Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30082 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. II, 19/11/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 19/11/2019), n.30082

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25175/2015 proposto da:

FALLIMENTO C.R., e FALLIMENTO C.V., in persona

del comune Curatore Avv. B.R., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA LIVORNO 61/a int. 7 presso MARIA OLGA CATAPANO,

rappresentati e difesi dagli avvocati SAVINO ANTONIO MUSTI e

FRANCESCO CATAPANO;

– ricorrenti –

contro

M.R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SILLA

7, presso lo studio dell’avvocato MANUELA OLIVIERI, rappresentata e

difesa dall’avvocato DOMENICO MONTERISI;

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SILLA 7,

presso lo studio dell’avvocato MANUELA OLIVIERI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIO CAROPPO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1300/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/06/2019 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati CATAPANO Francesco e MUSTI Savino Antonio,

difensori dei ricorrenti che hanno chiesto l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato MONTERISI Domenico Rosario, difensore della

resistente M.R.M., che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con distinti atti di citazione, la curatela del fallimento di C.V. e di C.R. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Trani M.R.M., C.A. e C.G., chiedendo la riduzione delle disposizioni testamentarie del de cuius Ca.Gi., perchè lesive della quota di legittima dei falliti C.V. e R..

1.1. Gli attori esponevano che Ca.Gi., marito di M.R.M. e padre di V., R., A. e G., con testamento pubblico del 18.4.1996, aveva lasciato l’usufrutto generale alla moglie, la quota indisponibile ai quattro figli e la disponibile alla figlia A..

1.2. I convenuti si costituivano e resistevano alla domanda.

1.3. M.R.M. eccepiva l’inammissibilità della domanda di riduzione, poichè, ai sensi dell’art. 564 c.c., non vi era stata l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario.

1.4. Riuniti i giudizi, con sentenza non definitiva dell’11.5-17.6.2010, il Tribunale di Trani rigettava la domanda nei confronti di C.G. e dichiarava inammissibile la domanda nei confronti di M.R.M.; con sentenza definitiva del 24.7-1.8.2012, accoglieva parzialmente la domanda di riduzione per lesione di legittima delle disposizioni testamentarie nei confronti di C.A..

1.5. Proposto appello dalla curatela del fallimento di C.V. e di C.R., cui resisteva spiegando appello incidentale C.A., la Corte d’Appello di Bari, con sentenza del 7.5.2015, rigettava l’appello principale ed accoglieva l’appello incidentale.

Nell’interpretare la scheda testamentaria, la corte territoriale riteneva che il de cuius avesse istituito la moglie M.R. legataria dell’usufrutto generale in sostituzione della quota di legittima, sicchè, non rivestendo la medesima la qualità di erede, gli attori avrebbero dovuto, a pena di inammissibilità, accettare l’eredità con beneficio di inventario.

Con riferimento alla posizione di C.A., la corte territoriale, muovendo dal rilievo che la quota spettante a titolo di legittima e quella spettante a titolo di disponibile dovessero essere sommate tra loro, accertava che il valore della quota alla medesima assegnata era inferiore a detto importo; avendo la C. subito una lesione dalle disposizioni testamentarie, in quanto il valore del legato in favore di M.R. intaccava la quota disponibile, l’azione di riduzione nei suoi confronti non era meritevole di accoglimento.

2. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso la curatela del fallimento di C.V. e la curatela del fallimento di C.R. sulla base di tre motivi.

2.1 Hanno resistito, con distinti controricorsi, M.R.M. e C.A..

2.3. In prossimità dell’udienza, i ricorrenti e M.R. hanno depositato memorie illustrative.

2.4. All’udienza pubblica del 7.3.2019, il procuratore di M.R. ha chiesto il rinvio a nuovo ruolo per il decesso dell’unico difensore di C.A., avvenuto dopo il deposito del ricorso e prima dell’udienza di discussione.

2.5. Rinviata la causa all’udienza del 18.6.2019, Il Pubblico Ministero nella persona del Dott. Ignazio Patrone ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 588,1010,551 e 564 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la corte territoriale avrebbe erroneamente attribuito a M.R., in favore della quale il de cuius aveva lasciato l’usufrutto generale dei beni, la qualità di legataria, basandosi unicamente sull’interpretazione letterale del testamento, senza compiere ulteriori indagini sulla volontà del testatore e senza considerare che il valore dell’usufrutto era pari alla metà della massa ereditaria. Contestava la decisione della corte territoriale, che avrebbe tratto conferma della qualità di legataria della M., dalla disposizione dell’art. 1010 c.c., che prevede il pagamento da parte dell’usufruttuario delle annualità, degli interessi e dei debiti in proporzione della quota; al contrario, tale norma confermerebbe la responsabilità dell’usufruttuario in relazione ai debiti ereditari rispetto al legatario, che non ne rispondere affatto. Ulteriore elemento, a sostegno della qualità di erede dell’usufruttuario generale, andrebbe ravvisato nella previsione dell’art. 1010 c.c., comma 2, che prevede l’accordo tra proprietario ed usufruttuario per la vendita dei beni ereditari per il pagamento dei debiti ereditari.

2. Il motivo non è fondato.

2.1. In tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (institutio “ex re certa”) qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nella universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati beni.

2.2. Secondo l’insegnamento di questa Corte, nell’interpretazione del testamento il giudice deve accertare, secondo il principio generale di ermeneutica enunciato dall’art. 1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l’effettiva volontà del testatore comunque espressa, considerando congiuntamente, e in modo coordinato, l’elemento letterale e quello logico dell’atto unilaterale mortis causa, salvaguardando il rispetto del principio di conservazione del testamento (Cass. 14/10/2013, n. 23278).

2.3. Deriva da quanto precede che solo in seguito a tale duplice indagine, che è di competenza del giudice del merito, può stabilirsi se attraverso l’assegnazione di beni determinati il testatore abbia inteso attribuire una quota del proprio patrimonio unitariamente considerato (sicchè la successione in esso è a titolo universale) ovvero abbia inteso escludere la istituzione nell’universum ius, sicchè la successione è a titolo di legato (Cassazione civile sez. II, 04/03/2016, n. 4312; Cass. 25/10/2013, n. 24163). Sempre dal complessivo contenuto delle disposizioni testamentarie, deve risultare se il legato sia stato attribuito in sostituzione o in conto di legittima, tenendo conto che l’inequivoca volontà del de cuius di tacitare il legittimario con l’attribuzione di determinati beni, precludendogli la possibilità di mantenere il legato e di attaccare le altre disposizioni per far valere la riserva, costituisce legato in sostituzione di legittima mentre, in difetto di tale volontà, il legato deve ritenersi “in conto” di legittima (Cassazione civile sez. II, 31/05/2018, n. 13868).

2.4. Nel caso di specie, parte ricorrente non ha censurato la sentenza di appello sotto il profilo della violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., ma ha prospettato il vizio di falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, allegando un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

2.5. La Corte d’appello ha motivato le ragioni in base alle quali ha ritenuto di qualificare come legato in sostituzione di legittima la disposizione testamentaria, effettuata in favore di M.R.M., ritenendo, alla stregua dell’art. 1362 c.c., che la scheda testamentaria contenesse due simultanee istituzioni, di erede e di legataria. Il testatore aveva lasciato, infatti, alla moglie l’usufrutto legale di tutta la sua proprietà (” in sostituzione della quota riservatale dalla legge sui miei beni”), in contrapposizione all’istituzione di eredi dei figli (” nomino eredi i miei quattro figli”).

2.6. Il giudice d’appello ha ritenuto “chiarissima” l’interpretazione della volontà del testatore, in quanto dopo la frase “a mia moglie M.R.M., in sostituzione delle quota riservatale dalla legge sui miei beni, lascio l’usufrutto legale vita natural durante, di tutta la mia proprietà mobiliare ed immobiliare”, nominava eredi i quattro figli, dividendo tra loro i propri beni.

2.7. A fronte di questa motivata e plausibile lettura, il ricorso non censura i criteri di interpretazione della scheda testamentaria, ma contrappone una interpretazione alternativa attraverso una critica generica alla sentenza, che nega, in radice la configurabilità del legato in sostituzione di legittima, alla luce dell’interpretazione dell’art. 1010 c.c. e del valore dei beni assegnati a M.R., pari alla metà dell’asse ereditario.

2.8. Trattasi di aspetti non dirimenti per affermare la qualità di erede di M.R..

2.9 L’art. 1010 c.c., dispone espressamente che l’usufruttuario è obbligato a pagare solo le annualità e gli interessi dei debiti o dei legati da cui l’eredità stessa sia gravata. Se l’usufruttuario fosse erede, al contrario, non potrebbe essere obbligato solamente agli interessi e alle annualità e anche i debiti di capitale dovrebbero essergli addossati per una quota corrispondente al rapporto fra il valore dell’usufrutto e quello dell’intero patrimonio ereditario.

2.9.1 Sull’usufruttuario grava, quindi, il pagamento dei debiti di reddito come le prestazione periodiche, le rendite fondiarie e semplici, i canoni, gli interessi dovuti ai creditori di un capitale; i debiti di capitale, le prestazioni non periodiche, le rate di una somma capitale, nonchè il capitale dei debiti e dei legati gravano, invece, sul nudo proprietario.

2.9.2. Il necessario consenso dell’usufruttuario in caso di vendita dei beni per il pagamento dei debiti è un ulteriore elemento di raccordo delle posizioni dell’usufruttuario e del nudo proprietario, i quali vengono considerati in rapporto reciproco, secondo la normale applicazione del principio secondo cui i debiti che incidono sul reddito sono a carico dell’usufruttuario, mentre quelli che incidono direttamente sul patrimonio sono a carico del nudo proprietario.

2.9.4. In definitiva, l’art. 1010 c.c., non offre argomenti decisivi a sostegno della tesi che afferma la natura ereditaria della vocazione nell’usufrutto universale, riguardando solo i rapporti interni tra usufruttuario e nudo proprietario (Cassazione civile sez. II, 17/03/1980, n. 1758Cass. Civ. Sez. I, 11.1.1978 n. 82).

2.10. Parimenti, non è rilevante ai fini della qualifica di erede o legatario la stima del valore dei beni oggetto delle disposizioni testamentarie.

2.11. Ne consegue che, rivestendo la M. la qualità di legataria, correttamente la corte di merito ha dichiarato inammissibile l’azione di riduzione, in quanto subordinata all’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, che è condizione di ammissibilità dell’azione ai sensi dell’art. 564 c.c..

3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 101,167,180,345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 542 c.c., comma 2, artt. 551,554,556,1362 e 1363 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. Lamenta, in primo luogo, la tardività dell’eccezione con cui la convenuta C.A. aveva dedotto di essere destinataria della quota legittima e della quota disponibile, perchè introdotta tardivamente in sede di comparsa conclusionale. In secondo luogo, una volta accertato la lesione della quota di legittima in danno dei ricorrenti, la corte territoriale avrebbe dovuto ridurre il legato in favore della moglie del de cuius e la disposizione testamentaria in favore della figlia A., cui era stata riservata la quota legittima e la quota disponibile.

4. Il motivo non è fondato.

4.1. La circostanza che il de cuius abbia assegnato alla figlia A. “oltre alla quota riservatale per legge anche l’intera quota disponibile” costituisce l’oggetto della disposizione testamentaria ed è alla base dell’accertamento che il giudice deve compiere per valutare la fondatezza della domanda di riduzione, ragione per la quale non costituisce eccezione volta a paralizzare la domanda di riduzione.

4.2. Il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte in materia di riduzione della quota disponibile, in quanto, dopo aver ricostruito l’asse ereditario, sulla base dell’art. 542 c.c., ha accertato che la figlia C.A., destinataria della quota legittima e della quota disponibile, sulla base delle disposizioni testamentarie, aveva ricevuto beni di valore inferiore alla somma delle due quote. Ciò era avvenuto in quanto il valore del legato era superiore alla quota di legittima ed intaccava anche la quota disponibile di C.A..

4.3. Ne consegue che gli attori potevano reintegrare la quota di legittima lesa attraverso la riduzione delle disposizioni testamentarie in favore di M.R., ove l’azione nei suoi confronti fosse non fosse stata ritenuta inammissibile, mentre non si può ridurre la porzione di quota disponibile attribuita a C.A..

5. Va dichiarato assorbito il terzo motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione degli artt. 1223 e 2056 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, relativo all’omesso riconoscimento degli interessi sulle somme dovute agli attori in accoglimento dell’azione di riduzione.

4.3. Il ricorso va pertanto rigettato

5. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi in favore di M.R. ed in Euro 5.600,00 in favore di C.A., oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge in favore di entrambe le parti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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