Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30085 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 15/12/2011, dep. 29/12/2011), n.30085

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.R., elettivamente domiciliata in. Roma, alla Via

Marcello Prestinari n. 15, presso l’avv. Fusillo Antonio, che con

l’avv. Helene Egger Matsher del foro di Merano la rappresenta e

difende, per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

RA.HA., quale erede per testamento pubblico del 4

ottobre 2002, per notar Ploerer, di Ra.Mi. deceduto

il (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, alla Via

Confalonieri n. 5, presso l’avv. Andrea Manzi, che, con l’avv. Salva

Lorenzo di Merano, lo rappresenta e difende, per procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Trento, sez. di

Bolzano, n. 41, del 24 gennaio – 27 febbraio 2007;

Udita, all’udienza del 15 dicembre 2011, la relazione del Cons. dott.

FORTE Fabrizio;

Uditi l’avv. Alessandro Fusillo per delega, per la ricorrente, l’avv.

Albini, per delega, per il controricorrente e il P.M. Dott. RUSSO

Libertino Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del terzo

motivo, il rigetto del primo e del secondo e l’assorbimento del

quarto motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, in parziale accoglimento dell’appello di Ra.Ha., erede universale dell’originario convenuto Ra.Mi., ha sciolto la comunione legale e assegnato all’appellante nella qualità, l’area in Catasto del Comune di (OMISSIS) in P.la 112/66, ponendo a suo carico il pagamento del conguaglio della metà del valore della stessa, liquidata in Euro 1.500,00, alla appellata R.R., le cui domande di accertamento della comunione legale con il defunto marito sulla casa familiare e di scioglimento di questa sono state invece rigettate, con condanna della donna alle spese dei due gradi del giudizio.

La R. nel 2001 aveva convenuto in giudizio, davanti al Tribunale di Bolzano-Merano, il marito separato Mi.

R., assumendo che la donazione allo stesso dal fratello di lui Ri. delle P.le fondiarie n. 112/47 in P.T. 423/11 e n. 112/48 in P.T. 424/11, entrambe in Catasto di (OMISSIS), simulava una vendita di tali terreni a lei e al marito per L. 15.000.000, con conseguente comunione legale su tali aree, sulle quali era stata costruita la casa familiare con i risparmi di entrambe le parti, che insieme avevano contratto il mutuo, restituito pure con i frutti di un terreno coltivato da entrambi i coniugi.

Poichè casa e terreno erano tavolarmente intestate al solo marito separato, la R. chiedeva al Tribunale di dichiarare simulata la donazione e di accertare la vendita intervenuta e la comunione legale sugli indicati immobili, oltre che su un terreno in P. 112/66 in P.T. 157/11 nel Catasto indicato, acquisito successivamente e destinato a parcheggio a servizio della casa.

In base al detto accertamento la R. chiedeva poi di sciogliere la comunione legale su detti beni, assegnandole le porzioni di questi corrispondenti alla metà o, in subordine, di riconoscere il suo diritto di superficie sulla metà della casa familiare ovvero di condannare il convenuto a pagarle la metà del valore dei detti immobili.

Nella contumacia del convenuto, il Tribunale adito, con sentenza del 29 giugno 2005, riteneva provato che la donazione dissimulava una compravendita con prezzo pagato dai coniugi R. – Ra. e che la casa era stata costruita ad opera dell’attrice e del marito che insieme avevano acquistato il terreno frontistante destinato a parcheggio e servizio della casa, per cui tali immobili erano in comunione tra le parti in causa e la porzione di essi individuata nella decisione come corrispondente alla loro metà era da assegnare in proprietà alla attrice, con ogni conseguente operazione tavolare e condanna del convenuto alle spese di causa.

Contro tale pronuncia proponeva appello il figlio dei coniugi in causa, Ra.Ha., quale erede universale testamentario del padre, chiedendo la riforma della sentenza del Tribunale, per non esservi prova della simulazione posta dall’attrice a base della domanda, per cui la casa familiare non rientrava nella comunione legale, mancando la dimostrazione del contributo dato dall’appellata alla costruzione dell’edificio che ella pretendeva comune, e quindi ogni domanda della stessa doveva rigettarsi. R. R., in appello, eccepito il difetto di legittimazione processuale e sostanziale dell’appellante, quale figlio delle parti e legittimario con lei e l’altra figlia dell’eredità del defunto convenuto, in ragione della invalidità o inefficacia del testamento di Ra.Mi., oggetto di una controversia giudiziaria che ella avrebbe poi instaurato con la impugnativa dell’atto lesivo dei diritti dei legittimari, chiedeva invece la conferma della decisione del tribunale e il rigetto del gravame. Ad avviso dei giudici d’appello, era da rigettare l’eccezione di difetto di legittimazione dell’appellante, il quale, prima dell’accoglimento dell’eventuale domanda di riduzione, doveva considerarsi unico erede dell’originario convenuto, legittimato ad appellare, non essendo fondata la richiesta di sospensione, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., della presente causa fino all’esito di quella ancora non instaurata di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive delle quote legittime.

La Corte ha accolto l’appello in ordine alla mancata prova della simulazione della donazione del 3 dicembre 1976 da Ra.

R. al fratello M. del terreno in contestazione, negando che l’atto dissimulasse una compravendita per il prezzo pagalo dai coniugi all’alienante di L. 15.000.000, come dedotto dall’appellata.

Le prove orali assunte dimostravano il lavoro dell’appellata, ma non la dissimulazione della compravendita da parte di entrambi i coniugi delle aree oggetto di causa e il connesso acquisto in comunione e poi, per accessione, della casa familiare costruita su dette aree.

Ancor meno sussisteva la prova documentale delle pretese dell’appellata, che aveva prodotto solo alcuni estratti conto correnti bancari degli anni 1971, 1972 e 1973, che non dimostravano la simulazione, con la conseguenza che unico proprietario e acquirente dei suoli era da ritenere Ra.Mi., con acquisizione in suo esclusivo favore per accessione della costruzione realizzata sui terreni da lui solo ricevuti in dono in sua esclusiva proprietà, in base a concessioni edilizie intestate solamente a suo nome.

Ad avviso della Corte di merito, dal marito la R. avrebbe potuto avere in restituzione, ai sensi dell’art. 2033 c.c., le somme eventualmente da lei erogate come contributo alla costruzione.

La Corte ha rilevato però che l’appellata R. aveva esercitato solo l’azione ai sensi dell’art. 2041 c.c., per ottenere la metà del valore della casa, detratto quello eventuale del suolo, ed ha qualificato tale azione improponibile ai sensi dell’art. 2042 c.c., dato il diritto di agire della donna per ripetizione di indebito non esercitato, con preclusione conseguente dell’azione sussidiaria di ingiustificato arricchimento, che comunque era da rigettare nel merito, in difetto della prova degli esborsi da parte della donna.

Ritenute tardive e irrituali le produzioni documentali offerte in appello dalla R. e ininfluenti le emergenze della istruttoria svolta in primo grado, ai fini della prova della partecipazione alle spese per la costruzione della casa familiare, tutte le domande dell’appellata relative alla casa familiare e al suolo su cui essa era costruita erano state quindi respinte.

Lo stesso pagamento dall’appellata di alcune delle somme dovute per la costruzione era ininfluente, mancando la prova che le somme versate non provenissero dal marito.

La domanda della R. era invece fondata e andava accolta per la parte relativa alla particela acquisita dai coniugi in comunione dal Comune di (OMISSIS) e destinata a parcheggio e a servizio della casa familiare.

Determinato il valore di tale terreno in comunione in Euro 3.000,00, la Corte di merito ha stabilito in Euro 1.500,00 l’indennizzo dovuto alla donna dall’appellante per l’acquisto della metà dell’area pertinenziale dell’immobile in proprietà esclusiva di Ha.

R. ed ha condizionato alla consegna di tale somma alla donna il trasferimento a lui della proprietà della metà dell’area destinata a parcheggio. Per la cassazione di tale sentenza del 27 febbraio 2007 della Corte d’appello di Trento, sezione di Bolzano, la R. propone ricorso di quattro motivi, notificato il 3 – 8 gennaio 2008, cui replica con controricorso notificato l’8 febbraio 2008 il Ra..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso della R. denuncia omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione sul fatto decisivo della simulazione della donazione al marito della ricorrente, dal fratello di lui, dell’area su cui s’è costruita la casa familiare, atto che dissimulava una vendita dello stesso bene dal medesimo alienante ad entrambi i coniugi e la violazione dell’art. 1417 c.c., in riferimento alla prova per testi della simulazione richiesta da terzi.

La sentenza impugnata ha negato si sia provato dall’appellata che la donazione da Ra.Ri. al fratello M. delle P.le 112/47 e 48, sulle quali s’è costruita la casa familiare, dissimulasse una vendita allo stesso e alla R. delle aree, trasferite in comunione ai coniugi. Afferma la ricorrente che erroneamente si è negata la rilevanza, per la prova della simulazione, della deposizione testimoniale di Ra.Li., figlia dei coniugi, che ha confermato i vari lavori svolti, nel periodo dal 1970 al 1984, dalla madre, nei campi con il marito, quale cuoca in una discoteca, e come dipendente della ditta Fructus Meran e l’attività di affittacamere della donna nello stesso periodo, nel quale ebbero luogo le vicende descritte in domanda dalla madre che con detti lavori percepiva redditi rilevanti. La prova documentale dell’accensione di tre mutui bancari, per complessive L. 21.000.000, e le 15 quietanze di rate di mutuo dal 1976 al 1979 prodotte dalla ricorrente con un certificato bancario di L. 3.000.000 con annotazione a mano Ra.Ri., evidenziante, ad avviso della R., che tale somma era stata corrisposta al fratello dante causa del terreno erano tutti elementi che escludevano la natura di atto di liberalità della c.d. donazione che escludeva la comunione tra i coniugi sulla casa familiare.

Anche la produzione del libretto bancario intestato ai coniugi prova, ad avviso della ricorrente, la natura comune di tutti i risparmi investiti per l’acquisto del terreno e la costruzione della casa.

Il quesito conclusivo, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., in ordine alla carente motivazione, denuncia la insufficienza di questa, in rapporto alla rilevanza della prova testimoniale assunta per dimostrare la simulazione, avendo i giudici ritenuto “neutre”, rispetto alla vicenda traslativa, le affermazioni sul lavoro della R. che provavano solo le prestazioni lavorative della donna, ma non il pagamento, da parte sua, del prezzo della compravendita dissimulata con versamenti bancari.

La ricorrente denuncia inoltre e sempre ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. la violazione dell’art. 1417 c.c., per il mancato rilievo dato dai giudici di merito alla prova per testi chiesta da un terzo, per provare la simulazione.

1.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione della L. 19 maggio 1975, n. 151, art. 228 in combinato disposto con il D.L. 9 settembre 1977, n. 688, art. 1 convertito in L. 21 ottobre 197, n. 804.

Sul presupposto della fondatezza del primo motivo di ricorso, si chiede di accertare la violazione delle norme che precedono, per non avere riconosciuto che l’atto del 3 dicembre 1976, di apparente donazione del terreno sul quale è stato costruita la casa familiare, ma costituente una vendita dal medesimo dante causa ai coniugi dell’area, in mancanza di volontà contraria di uno di questi, comporta la comunione legale sul suolo comprato, su cui è stata realizzata la casa.

1.3. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 177 c.c. e dell’art. 192 c.c. e segg. nonchè dell’art. 320 c.c. e omessa o carente motivazione sull’apporto lavorativo della ricorrente R. alla costruzione della casa. Le norme che precedono comportano che tutti i beni acquisiti da coniugi che abbiano contratto matrimonio prima della riforma del diritto di famiglia e non abbiano scelto la separazione dei beni devono presumersi in comunione legale. Si afferma allora la insufficiente motivazione della sentenza impugnata in ordine al contributo dato dalla ricorrente alla costruzione della casa familiare, per la quale ella è stata anche manovale, così operando materialmente per realizzare il bene di che trattasi, esercendo anche due imprese familiari, una agricola e l’altra commerciale (coltura di mele e affittacamere), con i cui proventi ha concorso, con un proprio rilevante apporto, all’acquisto della casa stessa, come confermato dal documento contenente la dichiarazione del sindaco di (OMISSIS).

Con il quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si chiede di dichiarare che, anche con l’accessione di cui all’art. 934 c.c. debbano comunque ritenersi inapplicabili alla vicenda le norme degli artt. 2033 e 192 c.c. e segg..

1.4. Si lamenta infine la violazione dell’art. 345 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto inammissibile la produzione per la prima volta all’udienza di precisazione delle conclusioni del primo grado di documenti non esibiti con la comparsa di costituzione in appello.

Tanto si afferma in relazione al documento comprovante la fornitura di mele dalla R. ad una cooperativa e in rapporto a un elenco di prezzi alla stessa pagati, nelle stagioni 1971 – 1972, per la fornitura di mele.

Le fatture e le dichiarazioni di terzi sui pagamenti della ricorrente di forniture di materiali per la casa e la copia leggibile del libretto di risparmio, già prodotto in primo grado, potevano certamente essere esibiti in qualsiasi fase o momento del giudizio di appello.

Il quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. chiede di affermare che in primo grado la contumacia della controparte aveva reso inutile la produzione dei documenti, essendo la domanda incontestata e che tanto giustificava che tali atti fossero esibiti in secondo grado.

2.1. Anche a voler ritenere ammissibile il motivo di ricorso in cui i quesiti di diritto attengano insieme sia a vizi di motivazione che a violazioni di legge (per la inammissibilità cfr. Cass. 26 marzo 2010 n. 7394 ed ord. 11 aprile 2008 n. 9470), ove si ritengano comunque articolati in più motivi e quesiti le carenze motivazionali che evidenziano un errore di qualificazione giuridica dei fatti (S.U. 31 marzo 2009 n. 7770 e 9 marzo 2009 n. 5624 e Cass. 9 giugno 2010 n. 13868, tra altre), la sintesi conclusiva dei difetti di motivazione denunciati nel presente motivo attiene all’istituto della simulazione e non ai fatti che la proverebbero, limitandosi, come già detto dai giudici di merito, a evidenziare la incontestata circostanza del lavoro della ricorrente e della produzione di redditi da parte di lei, ritenuta irrilevante per provare che la donazione era simulata, con conseguente inammissibilità della parte del primo motivo di ricorso sui vizi di motivazione che, nella sostanza, chiede solo di sostituire un giudizio della ricorrente a quello della Corte, sul rilievo dato alla prova orale assunta, con conseguente inconferenza della sintesi conclusiva rispetto al decisum, che esattamente considera non rilevanti per dimostrare l’esistenza della simulazione dell’atto di liberalità solamente le circostanze del lavoro e della produzione di redditi da parte della R., certamente provate.

Quanto poi all’errore di diritto denunciato solo nel quesito e consistito nella pretesa violazione dell’art. 1417 c.c., esso è inammissibile, in quanto proposto come mero interrogativo sull’applicabilità di detta norma al caso di specie (su tale tipo di quesito, cfr. Cass. 14 gennaio 2011 n. 744). Peraltro, nella sentenza oggetto di ricorso nessun riferimento vi è all’ammissione di una prova orale per dimostrare l’avvenuta simulazione, ma una corretta applicazione dell’art. 1417 c.c. avrebbe comportato che, in quanto l’attrice chiedeva di accertare una simulazione soggettiva, con un atto dissimulato di cui ella era parte, in ogni caso non poteva considerarsi “terza” in tale situazione e quindi legittimata a chiedere senza limiti la prova per testi, essendo essenziale la forma scritta della controdichiarazione da cui doveva emergere la compravendita, che essa affermava essersi conclusa tra il fratello del marito ed i coniugi Ra. (Cass. 2 marzo 2010 n. 4933 e, sul tema, in genere, Cass. 4 maggio 2007 n. 10240). Il primo motivo di ricorso deve quindi rigettarsi.

2.3. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, in quanto presuppongono l’accoglimento del primo, restano assorbiti dal rigetto di detto motivo.

Va quindi confermata la regola dell’art. 934 c.c., la quale comporta che, anche nel caso di comunione legale tra i coniugi, le aree in proprietà esclusiva d’uno di loro danno luogo ad accessione in favore del solo coniuge proprietario unico di esse (Cass. 30 settembre 2010 n. 20508), con conseguente inapplicabilità dell’art. 177 c.c., comma 1, e negazione della comunione legale sul manufatto realizzato su tali terreni, che si acquisisce al solo loro titolare, essendo l’altro coniuge legittimato ad agire ai sensi dell’art. 2033 c.c. (Cass. 14 aprile 2004 n. 7060), se ha contribuito alla costruzione e sempre che provi di avere versato somme di sua proprietà per la costruzione del manufatto divenuto per accessione di proprietà del titolare esclusivo del terreno.

2.3. Il quarto motivo di ricorso, che denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c., è infondato, essendosi escluso anche nel regime previgente alla novella della L. 18 giugno 2009, n. 69 che fosse possibile la produzione in appello di documenti, oltre il limite temporale della fase di costituzione in giudizio, in applicazione degli artt. 163 e 166 c.p.c. (Cass. 10 giugno 2011 n. 12731, 20 ottobre 2010 n. 21561, ed altre, tutte conformi a S.U. 20 aprile 2005 n. 8203).

3. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi e, per la soccombenza, le spese del giudizio di cassazione devono porsi a carico della ricorrente, liquidandosi come in dispositivo in favore del controricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1A sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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