Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30086 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 15/12/2011, dep. 29/12/2011), n.30086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.L., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Giulia

di Colleredo n. 46 – 48, presso l’avv. De Paola Gabriele, che lo

rappresenta e difende, per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del ministro in

carica, ex lege domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e

difende, come da c.d. atto di costituzione del 15 giugno 2009;

– resistente –

avverso il decreto, che ha concluso il procedimento n. 722/08 del

R.V.G. della Corte di appello di Firenze, del 13 – 24 febbraio 2009,

notificato il 16 marzo 2009;

Udita, all’udienza del 15 dicembre 2011, la relazione del cons. Dott.

Fabrizio Forte e sentito il P.M. Dott. RUSSO Libertino Alberto, che

ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.L., con ricorso del 1 ottobre 2008 alla Corte d’appello di Firenze, ha chiesto di condannare il Ministero dell’Economia e delle Finanze a corrispondergli l’equa riparazione per i danni da irragionevole durata del processo da lui iniziato con ricorso al TAR del Lazio del 26 aprile 2000, al fine di ottenere il riconoscimento del recupero del trattamento di missione nel periodo del riposo compensativo a lui spettante, quale dipendente del Ministero della difesa impiegato in una missione internazionale in Albania, processo ancora pendente alla data sopra indicata della domanda.

Il ricorrente ha chiesto che gli fosse corrisposto l’indennizzo per la durata prevedibile di detto processo presupposto di almeno nove anni e la domanda è stata rigettata dalla Corte fiorentina con il decreto di cui in epigrafe, perchè l’istante aveva agito dinanzi al giudice amministrativo, in base a diritti sorti in capo a lui nell’esercizio di poteri pubblici quale autorità di polizia all’estero svolta nell’interesse generale.

L’adita Corte d’appello ha rilevato che la consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, dopo la sentenza 8 dicembre 1999, Pellegrin contro Francia, ha negato sempre l’applicabilità dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per le azioni giudiziarie intraprese da pubblici dipendenti per effetto di compiti espletati nell’esercizio di poteri pubblici e nell’interesse della collettività.

La citata sentenza della Corte di Strasburgo era stata seguita da quella analoga Martinie c. Francia, del 12 aprile 2006, ric. n. 58675/00, che ha riaffermato la pregressa lettura della Convenzione, per cui, nella fattispecie, ad avviso della Corte di merito, nulla poteva riconoscersi al T. che, nel processo presupposto, aveva agito a tutela di diritti sorti per l’attività di polizia da lui svolta all’estero, con esercizio di poteri pubblici. Per la cassazione di tale decreto, il T. ha proposto ricorso di unico motivo, notificato a mezzo posta il 13 -18 maggio 2009 alla Avvocatura generale dello Stato di Roma, cui resiste il Ministero dell’Economia e delle Finanze con atto impropriamente qualificato di costituzione non convertibile in controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e dell’art. 6, par. 1, e dell’art. 41 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo oltre che della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2.

In contrasto con il diritto vivente della Corte europea dei diritti dell’uomo (si cita da ultimo la sentenza della Grande Camera del 19 aprile 2007, sul ric. n. 63235/00, Vilho Eskelinen e altri c. Finlandia), la Corte d’appello di Firenze ha ritenuto erroneamente inapplicabile l’art. 6, par. 1, della Convenzione europea ai pubblici dipendenti, in ordine alle azioni di costoro a tutela di propri crediti, come quella oggetto del giudizio presupposto, volto a ottenere il riconoscimento della indennità di missione anche nei periodi di recupero del riposo per i dipendenti pubblici impegnati in operazioni di polizia all’estero. In sostanza, se le pregresse sentenze escludevano le garanzie dell’art. 6 della Convenzione per le controversie tra amministrazione e soggetti titolari di pubblici impieghi con partecipazione all’esercizio di potestà pubblica (Grande Camera 8 dicembre 1999 Pellegrin e. Francia su ric. 2854/95 e Martinie c. France 12 aprile 2006, ric. 58675/00), la successiva citata sentenza sopranazionale del 2007 esclude invece ogni rilievo alle funzioni pubbliche esercitate da chi domanda l’applicazione dell’art. 6, quando la controversia abbia ad oggetto pretese economico patrimoniali, definibili come diritti civili per la cui tutela la Convenzione è stata adottata dagli Stati che ad essa hanno aderito.

Il quesito di diritto chiede di affermare, in contrasto con il principio ritenuto corretto nel decreto impugnato, quello per il quale può configurarsi un diritto ad un’equa riparazione per le cause relative a diritti di natura civile, anche se promosse da pubblici impiegati per questioni meramente economiche relative ad indennità per il trattamento di missione all’estero.

Il T. chiede quindi nel ricorso che, cassato il decreto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., questa Corte – condanni il Ministero a pagargli Euro 5.500,00, con gli interessi legali come per legge, a titolo di equo indennizzo per la ingiusta durata del processo presupposto.

2. Il ricorso è fondato.

Le sentenze della Corte di Strasburgo citate nel decreto escludevano dal campo di applicazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo “le controversie sollevate da funzionari pubblici i cui compiti caratterizzano le attività specifiche del servizio pubblico, nella misura in cui questi agiscono come depositari dell’autorità pubblica responsabile per la tutela degli interessi generali dello Stato o altri enti pubblici. Un esempio evidente di tali attività è fornito dalle forze armate e la polizia.” (così testualmente il par. 66 della sentenza Pellegrin c. Francia). Si afferma invece nella sentenza Vilho Eskelinen e altri c. Finlandia sopra citata che la stretta applicazione dei criteri che precedono può portare al risultato anomalo di escludere l’applicazione della Convenzione a persone la cui posizione non differisce da quella di qualsiasi altro ricorrente, che abbia una qualsiasi disputa salariale non caratterizzata dallo “speciale legale rapporto di fiducia e lealtà” con lo Stato datore di lavoro, per cui deve presumersi l’applicabilità dell’art. 6 più volte richiamato anche alle cause dei dipendenti pubblici, salvo che il governo convenuto non provi che il diritto interno espressamente esclude l’accesso alla giurisdizione nei casi di specie e che tale esclusione sia oggettivamente giustificata dall’interesse dello Stato (nello stesso senso Corte europea dei diritti dell’uomo, 2A sezione, Silvestri c. Italia, 9 settembre 2009, ric. n. 16881/92, par. 46-48).

In conclusione, il T. era legittimato a chiedere l’applicazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e quindi il decreto impugnato deve essere cassato per la dedotta violazione di legge. Data la esplicita richiesta del ricorrente non contrastata dal resistente, nel caso può applicarsi l’art. 384 c.p.c., in quanto la violazione delle norme di diritto emerge chiara e i fatti a base della domanda non sono contestati, per cui sugli stessi non sono necessari altri accertamenti. La Corte deve quindi cassare il decreto impugnato e in ragione della durata del processo ancora pendente in primo grado alla data della domanda (1 ottobre 2008) e iniziato il 26 aprile 2000, può rilevare che il processo presupposto è durato complessivamente anni otto, mesi cinque e giorni cinque.

In base ai principi affermati dalla Corte di Strasburgo ogni processo non può avere in primo grado una durata maggiore di anni tre e sono presumibilmente ingiustificati i residui anni cinque, mesi cinque e giorni cinque. In base ai precedenti di questa Corte che si conforma ai principi enunciati per la liquidazione dell’indennizzo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, per i danni non patrimoniali subiti dal T. per effetto della irragionevole durata del processo presupposto, competono, per i primi tre anni, Euro 750,00 all’anno e per i residui due anni e cinque mesi e giorni cinque spettano Euro 1.000,00 all’anno e complessivamente Euro 4.681,00 (Euro 2.250,00 per i primi tre anni ed Euro 2.431,00 per i residui due anni, cinque mesi e cinque giorni), oltre agli interessi dalla data della domanda al saldo.

Per la soccombenza, le spese dell’intero giudizio devono porsi a carico del Ministero resistente e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione e cassa il decreto impugnato; decidendo la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare al ricorrente Euro 4.431,00 (quattromilaquattrocentotrentuno/00) con gli interessi dal 1 ottobre 2008 al saldo e le spese del processo, che determina, per la causa di merito, in Euro 1.028,00 (milleventotto/00), di cui Euro 600,00 (seicento/00) per onorari, Euro 378,00 (trecentosettantotto/00) per diritti ed Euro 50,00 (cinquanta/00) per spese e, per quello di cassazione, in Euro 750,00 (settecentocinquanta/00), di cui Euro 50,00 (cinquanta/00) per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge per entrambi i gradi.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 5.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1A sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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