Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30082 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 12/12/2011, dep. 29/12/2011), n.30082

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

RAI-RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), nella

qualità di incorporante della cessata RAI-Radiotelevisione Italiana

Società per Azioni, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO 14, presso

l’avvocato D’ANGELANTONIO CLAUDIO, che la rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

TURNER ENTERTAINMENT CO., derivante dalla fusione per incorporazione

della Turner Entertainraent Co. nella pepamar Music Corp., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA F. SIACCI 38, presso l’avvocato TONAZZI SILVIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MONDINI GIORGIO, giusta

procura speciale del 4.4.06 in autentica Notary Public Susan Kay

Proctor ed apostillata il 7.4.07;

– controricorrente –

contro

ROYAL FILMS INTERNATIONAL OF ITALY S.R.L., CECCHI GORI GROUP

FIN.MA.VI. S.R.L., SWALLOW S.A.S.;

– intimati –

sul ricorso 12523-2006 proposto da:

SWALLOW S.A.S., in persona dell’Amministratore unico pro tempore,

ROYAL FILMS INTERNATIONAL OF ITALY, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

DEL FANTE 10, presso l’avvocato DE JORIO FILIPPO, che li rappresenta

e difende, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

TURNER ENTERTAINMENT CO., derivante dalla fusione per incorporazione

della Turner Entertainment Co. nella pepamar Music Corp., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA F. SIACCI 38, presso l’avvocato TONAZZI SILVIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MONDINI GIORGIO, giusta

procura speciale del 4.4.06 in autentica Notary Public Susan Kay

Proctor ed apostillata il 7.4.07;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

RAI S.P.A., CECCHI GORI GROUP FINMAVI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE E

CONCORDATO PREVENTIVO;

– intimati –

sul ricorso 12528-2006 proposto da:

CECCHI GORI GROUP FIN.MA.VI. S.P.A. IN LIQUIDAZIONE E CONCORDATO

PREVENTIVO, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA NAPOLEONE COLAJANNI 3, presso l’avvocato

GIUGNI OTTORINO, che la rappresenta e difende, giusta procura a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

TURNER ENTERTAINMENT CO., derivante dalla fusione per incorporazione

della Turner Entertainment Co. nella pepamar Music Corp., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA F. SIACCI 38, presso l’avvocato TONAZZI SILVIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MONDINI GIORGIO, giusta

procura speciale del 4.4.06 in autentica Notary Public Susan Kay

Proctor ed apostillata il 7.4.07;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

RAI S.P.A., ROYAL FILMS INTERNAZIONALE OF ITALY S.R.L., SWALLOW

S.A.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/12/2011 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

udito, per la ricorrente RAI, l’Avvocato CLAUDIO D’ANGELANTONIO che

ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso principale;

udito, per le controricorrenti e ricorrenti incidentali Swallow Sas

+1, l’Avvocato DE JORIO che ha chiesto l’accoglimento del proprio

ricorso incidentale (e aderisce al ricorso RAI);

uditi, per la controricorrente Turner (in tutti e 3 i ricorsi), gli

Avvocati SILVIO TONAZZI e GIORGIO MONDINI che hanno chiesto il

rigetto dei ricorsi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso:

previa riunione, accoglimento del secondo motivo del ricorso

principale (esonero da responsabilità per evizione) e del quinto

motivo (art. 194 c.p.c.) del ricorso incidentale Swallow; rigetto

degli altri motivi anche dell’altro ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società statunitense Turner Entertainment Co. (in prosieguo indicata solo come Turner) con atto notificato il 12 febbraio 1990 citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la Royal Film International of Italy s.r.l. (in prosieguo Royal), la Swallow s.a.s.

di Pascolini Alessandro (in prosieguo Swallow), la Cecchi Gori Group FIN.MA.VI. s.p.a. (in prosieguo Cecchi Gori) e la Rai – Radiotelevisione Italiana s.p.a. (in prosieguo Rai). Riferì di aver acquistato il 7 dicembre 1987 dalla RKO Pictures Inc. (in prosieguo RKO) il diritto di sfruttamento esclusivo nel mondo intero di una pluralità di opere cinematografiche e lamentò che la Royal, la quale aveva titolo per sfruttare le medesime opere unicamente in alcuni paesi europei e solo per un periodo anteriore, avesse poi preteso di cedere tale diritto, anche per anni successivi al 1987, alla Swallow, e che quest’ultima avesse poi a propria volta ceduto il medesimo diritto di sfruttamento alla Cecchi Gori, dalla quale esso era stato ulteriormente trasferito alla Rai. Ciò premesso, l’attrice chiese al tribunale di accertare la propria esclusiva titolarità del diritto di sfruttare le opere cinematografiche di cui si tratta, di inibirne alle convenute ogni ulteriore utilizzazione e di condannare le convenute medesime al risarcimento dei danni.

Il tribunale rigettò le domande, ma la Corte d’appello di Roma, investita del gravame proposto dalla Turner, in riforma della decisione di primo grado, con sentenza depositata il 2 gennaio 2006 accertò il diritto di esclusiva dell’attrice su trentotto delle trentanove opere cinematografiche da essa indicate, ne inibì l’ulteriore uso alle convenute e le condannò in solido al risarcimento del danno, liquidato in complessivi Euro 1.612.500,00 (oltre agli interessi), limitando peraltro l’obbligo risarcitorio solidale della Cecchi Gori e della Rai al minor importo di Euro 968.171,79 (oltre ad interessi), giacchè queste ultime avevano negoziato i diritti di sfruttamento di sole quattordici opere.

Dopo aver disatteso un’eccezione preliminare concernente il difetto di potere rappresentativo in capo a chi, in primo grado, aveva rilasciato la procura al difensore della Turner, la corte territoriale ravvisò la prova della titolarità dei diritti vantati dalla società attrice nel contratto da essa stipulato con la RKO e nella fotocopia di atti attestanti i successivi passaggi – fotocopie la cui conformità all’originale non era stata idoneamente contestata dalle controparti – ed escluse che le indicazioni contenute in detto contratto, a suo tempo registrato presso il Copyright Office statunitense, fossero insufficienti a consentire la precisa individuazione delle opere cinematografiche che ne erano ad oggetto ed il cui diritto di sfruttamento era stato trasferito alla Turner.

Aggiunse poi la corte che la documentazione acquisita dimostrava come la società cedente avesse avuto la piena titolarità delle opere i cui diritti di sfruttamento aveva ceduto, e che, viceversa, la mancanza dei supporti fisici originali delle opere cinematografiche acquistate a non domino dalla Rai escludeva che quest’ultima potesse invocare a proprio favore il disposto dell’art. 1153 c.c., difettando il requisito della buona fede.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Rai, prospettando cinque motivi di censura, ai quali la Turner ha replicato con controricorso.

Sono stati poi depositati altri due distinti controricorsi, contenenti entrambi motivi di ricorso incidentale, l’uno dalla Cecchi Gori e l’altro, congiuntamente, dalla Swallow e dalla Royal; ed a tali ricorsi incidentali la Turner ha replicato con altrettanti ulteriori controricorsi.

Le parti hanno anche depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono preliminarmente esser riuniti, come dispone l’art. 335 c.p.c..

2. I motivi del ricorso principale e quelli dei due ricorsi incidentali sono in parte sovrapponibili. Quando possibile li si esaminerà dunque congiuntamente, dando comunque la precedenza alle censure che investono profili processuali attinenti all’introduzione del giudizio di primo e di secondo grado, per poi passare a quelle concernenti il merito della decisione.

2.1. Tanto nel primo motivo del ricorso principale della Rai quanto nel primo motivo del ricorso incidentale della Swallow si fa riferimento agli artt. 75, 83, 125 e 165 c.p.c. e si afferma che la corte d’appello ha errato nel respingere l’eccezione di nullità dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado; nullità derivante dal difetto di poteri in capo alla sig.ra G., la quale, in nome della società statunitense Turner, aveva rilasciato la procura al difensore firmatario della citazione.

La Swallow sostiene, inoltre, che l’appello proposto dalla Turner avrebbe dovuto esser dichiarato inammissibile, a norma dell’art. 342 c.p.c., per difetto di specificità.

2.1.2. Le doglianze sono infondate.

La corte di merito, pur riconoscendo l’originario difetto di potere rappresentativo della società in capo a chi ebbe a sottoscrivere la procura al difensore che poi spiccò l’atto di citazione, ha sottolineato come la società Turner si sia in seguito regolarmente costituita a mezzo del proprio legale rappresentate in grado d’appello ed abbia espressamente ratificato l’operato del soggetto da cui essa era stata malamente rappresentata in primo grado. Donde l’intervenuta sanatoria dell’originario difetto di rappresentanza.

Siffatta decisione appare conforme all’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, appunto, il difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisce in giudizio in rappresentanza di un ente può essere sanato in qualunque stato e grado della causa, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato dell’effettiva rappresentanza dell’ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator. E si è aggiunto che tanto la ratifica, quanto la conseguente sanatoria, devono ritenersi ammissibili anche in relazione ad eventuali vizi inficianti la procura originariamente conferita al difensore da un soggetto non abilitato a rappresentare la società in giudizio, trattandosi di atto soltanto inefficace e non anche invalido per vizi formali o sostanziali, attinenti a violazione degli art. 83 e 125 c.p.c. (cfr. Cass. 27 marzo 2009, 7529; Cass. 15 settembre 2008, n. 23670; Cass. 19 giugno 2007 n. 14260; Cass. 24 maggio 2007, n. 12090; Cass. 29 settembre 2006, n. 21255; ed altre conformi). Nella stessa logica si colloca anche il più recente intervento delle sezioni unite (sentenza n. 9217 del 2010), secondo cui l’art. 182 c.p.c., comma 2, già nel testo applicabile “ratione temporis” prima delle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009, imponeva al giudice di promuovere in qualsiasi fase e grado del giudizio la sanatoria delle cause del difetto di rappresentanza della parte, con effetti ex tunc: donde l’ovvio corollario che, a maggior ragione, i medesimi effetti sananti possono esser conseguiti dalla parte anche spontaneamente con la propria iniziativa di costituirsi ratificando il precedente comportamento di chi aveva agito essendo privo di poteri.

La ricorrente non adduce argomenti significativi che impongano di ripensare tale orientamento, perchè la possibilità in questo modo lasciata alla parte di scegliere, a seconda delle proprie convenienze, se ratificare o meno il comportamento del falsus procurator è il naturale portato dell’istituto della ratifica, in qualunque campo applicato. Nè tale meccanismo, sul piano processuale, compromette in alcun a modo il diritto di difesa della controparte, che è sempre in grado di esplicarsi liberamente, potendo il convenuto far valere il vizio di costituzione in giudizio dell’attore (o viceversa) se e fino a quando esso effettivamente sussiste, e restando poi affidata alla decisione in tema di spese del processo l’eventuale necessità di porre rimedio alle maggiori spese provocate dall’originario difetto di rappresentanza poi sanato. Donde la manifesta infondatezza dell’eccezione d’illegittimità costituzionale a tal proposito sollevata dalla difesa della ricorrente.

2.1.3. Quanto all’eccepita genericità dei motivi d’appello, giova ricordare che la prescritta specificità di detti motivi risponde all’esigenza d’individuare le statuizioni concretamente impugnate e di mettere tanto il giudice del gravame quanto la controparte nella condizione di conoscere e di valutare le ragioni per le quali tali statuizioni sono criticate dall’impugnante.

Nel caso di specie, com’è agevole desumere dalla narrativa della stessa sentenza di secondo grado, avendo il tribunale rigettato le domande proposte nell’atto di citazione spiccato dalla Turner, questa ha lamentato non fossero state correttamente individuate le parti di numerosi contratti oggetto del giudizio, che fosse stato fatto mal governo delle risultanze istruttorie e che fosse stato erroneamente applicato nella specie il disposto dell’art. 1153 c.c.. Appare dunque ben chiara la contrapposizione tra il fondamento della decisione appellata e le opposte tesi sostenute dall’appellante.

Contrapposizione di cui anche le parti appellate hanno mostrato del resto di avere avuto piena consapevolezza, sviluppando a propria volta diffuse difese al riguardo, onde è sicuramente escluso che si sia verificata una lesione del diritto di difesa o del diritto al contraddittorio, o che sia stato in alcun modo leso uno dei principi regolatori del giusto processo.

2.2. Il secondo motivo del ricorso principale è volto a lamentare la violazione di molteplici articoli del codice civile, oltre che vizi di motivazione dell’impugnata sentenza. Censure in larga misura analoghe sono contenute nel primo motivo del ricorso incidentale della Cecchi Gori e nei rimanenti motivi del ricorso incidentale della Swallow, le quali, inoltre, si dolgono sia del fatto che il consulente tecnico d’ufficio designato in primo grado abbia acquisito ed utilizzato documenti non ritualmente prodotti in causa dalle parti, sia del fatto che la corte d’appello abbia dato rilievo a documenti prodotti dalla Turner per la prima volta in sede di gravame.

2.2.1. Le censure da ultimo riferite non colgono nel segno.

Il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione di un principio, già in più occasioni affermato da questa corte, secondo cui, pur non essendo la consulenza tecnica di ufficio qualificabile come mezzo di prova in senso proprio e non potendo essere utilizzata per sgravare le parti dai loro oneri probatori, è consentito affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (cosiddetta consulenza deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (cosiddetta consulenza percipiente), quando si tratti di fatti che la parte ha dedotto e posto a fondamento della sua domanda e l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (si veda da ultimo, tra le altre, Cass. 13 marzo 2009, n. 6155).

L’impugnata sentenza ha spiegato le ragioni per le quali, nel caso in esame, si verteva appunto in una delle situazioni che giustificano siffatto ampliamento dei compiti del consulente d’ufficio, e la ricorrente nulla dice che valga a confutare specificamente tali ragioni.

Manifestamente infondata è poi la doglianza riguardante la produzione di documenti nuovi in appello, atteso che – come già nell’impugnata sentenza non si manca di sottolineare – nel presente giudizio, instaurato prima del 30 aprile 1995, è applicabile ratione temporis l’art. 345 c.p.c. nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 353 del 1990 (cfr., in argomento, ex multis, Cass. 25 agosto 2006, n. 18488).

2.2.2. Le ulteriori doglianze contenute nei motivi di ricorso fanno riferimento al contratto che la corte d’appello ha accertato esser stato stipulato dalla Turner e dalla RKO, in forza del quale quest’ultima trasferì alla prima il diritto di sfruttamento delle opere cinematografiche di cui si discute. Ad una tale conclusione, secondo le ricorrenti, non si sarebbe invece potuto pervenire, perchè: a) la prova dell’anzidetto contratto e delle altre scritture prodotte a dimostrazione dei trasferimenti del diritto di sfruttare le opere cinematografiche in questione non avrebbe potuto esser desunta dall’esame di mere fotocopie, la cui conformità all’originale era stata sin dall’inizio contestata; b) trattandosi di scritture private provenienti da terzi, non se ne sarebbe potuto ricavare la prova dell’esistenza del contratto invocato dall’attrice, stante anche l’incompletezza e le incoerenze del contenuto di quel contratto, registrato presso il Copyright Office statunitense quando la vertenza era già in atto; c) si tratterebbe di un contratto nullo per difetto di sottoscrizione del cessionario e per indeterminatezza dell’oggetto dei diritti ceduti, nè comunque dal tenore letterale e dall’esame complessivo delle clausole contrattuali si ricaverebbe che alla Turner fosse stato davvero trasferito il diritto di sfruttare le opere cinematografiche di cui si controverte; d) dette opere non risulterebbero individuate con certezza, perchè il documento contrattuale sopra menzionato rinvia ad una scheda allegata sulla cui esattezza la medesima RKO aveva fatto constare le proprie riserve.

2.2.3. Il rilievo sub a) è destituito di fondamento, se non addirittura inammissibile.

Questa corte ha già in altre occasioni chiarito che l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto, che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive (cfr., tra le altre, Cass. civ. 30 dicembre 2009, n. 28096; e Cass. 13 agosto 2004, n. 15856). Nel caso in esame la corte d’appello ha ritenuto inammissibile la contestazione sollevata dalla difesa della Rai appunto perchè generica, e nulla in questa sede la ricorrente adduce a dimostrazione che la sua contestazione tale invece non fosse. Si aggiunga che la stessa corte d’appello ha anche osservato come fossero stati comunque acquisiti in causa elementi (segnatamente un certificato del Copyright Office statunitense) idonei a dimostrare la conformità all’originale del documento contrattuale prodotto in fotocopia, ed anche tale argomentazione non è stata censurata in modo specifico dalla ricorrente.

2.2.4. Neppure il rilievo sub b) e accoglibile.

I documenti, ed in particolare le scritture private a contenuto negoziale, pur se provenienti da terzi, ben possono essere poste dal giudice a fondamento del proprio libero convincimento ed essere apprezzate, unitamente all’insieme delle altre risultanze processuali, come prova di quanto affermato in giudizio dalla parte che le abbia prodotte (cfr. Sez. un. 23 giugno 2010, n. 15169; e Cass. 8 gennaio 2010, n. 76).

Proprio questo è accaduto nel caso in esame, avendo la corte d’appello riconosciuto valore probatorio al documento contrattuale di cui si discute anche, e soprattutto, in forza della produzione ad opera della Turner del certificato di registrazione del medesimo contratto presso l’ufficio pubblico statunitense competente in materia di copyright.

2.2.5. Gli ulteriori rilievi cui sopra s’è fatto cenno non sono ammissibili, in parte perchè si riferiscono a circostanze non risultanti dall’impugnata sentenza e che le ricorrenti non indicano di aver già dedotto nelle difese svolte nel giudizio di merito (o comunque non specificano in quali difese li avrebbero dedotte) ed in parte perchè la loro valutazione – anche al fine d’individuare un eventuale vizio di motivazione dell’impugnata sentenza su un punto decisivo e controverso della lite – implicherebbe un’analisi ed un’opera d’interpretazione delle risultanze istruttorie del processo che è strettamente rimessa al giudice del merito ed è invece inibita a questa corte. Ciò dicasi, in particolare, per i profili inerenti all’asserito difetto di sottoscrizione ed al contenuto del più volte ricordato contratto intercorso tra la RKO e la Turner, in ordine ad alcune clausole ed espressioni del quale le ricorrenti prospettano una propria interpretazione, diversa da quella seguita dalla corte di merito, che tuttavia non vale a porre in evidenza specifiche violazioni dei criteri legali di ermeneutica contrattuale stabiliti dal codice civile.

2.3. Analoghe considerazioni debbono farsi per il terzo motivo del ricorso della Rai (in parte ricalcato anche in alcuni dei profili di censura contenuti nei due ricorsi incidentali) , col quale, nel denunciare la violazione dell’art. 2697 c.c., oltre a vizi di motivazione dell’impugnata sentenza, si mettono in discussione gli elementi in base ai quali la corte di merito si è persuasa dell’effettiva e piena titolarità dei diritti di sfruttamento delle opere cinematografiche di cui si parla in capo alla società che ebbe poi a cederli alla Turner.

Occorre, anche a questo proposito, ribadire che l’analisi e l’interpretazione delle risultanze istruttorie, e gli accertamenti di fatto che ne conseguono, integrano un compito non demandabile al giudice di legittimità. Nè le censure in concreto svolte nel ricorso – censure in prevalenza rivolte alla relazione del consulente tecnico, e che neppure si specifica se ed in quale atto del precorso giudizio di merito fossero state già formulate – evidenziano vizi, lacune o contraddizioni logiche della motivazione dell’impugnata sentenza, di per sè sole idonee ad inficiarne in modo decisivo le conclusioni, risolvendosi nella contestazione di alcuni passaggi la cui rilevanza non è apprezzabile se non a condizione di procedere ad una revisione complessiva dell’elaborato tecnico acquisito in causa, come tale non ammissibile in questa sede.

2.4. La violazione dell’art. 1153 c.c., pur sempre accompagnata dalla denuncia di vizi di motivazione del provvedimento impugnato, forma oggetto del quarto motivo del ricorso principale della Rai e del secondo motivo del ricorso incidentale della Cecchi Gori.

La corte d’appello, senza pronunciarsi sulla questione se sia o meno configurabile il possesso di un’opera immateriale dell’ingegno, quale l’opera cinematografica certamente è, ha escluso che potesse utilmente essere invocata nella presente vertenza la norma da ultimo menzionata, perchè il possesso fatto valere dalle società convenute non sarebbe accompagnato dall’indispensabile requisito della buona fede.

Le censure formulate dalle ricorrenti si soffermano su quest’ultimo profilo. Ma – come la difesa di parte controricorrente non manca di sottolineare – è anzitutto indispensabile interrogarsi sulla possibilità stessa che il diritto di sfruttare economicamente un’opera dell’ingegno sia acquistato a titolo originario, in base ad un titolo astrattamente idoneo, per effetto del possesso di buona fede previsto dal citato art. 1153 c.c..

2.4.1. Si è a lungo discusso sulla possibilità stessa di configurare il possesso di beni immateriali, reso problematico dal modo in cui il nostro l’ordinamento concepisce l’istituto del possesso: inteso per lo più come relazione materiale con una cosa e non come esercizio di fatto di un apparente diritto. Non occorre però, in questa sede, sviluppare un’indagine di ordine generale sull’ammissibilità, ed eventualmente sui limiti, della controversa figura del possesso di diritti. E’ sufficiente, rimanendo entro i confini della specifica questione su cui la presente causa verte, rilevare come di un “possesso legittimo” dei diritti di utilizzazione economica delle opere dell’ingegno parli espressamente la L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 167, lett. a); e non è superfluo aggiungere che, anche in ambito europeo, il principio espresso dall’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, volto a garantire il pacifico godimento del possesso, sia stato reputato applicabile anche al possesso di beni immateriali ed opere intellettuali (si vedano le pronunce della Corte europea dei Diritti dell’Uomo del 21 aprile 2008, in causa Balan c. Moldavia, e dell’11 gennaio 2007, in causa Anheuser-Busch Inc. c. Portogallo).

Nella medesima linea, anche la giurisprudenza di questa corte ha dato talora rilievo al possesso di un’opera intellettuale. Lo ha fatto – ma ancorandolo pur sempre all’esistenza di un corpus materiale nel quale l’opera in qualche misura si estrinsechi allorchè ne ha fatto discendere l’applicabilità del privilegio speciale previsto dall’art. 2756 c.c., per la cui ricorrenza è necessaria la permanenza del bene nel possesso del creditore (Cass. 14 marzo 1968, n. 815); e lo ha fatto al fine di risolvere secondo la regola dettata dall’art. 1155 c.c. il conflitto tra più acquirenti dei medesimi diritti di utilizzazione di opere dell’ingegno (Cass. 13 novembre 1973, n. 3004).

Se ciò impedisce di rifiutare a priori qualsiasi accostamento tra l’istituto del possesso e le opere dell’ingegno, ed impone anzi di riconoscere anche in questi casi la possibilità del ricorso agli strumenti apprestati dall’ordinamento a favore di chi eserciti sull’opera un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, non ne discende però che allo sfruttamento economico di tali opere sia senz’altro applicabile qualsiasi altra norma imperniata sul possesso e che ne disciplina gli effetti giuridici.

Infatti, questa corte ha in passato già escluso che il diritto di utilizzazione economica di un’opera intellettuale possa essere usucapito (Cass. 24 febbraio 1977, n. 826). Vi osta il carattere particolare del diritto d’autore, che trova fondamento unicamente nell’atto creativo dell’idea, seguito dalla sua estrinsecazione, e che perciò non tollera altri modi di acquisto a titolo originario, quali quelli che a certe condizioni potrebbero derivare dal possesso.

E si è perciò puntualmente osservato che la citata disposizione dell’art. 167 della legge sul diritto d’autore ha voluto assicurare a chi si trovi un una posizione corrispondente a quella di un possessore di buona fede la possibilità di far valere i suoi diritti nei confronti di eventuali contraffattori, ma non ha inteso innovare ai principi che attengono alla natura immateriale dell’opera dell’ingegno ed ai modi di acquisto dei diritti ad essa inerenti.

La persuasività di tali rilievi, con particolare riguardo alla fattispecie acquisitiva contemplata dall’art. 1153 c.c., trova conferma nella stessa ragione ispiratrice della norma dettata da quest’ultimo articolo: che riposa sul carattere esclusivo del possesso di un bene e sulla conseguente unicità del suo godimento, ben riconoscibili anche da parte dei terzi e perciò in grado di garantire certezza. Caratteri, questi, che si stenterebbe invece a ritrovare nel traffico dei beni immateriali, per il trasferimento dei quali non si richiede una consegna, perchè la consegna, anche ove ricorra, si riferisce all’oggetto materiale in cui l’opera dell’ingegno talora si estrinseca senza mai però immedesimarsi in essa, come appare particolarmente evidente proprio per opere, quali quelle cinematografiche, connotate da totale riproducibilità.

2.4.2. Alla stregua dei rilievi che precedono, da intendersi come modificativi della motivazione in diritto dell’impugnata sentenza, appare evidente l’impossibilità per le società ricorrenti d’invocare a proprio favore la norma contenuta nel citato art. 1153, restando in ciò assorbiti i profili di censura a tal riguardo prospettati nei ricorsi.

2.5. L’ultimo motivo del ricorso principale si riferisce alla decorrenza del calcolo della rivalutazione monetaria e degli interessi sulla somma al pagamento della quale la Rai è stata condannata; decorrenza che la corte d’appello ha collocato nell’anno 1987, quanto alla rivalutazione, ed alla data del 15 maggio del medesimo anno, quanto agli interessi. Secondo la ricorrente, invece, poichè solo il 17 maggio 1988 è stato registrato il contratto dal quale la Turner fa discendere il suo diritto di utilizzazione delle opere cinematografiche in discorso, è da quest’ultima data che interessi e rivalutazione avrebbero dovuto esser fatti decorrere.

2.5.1. L’errore dell’impugnata sentenza è pacifico, ed anche la difesa della controricorrente Turner lo riconosce. Non si tratta, però, di un vizio di legittimità, bensì di un errore materiale, che giustifica un ricorso per revocazione – che la controricorrente riferisce essere stato già proposto dalla Rai dinanzi alla medesima corte d’appello – se non è addirittura da correggere con la procedura di cui all’art. 287 c.p.c. e segg..

3. I ricorsi debbono perciò essere tutti rigettati.

La complessità della vicenda, che ha già indotto la corte d’appello a disporre la compensazione integrale delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito, suggerisce di attenersi ad analogo criterio anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa per intero tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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