Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30081 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. II, 19/11/2019, (ud. 17/05/2019, dep. 19/11/2019), n.30081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25303/2015 proposto da:

P.S., P.M., P.P., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CAIO MARIO 27, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO MAGNI, rappresentati e difesi

dall’avvocato ROMANO ZIPOLINI;

– ricorrenti

contro

G.D., F.N., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

F. DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato LAURA ROSA,

rappresentate e difese dagli avvocati FRANCESCO NAVARRINI, ROBERTO

CORDEIRO GUERRA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 589/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 01/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/05/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la vicenda che qui rileva può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– la sentenza di primo grado, pur riconosciuto che F.N. e G.D. erano titolari di un immobile di 29 mq., destinato ad autorimessa (bene loro pervenuto da F.D.), accolta la domanda riconvenzionale dei convenuti, aveva dichiarato l’acquisto per usucapione del già menzionato bene in favore dei convenuti P.M., S. e P., i quali ultimi avevano affermato dia ver posseduto l’immobile (in uno alla di loro madre e dante causa F.E., sorella di F.N.);

– la Corte d’appello di Firenze, in riforma della decisione di primo grado, con la sentenza di cui in epigrafe, dichiarò la piena proprietà dell’immobile in capo agli appellanti F.N. e G.D., condannando gli appellati, la cui domanda riconvenzionale d’usucapione veniva disattesa, al rimborso delle spese del doppio grado;

ritenuto che i P. ricorrono avverso la statuizione di secondo grado illustrando due motivi e che la controparte resiste con controricorso;

ritenuto che con il primo motivo i ricorrenti denunziano “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per violazione di legge, vizio radicale di motivazione e omesso esame di un fatto storico decisivo, pur accertato in sentenza”, affermando che:

– la sentenza gravata aveva applicato alla fattispecie i principi di diritto enunciati dalla Cassazione a riguardo del possesso ad escludendum (nel caso negato) in presenza di contitolarità per quote indivise, senza tuttavia tener conto del fatto che il 19/9/1980 la dante causa dei ricorrenti, pur avendo trasferito la propria quota, facendo quindi, venir meno la comunione ereditaria, era rimasta nel possesso esclusivo dell’autorimessa;

– da quel momento in poi non era possibile, pertanto, affermare che il possesso di costei fosse frutto di tolleranza dei proprietari e, quindi, dal settembre 1980 al settembre 2000 si era consumato il ventennio di legge utile all’acquisto del bene per usucapione;

– l’aver non considerato l’esposta circostanza costituiva omesso esame di “un fatto storico fondamentale”, il cui esame avrebbe reso non pertinente l’evocazione del principio secondo il quale in presenza di compossesso ereditario, perchè la relazione con la res possa qualificarsi possesso ad usucapionem occorre una condotta in palese contrasto con gli altri comproprietari;

considerato che il motivo è destituito di giuridico fondamento per le ragioni di cui appresso, ognuna delle quali idonea a sostenere l’anticipata conclusione:

a) il riferimento al preteso atto del settembre del 1980 è chiaramente privo di specificità per difetto di autosufficienza, poichè la Corte non è stata posta in condizione di conoscere il documento, del quale, pertanto, nulla è dato sapere;

b) non consta il denunziato omesso esame, in quanto il fatto è stato esaminato dalla sentenza d’appello, circostanza questa riconosciuta dagli stessi ricorrenti, i quali riportano all’interno del motivo lunghi stralci della motivazione; nè risulta essere stata specificamente denunziata violazione di una norma di legge, denunzia che non può dirsi soddisfatta con il sommario e irriducibile riferimento alla legge in genere, rimettendo alla Corte, in violazione della tassativa griglia di cui all’art. 360, c.p.c., individuare, all’esito d’indagine esplorativa officiosa, se e quale precetto la decisione impugnata abbia leso o falsamente applicato;

c) in ogni caso, non è stata censurata la ratio decisiva espressa a pag. 7 della sentenza, secondo la quale i ricorrenti avrebbero dovuto dimostrare di avere posseduto fino al 1984 (anno di morte della genitrice) contro la loro madre;

ritenuto che con il secondo motivo i P. deducono “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ex artt. 15 e 91 c.p.c., in relazione alla liquidazione delle spese di lite”, assumendo che:

– la liquidazione delle spese di causa era stata effettuata, probabilmente sulla errata convinzione che il parametro di riferimento fosse quello da 52.000 a 260.000 Euro, che, invece era ampiamente inferiore (da 5.200,01 a 26.000 Euro, tenuto conto del valore della rendita catastale opportunamente rivalutata), così giungendo all’ammontare esorbitante di Euro 9.950,00 per il primo grado e di Euro 8.500,00 per il secondo grado (Euro 2.500,00 per studio, Euro 1.500,00 per introduzione, nulla per istruttoria, Euro 4.500 per decisione), oltre accessori ed esborsi;

– in presenza di dichiarazione del reddito catastale all’atto di proposizione della domanda il giudice non si sarebbe potuto discostare dal valore predetto, nel mentre la generica domanda di danni, inizialmente proposta, mai istruita, ed esplicitamente abbandonata (non riproposta in appello) dagli attori, non avrebbe potuto influire sulla determinazione;

considerato che la doglianza merita di essere accolta per le ragioni di cui appresso:

a) il valore delle cause relative a beni immobili si determina sulla base del reddito dominicale o della rendita catastale della “res”, sicchè, solo in loro assenza, il giudice deve rifarsi alle risultanze degli atti e, in mancanza di elementi concreti ed attendibili per la stima, può ritenere la causa di valore indeterminabile (per l’argomento a contrario si veda Sez. 2, n. 10810, 26/5/2015);

b) nel mentre la Corte fiorentina non motiva in alcun modo il criterio di liquidazione adottato, non è controverso che risultasse dagli atti il valore catastale del bene e sulla base del detto l’entità della liquidazione risulta esuberare il massimo di tabella (da Euro 5.200,01 a Euro 26.000,00) di cui al D.M. n. 55 del 2014, pur tenuto conto degli aumenti massimi contemplati dall’art. 4, la ricorrenza dei quali, in ogni caso, è appena il caso di soggiungere, il Giudice d’appello non individua in alcun modo;

c) la domanda di risarcimento avanzata dagli attori non consta essere stata coltivata in appello e, quanto al primo grado, l’incidenza di essa sul valore della causa svoltasi davanti al Tribunale non è stata esplicitata dalla sentenza impugnata;

d) s’impone, pertanto, la cassazione della sentenza sul punto, rimettendosi al Giudice del rinvio di procedere a nuova liquidazione, osservando principi di diritto sopra enunciati, nonchè di regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta il primo, cassa e rinvia, in relazione all’accolto motivo, alla Corte d’appello di Firenze, altra sezione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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