Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3008 del 03/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 03/02/2017, (ud. 15/12/2016, dep.03/02/2017),  n. 3008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 965/2016 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato c difeso dall’avvocato

DANIELA MENDOLA e FRANCO ROSA, come da mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 7166/9/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI NAPOLI – SEZIONE DISTACCATA DI SALERNO, emessa il

1/07/2015 e depositata il 17/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO

MANZON;

disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 1 luglio 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 186/8/13 della Commissione tributaria provinciale di Salerno che aveva accolto il ricorso proposto da P.D. contro gli avvisi di accertamento IRPEF, IVA, IRAP ed altro 2007-2008. La CTR osservava in particolare che il contribuente non aveva adeguatamente controprovato agli elementi di fatto contabili posti a base dell’atto impositivo impugnato con riguardo alla ripresa IRPEF e che si poteva considerare sussistente il presupposto IRAP tenuto conto delle rilevanti spese in beni strumentali e per compensi erogati a terzi.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita tardivamente al solo fine di partecipare al contraddittorio orale.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con un primo motivo il ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, affermando che la sentenza impugnata ha erroneamente valutato la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti a fondamento dell’atto impositivo impugnato, ma sviluppando in concreto il mezzo circa la applicabilità e valenza degli studi di settore.

La censura è infondata.

La ratio decidendi esposta dalla CTR in punto accertamento ai fini IRPEF non è infatti basata sull’applicazione degli studi di settore, bensì sul mancato assolvimento dell’onere contro probatorio gravante sul contribuente a fronte dei rilievi in fatto di natura essenzialmente contabile che basano l’atto impositivo de quo in ordine al punto stesso. Sotto tale profilo ed in questo senso, la pronuncia in esame risulta del tutto conforme al consolidato orientamento di questa Corte relativamente alla distribuzione dell’onere della prova in caso di accertamento analitico-induttivo -come è quello di che si tratta-secondo il quale “In tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta, che all’IVA, la legge – rispettivamente del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 -dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi dell’artt. 2727 c.c. e segg. e art. 2697 c.c., comma 2″ (Sez. 5, Sentenza n. 9784 del 23/04/2010).

Con il secondo motivo il ricorrente si duole di violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, in punto affermazione della sussistenza del presupposto dell’IRAP.

La censura, rasentando l’inammissibilità per genericità, e comunque infondata.

La CTR infatti ha chiaramente espresso un giudizio in linea con la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla questione de qua, in particolare valorizzando la sussistenza delle spese ingenti per beni strumentali e per compensi a terzi, che il ricorrente peraltro nemmeno contesta in modo specifico.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio della motivazione, allegando vari principi giurisprudenziali, ma tuttavia non argomentando in modo puntuale e specifico in ordine ai punti decisionali che da tale vizio sarebbero affetti.

L,a censura è inammissibile.

Trattasi invero di doglianza del tutto generica e comunque la pur stringata motivazione della sentenza impugnata corrisponde al “minimo costituzionale” derivante dalla riformulazione della previsione normativa di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Sez. U., n. 8053 del 2014).

In ogni caso di deve osservare che gli “indici” di “autonoma organizzazione” rilevati nel giudizio di merito (due studi, beni strumentali del valore di Euro 160.000, un dipendente assunto a tempo pieno) portano a ritenere superato il “minimo indispensabile” per l’esercizio dell’attività economica de qua, come determinato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. U., Sentenza n. 9451 del 10/05/2016).

Il ricorso va dunque rigettato; nulla per le spese stante la difesa meramente formale dell’Agenzia fiscale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2017

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