Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30075 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 31/12/2020, (ud. 26/11/2020, dep. 31/12/2020), n.30075

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16264-2019 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI

27, presso lo studio TR. & PARTNERS, rappresentata e difeso

dagli avvocati PAOLO ZUCCHINALI, FRANCESCO AUTELITANO, CORRADO

FORMICA;

– ricorrente –

contro

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EUSTACHIO

MANFREDI 15, presso lo studio dell’avvocato CARLO BALDASSARI,

rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCA FOSCHINI, LUCIANA

BENZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2840/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 15/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA

NAZZICONE.

 

Fatto

RILEVATO

– che, con sentenza del 19 ottobre 2012, il Tribunale di Bologna ha disatteso l’azione di risarcimento del danno, proposta ex art. 2476 c.c., da M.A. contro S.M., entrambi soci ed amministratori della CPE s.r.l., in relazione a fatti di mala gestio consistenti nel rifiuto del convenuto di adempiere un contratto concluso con un’altra società, tanto da comportarne la risoluzione, con ingenti danni per la società amministrata, che da tale contratto derivava interamente i propri ricavi;

– che la Corte d’appello di Bologna con sentenza del 15 novembre 2018, n. 2840, ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva dell’appellante M.A. e cessata la materia del contendere, in ragione della cancellazione in corso di causa della società dal registro delle imprese;

– che avverso la decisione viene proposto ricorso da M.A., sulla base di un motivo;

– che si difende con controricorso l’intimato S.;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c.;

– che il controricorrente ha anche depositato la memoria.

Diritto

RITENUTO

– che l’unico motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., nonchè l’omesso esame di fatto decisivo, per avere la corte d’appello ritenuto presunta una volontà di rinuncia al credito, in seguito alla cancellazione della società dal registro delle imprese, avvenuta nel corso del giudizio di appello senza che il bilancio finale di liquidazione menzionasse il credito controverso: non tenendo conto, tuttavia, della circostanza che tale cancellazione avvenne d’ufficio, ai sensi dell’art. 2490 c.c., u.c., in ragione dell’omesso deposito per tre anni consecutivi del bilancio d’esercizio, e che comunque la socia conservava l’azione ex art. 2476 c.c.;

– che la sentenza impugnata ha accolto l’eccezione dell’appellato, concernente la cessazione della materia del contendere, in ragione dell’avvenuta cancellazione della società nel corso del giudizio di secondo grado: tale cancellazione, infatti, è stata interpretata dalla corte del merito come manifestazione tacita della volontà di rinunciare al credito risarcitorio, vantato per suo conto dalla socia attrice;

– che, al riguardo, la corte territoriale ha affermato che non è stato prodotto un bilancio finale di liquidazione, recante l’assegnazione alla M. del credito de quo, mentre la stessa circostanza della cancellazione, pur essendo la società ed il liquidatore a conoscenza dell’azione in corso, non può che costituire una rinuncia al credito, con conseguente difetto di legittimazione attiva della socia e cessazione della materia del contendere;

– che – ciò posto – il motivo, sotto il duplice profilo denunziato, è manifestamente fondato;

– che, invero, l’azione di cui all’art. 2476 c.c., mira alla condanna al risarcimento del danno in favore della società, mediante una domanda di responsabilità avverso l’amministratore, fatta valere in giudizio da un socio, anche di minoranza; con essa concorre anche una legittimazione diretta della società stessa, trattandosi di danni cagionati al suo patrimonio, sebbene non espressamente menzionata dalla disposizione, ma come desumibile in base ai principi generali, nonchè alla sussistenza di obblighi in capo all’amministratore posti, anzitutto, in favore della società dall’art. 2476 c.c., comma 1;

– che, nella specie, l’azione era stata intrapresa dalla M. avverso l’altro socio-amministratore, e la società è stata cancellata dal registro delle imprese d’ufficio, ai sensi dell’art. 2490 c.c., per il mancato deposito dei bilanci;

– che la società risulta essere stata contumace in appello, mentre l’avvenuta cancellazione rende ormai i due soci uniche parti del giudizio di cassazione, sia in proprio, sia quali unici successori a titolo universale della società (cfr. Cass. 22 maggio 2020, n. 9464);

che questa Corte ha evidenziato – per la fattispecie della cancellazione volontaria dal registro delle imprese – come, ferma l’estinzione a norma dell’art. 2495 c.c., il credito controverso, esistente al momento della cancellazione, non può ritenersi automaticamente rinunciato, dal momento che la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, mentre la non sopravvivenza delle “mere pretese” è l’eccezione: onde l’esistenza della rinuncia, da ricondurre alla remissione del debito di cui all’art. 1236 c.c., va allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere in tutti i presupposti della fattispecie, ossia la volontà remissoria, la manifestazione inequivoca di tale volontà e la destinazione della dichiarazione allo specifico creditore (ancora Cass. 22 maggio 2020, n. 9464);

– che, come ormai chiarito, quanto ai crediti esistenti in capo alla società cancellata, si verifica la successione dei soci nei crediti sociali, dunque per i rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale: invero, se “l’esistenza dell’ente collettivo e l’autonomia patrimoniale che lo contraddistingue impediscono, pendente societate, di riferire ai soci la titolarità dei beni e dei diritti unificati dalla destinazione impressa loro dal vincolo societario, è ragionevole ipotizzare che, venuto meno tale vincolo, la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti torni ad essere direttamente imputabile a coloro che della società costituivano il sostrato personale. Il fatto che sia mancata la liquidazione di quei beni o di quei diritti, il cui valore economico sarebbe stato altrimenti ripartito tra i soci, comporta soltanto che, sparita la società, s’instauri tra i soci medesimi, ai quali quei diritti o quei beni pertengono, un regime di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa gestione seguirà il regime proprio della contitolalità o della comunione” (Cass., sez. un., 12 marzo 2013, n. 6070, in motivazione);

– che, nella specie, mancavano già in astratto i presupposti per la rinuncia, atteso che non si trattava di una cancellazione volontaria, onde il principio della eventuale volontà remissoria è stato del tutto impropriamente richiamato dalla corte d’appello;

– che, inoltre, la pronuncia di “difetto di legittimazione attiva” della socia è fuori luogo, in quanto si sarebbe trattato, semmai, di un rigetto della domanda, per il venir meno del titolo della pretesa;

– che, di conseguenza, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, per nuovo esame delle questioni poste dalla controversia; e ad essa si demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

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