Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3009 del 10/02/2010

Cassazione civile sez. II, 10/02/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 10/02/2010), n.3009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.A.G., rappresentato e difeso dall’avv.

Intilisano Pietro ed elett.te dom.to presso lo studio dell’avv.

Carmelo D’Agostino in Roma, via Lunigiana n. 6;

– ricorrente –

contro

T.L. e G.F., rappresentati e difesi

dall’avv. Panuccio Alberto ed elett.te dom.ti presso il suo studio in

Roma, via Sistina n. 121;

– controricorrenti –

avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Reggio

Calabria n. 177/2003 depositata il 22 ottobre 2003;

e sul ricorso n. 8033/2009 R.G. proposto da:

G.A.G., rappresentato e difeso dagli avv.ti

Intilisano Pietro e Mario ed elett.te dom.to presso lo studio del

dott. Gregorio D’Agostino in Roma, via Lunigiana n. 6;

– ricorrente –

contro

T.L. e G.F., rappresentati e difesi

dall’avv. Alberto Panuccio ed elett.te dom.ti presso il suo studio in

Roma, via Sistina n. 121;

– controricorrenti –

avverso la sentenza definitiva della Corte di appello di Reggio

Calabria n. 64/2008 depositata l’11 febbraio 2008;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 15

dicembre 2009 dal Consigliere Dott. DE CHIARA Carlo;

udito per il ricorrente l’avv. Mario INTILISANO, anche per delega

dell’avv. Pietro INTILISANO;

udito per i controricorrenti l’avv. Alberto PANUCCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso perche’, previa riunione dei

ricorsi e previa integrazione della motivazione della sentenza

impugnata, si dichiari l’inammissibilita’ o la manifesta infondatezza

di entrambi, con condanna alle spese, aggravate di ufficio in ordine

al secondo ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 9 luglio 1982 i dottori agronomi T. L. e G.F. convennero davanti al Tribunale di Reggio Calabria il collega dott. G.A., con il quale avevano intrattenuto un rapporto di associazione professionale.

Produssero in giudizio una scrittura privata sottoscritta il (OMISSIS) da tutti e tre, nella quale si leggeva: “La contabilita’ relativa ai lavori professionali, svolti insieme, viene chiusa e liquidata, alla data odierna, e rimane da dividere il bosco sito nel Comune di (OMISSIS) – di foglio (OMISSIS), in parti uguali, previo distacco di due lotti di terreno che comunque non devono superare mq. 1000 ciascuno. Le spese per il distacco delle quote saranno a carico di T. e G. F. anche per la parte afferente all’INVIM, trattandosi di trasferimento giuridico e non di compravendita”. Chiesero quindi dichiararsi che il terreno menzionato nella scrittura, formalmente acquistato dal solo convenuto con rogito del (OMISSIS), era in realta’ oggetto di comunione fra tutti e tre, in quanto acquistato con danaro comune. Chiesero, inoltre, procedersi alla divisione del bene cosi’ come concordato nella medesima scrittura, nonche’ ordinarsi al convenuto di rendere il conto della gestione e corrispondere a ciascuno degli attori un terzo delle rendite o indennita’ di espropriazione percepite dalla data dell’acquisto in poi. In subordine, per l’eventualita’ che la scrittura fosse interpretata quale contratto preliminare, chiesero pronunciarsi sentenza che tenesse luogo del mancato consenso del convenuto alla divisione del bene.

Il convenuto rimase contumace e il Tribunale respinse la domanda.

Sull’appello degli originari attori e nella persistente contumacia del G.A., la Corte di Reggio Calabria, con sentenza non definitiva del 22 ottobre 2003, riformo’ la sentenza di primo grado e, ritenuto che la scrittura privata del (OMISSIS) era stata riconosciuta dal G.A., contumace, ai sensi dell’art. 215 c.p.c., n. 1, accerto’ che il bene in essa indicato era di proprieta’ comune fra le parti. Dispose quindi, come da separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio per procedere alla divisione.

Nel prosieguo del giudizio, poi, all’udienza di discussione del progetto di divisione formato sulla scorta della relazione di un esperto comparve personalmente il dott. G.A., muovendo una serie di contestazioni.

Quindi, con sentenza definitiva dell’11 febbraio 2008, la Corte di appello, ritenuta l’inammissibilita’ delle osservazioni formulate dal G.A. non essendosi questi costituito a ministero di difensore, e disattese comunque le medesime osservazioni in quanto generiche e pretestuose, ha: dichiarato esecutivo il progetto di divisione; condannato l’appellato al rimborso, in favore degli appellanti, delle quote di loro spettanza delle rendite percepite pari ad Euro 5.689,93; condannato il medesimo appellato alle spese del giudizio di secondo grado per avervi “dato causa resistendo immotivatamente alla pretesa attorea”.

Il dott. G.A. ha proposto separati ricorsi per Cassazione prima avverso la sentenza non definitiva, per cinque motivi, e poi avverso la sentenza definitiva, per altrettanti motivi. Gli intimati hanno resistito ad entrambi i ricorsi con controricorsi ed hanno anche presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – I due ricorsi, aventi ad oggetto sentenza non definitiva e sentenza definitiva pronunziate nel medesimo giudizio, vanno previamente riuniti (cfr., da ult., Cass. 2357/2003, 9377/2001).

2. – Va quindi preso in esame il primo ricorso, proposto avverso la sentenza non definitiva.

2.1. – Con il primo ed il secondo motivo – connessi e dunque da esaminare congiuntamente – si deduce la falsita’, rispettivamente, della relata di notifica dell’atto di citazione in appello e della scrittura del (OMISSIS), annunciando la proposizione di querele di falso e chiedendo, in relazione ad esse, la sospensione del giudizio di cassazione.

2.1.1. – Si tratta di motivi inammissibili, perche’ il mezzo previsto dalla legge per far valere la falsita’ di atti formati o prodotti nel giudizio di merito, che non sia stata fatta valere mediante querela di falso incidentale nel corso di quel giudizio, e’ – previo il positivo esperimento della querela di falso in via principale – la revocazione della sentenza di merito, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 2, e non il ricorso per Cassazione (cfr. spec. Cass. 986/2009, 24856/2006).

2.2. – Con il terzo motivo, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si deduce che la Corte di appello ha ritenuto la sussistenza di un mandato senza rappresentanza ad acquistare, conferito dagli attori al G.A., senza che pero’ esistesse un atto scritto, invece necessario ad substantiam trattandosi di mandato per acquisto immobiliare.

2.2.1. – Il motivo e’ inammissibile perche’ non ha attinenza con la effettiva ratio delle decisione impugnata. La quale non e’ imperniata sulla configurazione di un mandato ad acquistare a suo tempo conferito al G.A. dai suoi associati, ma piuttosto su quella di una (parziale) interposizione fittizia nell’acquisto dell’immobile avvenuto nel 1971, acquisto formalmente fatto dal solo G.A. ma in realta’ fatto anche dagli altri due. Cio’ si ricava da quanto si legge a pag. 9 della sentenza impugnata (“… l’immobile in realta’ apparteneva a tutti i professionisti e non soltanto al G.A. che solo formalmente l’aveva acquistato in proprio”) ed e’ confermato dal rilievo che nella medesima sentenza non si fa alcun cenno ad atti di trasferimento di quote di comproprieta’ in favore del T. e del G.F., che invece sarebbero stati necessari se costoro avessero avuto il ruolo di meri mandanti dell’originaria compravendita in se’ non costituente titolo della loro comproprieta’.

2.3. – Con il quarto ed il quinto motivo, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, si deduce, denunciando violazione di norme di diritto, rispettivamente che la scrittura del (OMISSIS) era priva del requisito di forma necessario – l’atto pubblico – trattandosi in realta’ di donazione (quarto motivo), e che la Corte di appello, avendo “implicitamente ritenuto che con la nominata scrittura del (OMISSIS) si sia realizzato un effetto traslativo della proprieta’ in favore dei sigg.ri T. e G.F.”, ha violato il canone ermeneutico imposto dall’art. 1363 c.c. la cui applicazione avrebbe invece condotto a conferire all’atto “il significato di trasferimento a titolo gratuito per atto tra vivi” (quinto motivo).

2.3.1. – Anche questi motivi non possono essere accolti.

I giudici di appello, infatti, non hanno interpretato la scrittura in questione come atto di trasferimento del diritto di proprieta’ in favore del T. e del G.F., ma hanno invece ritenuto – come gia’ si e’ chiarito nel disattendere il terzo motivo – che la comproprieta’ fra essi ed il G.A. risalisse all’originario acquisto del bene. Pertanto il quinto motivo e’ inammissibile, perche’ non ha riferimento alla effettiva ratio della decisione.

Conseguentemente e’ inammissibile anche il quarto motivo, perche’ e’ definitivamente smentito il presupposto da cui muove, ossia che nella scrittura in esame sia stata configurata o sia configurabile una donazione.

3. – I motivi di ricorso avverso la sentenza definitiva vanno esaminati secondo il loro ordine logico, diverso da quello seguito dal ricorrente.

3.1. – E’ pregiudiziale il secondo motivo, con cui, denunciando violazione di legge, si censura la statuizione di inammissibilita’ delle osservazioni al progetto di divisione formulate dal G. A. senza ministero di difensore. Si sostiene che, invece, il condividente ha diritto di formulare anche personalmente le contestazioni.

3.1.1. – Il motivo e’ infondato. Anche ammessa la possibilita’, per il condividente contumace, di presentarsi personalmente all’udienza di discussione del progetto di divisione per esprimere il proprio assenso o dissenso, resta il fatto che, negato l’assenso, le contestazioni che egli rivolga al progetto costituiscono le sue difese e il thema decidendum di un giudizio incidentale regolato, in linea di principio, dalle norme ordinarie, fra cui quella dell’onere del patrocinio ai sensi dell’art. 82 c.p.c., cui non vi e’ ragione di derogare.

3.2. – Con il terzo motivo si contesta l’affermazione della genericita’ e pretestuosita’ delle osservazioni rivolte dal ricorrente al progetto di divisione.

3.2.1. – La censura resta assorbita dalla confermata inammissibilita’, per effetto del rigetto del motivo precedente, delle difese del G.A. nel giudizio di merito in quanto svolte senza ministero di difensore.

3.3. – Con i motivi primo e quarto (erroneamente indicato in ricorso con il n. 5) si lamenta la mancata comunicazione al G.A. dell’inizio delle operazioni da parte dell’esperto nominato dalla Corte di appello per l’elaborazione del progetto di divisione (primo motivo) e si sostiene che il progetto di divisione deve prevedere, adeguatamente motivando, parti di uguale valore piuttosto che di eguale estensione (quarto motivo).

3.3.1. – Si tratta di motivi inammissibili perche’ si risolvono in censure al progetto di divisione che non possono essere formulate per la prima volta in questa sede, ma avrebbero dovuto essere ritualmente sollevate anzitutto nel giudizio di merito, nel quale invece il ricorrente non si e’ costituito (a mezzo di difensore), come si e’ gia’ osservato nel respingere il secondo motivo.

3.4. – Con il quinto motivo (erroneamente indicato in ricorso con il n. 6), denunciando violazione dell’art. 91 c.p.c. e vizio di motivazione, si lamenta che la Corte di appello abbia condannato il G.A. alle spese processuali sul rilievo – come si e’ gia’ riferito – che aveva “dato causa al giudizio resistendo immotivatamente alla pretesa attorea”, mentre egli non aveva affatto resistito in giudizio, essendo rimasto sempre contumace.

3.4.1. – Il motivo e’ inammissibile perche’ non coglie la effettiva ratio della decisione criticata, la quale applica il criterio della soccombenza tenendo conto del complessivo contenuto del giudizio conclusosi con le sentenze non definitiva e definitiva. Tale giudizio riguardava non soltanto la divisione ma anche una domanda di riconoscimento della comproprieta’ e un’altra di pagamento, domande relative a pretese riconosciute fondate e a cui, pero’, il G. A. si era opposto non nel giudizio, ma prima di esso, cui appunto aveva “dato causa”. Non e’, in altri termini, l’avere il G.A. resistito “in giudizio” che viene posto a fondamento della decisione.

4. – Entrambi i ricorsi vanno in conclusione respinti, con condanna del soccombente alle spese processuali, liquidate in dispositivo.

Va peraltro disattesa la richiesta di condanna aggravata alle spese formulata dal P.M. nelle sue conclusioni. Di essa, infatti, non ricorre il presupposto della domanda di parte; ne’ e’ applicabile, ratione temporis, la previsione del potere officioso di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3 introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 ed applicabile ai soli giudizi instaurati dopo la data dell’entrata in vigore della stessa (art. 58, comma 1, legge cit.).

P.Q.M.

LA CORTE Riuniti i ricorsi, li rigetta e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 2.200,00, di cui 2.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2010

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