenuto della convenzione negoziale per la
quale è processo, alla luce di una giurisprudenza più che
consolidata di questa Corte regolatrice va nuovamente
riaffermato che, in tema di ermeneutica contrattuale, il

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////?

sindacato di legittimità non può investire il risultato
interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di
fatto riservati al giudice di merito, ma esclusivamente il
rispetto dei canoni normativi di interpretazione (sì come
dettati dal legislatore agli artt. 1362 ss. c.c.) e la coerenza

funditus,

Cass. n.2074/2002): l’indagine ermeneutica, è, in

fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può
essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza
della motivazione o per violazione delle relative regole di
interpretazione (vizi entrambi impredicabili, con riguardo alla
sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che deve essere
ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della
volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca
nella sola prospettazione di una diversa valutazione
ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli
esaminati.
Il motivo è poi

inammissibile, nella parte in cui pone alla

Corte una questione (quella del recesso dalla locazione di uno
spazio aperto) che appare irredimibilmente nuova, poiché non
oggetto di dibattito in sede di appello, senza che la
ricorrente, in spregio al principio di autosufficienza del
ricorso, indichi in quale fase del giudizio di merito esa sia
stata tempestivamente proposta ed illegittimamente pretermessa.
Il ricorso va pertanto rigettato.
P.Q.M.

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e logicità della motivazione addotta (così, tra le tante,

La Corte rigetta il ricorso. Nulla perle spese del giudizio di
cassazione.

Così deciso in Roma, li 20.9.2013

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