Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30074 del 14/12/2017


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 30074 Anno 2017
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GULLO Giuseppe, rappresentato e difeso dall’Avvocato Giovanni Tarquini, con domicilio eletto presso lo studio del dott. Giuseppe Placidi a
Roma, via Cosseria, n. 2;
– ricorrente contro
COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA – CONSOB,
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati Salvatore Providenti, Maria Letizia Ermetes e Rocco Vampa, con domicilio eletto in Roma, via G.B. Martini, n. 3;
– controricorrente e sul ricorso proposto da:

Data pubblicazione: 14/12/2017

COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA – CONSOB,
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati Salvatore Providenti, Maria Letizia Ermetes e Rocco Vampa, con domicilio eletto in Roma, via G.B. Martini, n. 3;

ricorrente incidentale

contro

GULLO Giuseppe, rappresentato e difeso dall’Avvocato Giovanni Tarquini, con domicilio eletto presso lo studio del dott. Giuseppe Placidi a
Roma, via Cosseria, n. 2;

controricorrente

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, depositata il 3
marzo 2015.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 7 novembre 2017 dal Consigliere Alberto Giusti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Sergio Del Core, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’inammissibilità del ricorso incidentale;
uditi, per Giuseppe Gullo, l’Avvocato Andrea Pavone, per delega
dell’Avvocato Giovanni Tarquini, e, per la CONSOB, gli Avvocati Salvatore Providenti e Michela Dini, quest’ultima per delega
dell’Avvocato Rocco Vampa.

FATTI DI CAUSA
1. – Con lettera datata 12 aprile 2012, la Commissione nazionale
per le società e la borsa – CONSOB ha contestato a Giuseppe Gullo e
ad altre persone fisiche inserite nel gruppo “Mariella Burani” plurime
fattispecie di manipolazione del mercato delle azioni Mariella Burani
Fashion Group s.p.a. (nel seguito MBFG) e di quelle della sua controllata Antichi Pellettieri s.p.a. (nel seguito AP).

0

,,

In particolare, la CONSOB ha contestato: A) a Giuseppe Gullo,
Walter Burani, Giovanni Valter Burani e Giacinto Giuliani la violazione
dell’art. 187-ter, comma 1, del TUF, commessa in concorso tra loro e
con Alberico Lalatta (successivamente deceduto), con riferimento alle
informazioni diffuse da MBFG sui risultati economico-patrimoniali individuali e consolidati, annuali e infra-annuali, dal 10 agosto 2007 al

15 novembre 2009; B) a Giuseppe Gullo, Walter Burani, Giovanni
Vatter Burani, Giovanni Stella e Daniele Bardini la violazione prevista
dall’art. 187-ter, comma 1, del TUF, commessa in concorso tra loro,
con riferimento alle informazioni diffuse da AP sui risultati economicopatrimoniali individuali e consolidati, annuali e infra-annuali, dal 28
agosto 2008 al 18 maggio 2009.
Con provvedimento del 27 marzo 2013 la CONSOB, in accoglimento della proposta contenuta nella relazione dell’Ufficio sanzioni
amministrative, ha inflitto, inter alios, a Giuseppe Gullo sanzioni amministrative e sanzioni interdittive accessorie: la sanzione amministrativa pecuniaria complessivamente pari a euro 350.000 e la sanzione accessoria di cui all’art. 187-quater, comma 1, del TUF, per
complessivi mesi sei.
Con ricorso in opposizione notificato alla CONSOB in data 6 giugno 2013, il Gullo ha impugnato la delibera sanzionatoria.
La CONSOB ha resistito.
2. – Con sentenza pubblicata il 3 marzo 2015, l’adita Corte
d’appello di Bologna ha rigettato l’opposizione, sia quanto agli aspetti
di natura preliminare che per quelli afferenti al merito degli illeciti.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il Gullo
ha proposto ricorso, con atto notificato il 13 agosto 2015, sulla base
di due motivi.
La CONSOB ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta
ricorso incidentale, affidato ad un mezzo.
Il Gullo ha depositato controricorso al ricorso incidentale.

am
– 3 –

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente in via principale deduce violazione e/o erronea applicazione degli artt.

187-septies e 195 del

del 1990, nonché di ogni altra norma e principio in tema di equo processo e garanzia del contraddittorio nei procedimenti amministrativi,
lamentando la nullità assoluta, rilevabile d’ufficio, del provvedimento
CONSOB del 27 marzo 2013. Richiamata la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Grande Stevens e altri c. Italia del 4 marzo
2014, il ricorrente sostiene che avrebbe errato la sentenza impugnata
a risolvere la compatibilità del procedimento innanzi alla CONSOB n.
15086 del 21 giugno 2005 (applicato, ratione temporis, al procedimento sanzionatorio avviato nei confronti del Gullo) assumendo che
le esigenze del giusto processo sarebbero comunque soddisfatte dalla
possibilità offerta al ricorrente di impugnare qualunque decisione
emessa nei suoi confronti in sede giurisdizionale. Ad avviso del ricorrente, tale conclusione, se esaminata alla luce di quanto statuito dal
Consiglio di Stato con le sentenze della Sesta Sezione 26 marzo
2015, nn. 1595 e 1596, non sarebbe condivisibile, risultando accertato che il procedimento dinanzi all’Autorità è stato disciplinato con regolamentazione in violazione di legge. Secondo il Consiglio di Stato,
infatti, manca qualunque interlocuzione tra l’ufficio titolare del potere
di decisione finale e il soggetto che quella decisione subirà.
L’interessato si vede, in particolare, preclusa la possibilità di interloquire sulla relazione conclusiva dell’Ufficio sanzioni, nella quale pure
possono essere contenute valutazioni non necessariamente oggetto di
confronto durante la fase istruttoria. Di qui – sostiene il ricorrente la nullità radicale di un atto sanzionatorio adottato in conseguenza
dell’attuazione di un procedimento la cui fonte regolamentare è stata

TUF, 24 della legge n. 262 del 2005 e 21-septies della legge n. 241

dichiarata illegittima: avendo la CONSOB, in attuazione di un regolamento affetto da illegittimità, irrogato un provvedimento sanzionatorio fonte di effetti immediatamente e direttamente lesivi nei confronti
del ricorrente, si genererebbe “una lesione che radica l’interesse alla
declaratoria di illegittimità, ovvero della nullità assoluta, ovvero, ancora, di inesistenza giuridica del provvedimento sanzionatorio mede-

simo”.
1.1. – Il motivo è infondato.
La Corte di Bologna ha escluso qualsiasi lesione nel corso del procedimento amministrativo del principio del contraddittorio, rilevando
che questo non è compromesso dall’omessa trasmissione
all’interessato della relazione dell’Ufficio sanzioni amministrative della
CONSOB e che nel caso di specie il Gullo ha avuto ampia possibilità di
svolgere le proprie difese. In particolare, la Corte territoriale ha evidenziato: (a) che all’opponente nell’ambito del procedimento amministrativo è stata riconosciuta la possibilità di interloquire con
l’amministrazione procedente durante la fase istruttoria (con deduzioni, produzioni e possibilità di audizione personale), prima dinanzi
all’Ufficio di vigilanza competente per materia (la Divisione mercati Ufficio abusi di mercato) e poi avanti all’Ufficio sanzioni amministrative; (b) che la mancata comunicazione della relazione dell’Ufficio sanzioni amministrative non ha precluso al Gullo, nell’ambito del giudizio
di opposizione, lo svolgimento di difese anche su questo punto; (c)
che nessuna specifica violazione del diritto di difesa per la mancata
audizione avanti la Commissione è poi stata dedotta, non essendosi
precisato quali attività o deduzioni ciò abbia impedito; (d) che in ogni
modo la successiva fase giurisdizionale, svoltasi in pubblica udienza,
ha dato modo all’opponente di far riesaminare il suo caso con piena
cognizione, anche secondo la giurisprudenza CEDU sull’equo proces-

so.

o,
– s –

Tanto premesso, il Collegio osserva che la questione della mancata comunicazione all’interessato della relazione conclusiva rimessa alla CONSOB dall’Ufficio sanzioni amministrative, con particolare riguardo alla compatibilità di tale mancata previsione con il principio
del contraddittorio (del quale i principi della piena conoscenza degli
atti istruttori e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni deci-

sorie costituiscono articolazioni specifiche), è stata definita dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 20935 del 2009, ove si
è appunto affermato che, ai fini del rispetto del principio del contraddittorio, è sufficiente che venga effettuata la contestazione
dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni
dell’interessato; con la precisazione che i precetti costituzionali concernenti il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il giusto processo (art. 111
Cost.) riguardano espressamente e solo il giudizio, ossia il procedimento giurisdizionale che si svolge avanti al giudice e non il procedimento amministrativo, ancorché finalizzato all’emanazione di provvedimenti incidenti su diritti soggettivi; cosicché l’incompleta equiparazione del procedimento amministrativo a quello giurisdizionale non
viola in alcun modo la Costituzione.
Il Collegio ritiene che tale conclusione – ribadita da questa Sezione, da ultimo, con le sentenze n. 8210 del 2016 e n. 770 del 2017 ed
alla quale la decisione della Corte territoriale risulta perfettamente allineata – sia da condividere e vada mantenuta ferma, nonostante le
indicazioni offerte dalla Corte EDU con la sentenza 4 marzo 2014
Grande Stevens c. Italia.
Con detta pronuncia, come è noto, la Corte EDU – premesso che
la sanzione amministrativa prevista dall’art. 187-ter, comma 1, TUF
deve considerarsi appartenente alla “materia penale”, con la conseguenza che il procedimento per la relativa irrogazione deve conformarsi al disposto dell’art. 6 della Convenzione EDU – ha affermato
che il procedimento seguito dalla CONSOB per l’applicazione di tale

a,
– 6 –

sanzione ai ricorrenti contrastava con i principi fissati dal suddetto
art. 6 della Convenzione “soprattutto per quanto riguarda la parità
delle armi tra accusa e difesa ed il mancato svolgimento di una
udienza pubblica che permettesse un confronto orale” (punto 123);
ciò in quanto, da un lato, il documento che conteneva le conclusioni

la Commissione, non era stato comunicato ai ricorrenti (punto 117) e,
d’altro lato, questi ultimi non avevano avuto la possibilità di partecipare all’unica riunione tenuta dalla Commissione, alla quale non erano ammessi (punto 118).
Nella medesima sentenza tuttavia, sulla scorta della pregressa
giurisprudenza della stessa Corte EDU, si precisa che le carenze di tutela del contraddittorio che caratterizzino un procedimento amministrativo sanzionatorio non consentono di ritenere violato l’art. 6 della
Convenzione EDU quando il provvedimento sanzionatorio sia impugnabile davanti ad un giudice indipendente ed imparziale, che sia dotato di giurisdizione piena e che conosca dell’opposizione in un procedimento che garantisca il pieno dispiegamento del contraddittorio delle parti (punti 138 e 139).
In sostanza, in continuità con la citata sentenza n. 8210 del 2016
di questa Sezione, deve affermarsi che – in materia di irrogazione di
sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano, alla stregua dei criteri elaborati dalla Corte EDU, natura sostanzialmente penale – gli Stati possono scegliere se realizzare le garanzie del giusto
processo di cui all’art. 6 della Convenzione EDU già nella fase amministrativa (nel qual caso, nella logica di tale Convenzione, una fase
giurisdizionale non sarebbe nemmeno necessaria) o mediante
l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio applicato
dall’autorità amministrativa (all’esito di un procedimento non connotato da quelle garanzie) ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva, attuato attraverso un procedimento

– 7 –

dell’Ufficio sanzioni, destinato a servire poi da base alla decisione del-

conforme alle prescrizioni dell’art. 6 della Convenzione. Nel secondo
caso, non può ritenersi che il procedimento amministrativo sia illegittimo, in relazione ai parametri fissati dall’art. 6 della Convenzione, e
che la successiva fase giurisdizionale determini una sorta di sanatoria
di tale originaria illegittimità; al contrario, il procedimento amministrativo, pur non offrendo esso stesso le garanzie di cui all’art. 6 della

Convenzione, risulta all’origine conforme alle prescrizioni di detto articolo, proprio perché è destinato a concludersi con un provvedimento
suscettibile di un sindacato giurisdizionale pieno, nell’ambito di un
giudizio che assicura le garanzie del giusto processo.
Tanto premesso, risulta decisivo il rilievo che la deliberazione sanzionatoria adottata dalla CONSOB è impugnabile davanti alla Corte di
appello territorialmente competente e non è dubitabile che la Corte
d’appello debba essere considerata, alla stregua dei parametri indicati
dalla stessa sentenza Grande Stevens, un giudice indipendente ed
imparziale, dotato di giurisdizione piena e davanti al quale è garantita
la pienezza del contraddittorio e la pubblicità dell’udienza.
Né, sotto altro aspetto, nel presente giudizio possono rilevare le
affermazioni svolte nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1596/15 in
ordine alla illegittimità del procedimento sanzionatorio della CONSOB
(v., ancora, il citato precedente di questa Corte n. 8210 del 2016),
tanto più che dette valutazioni non si sono tradotte in alcuna statuizione di annullamento del regolamento contenente la previgente disciplina del procedimento sanzionatorio CONSOB, giacché il decisum
della sentenza del Consiglio di Stato n. 1596/15 si risolve in una declaratoria di inammissibilità del ricorso delle parti private per carenza
di interesse.
Alla stregua delle esposte considerazioni deve dunque escludersi
che la lamentata mancanza di comunicazione all’interessato della relazione dall’Ufficio sanzioni amministrative possa anche astrattamente
collidere con l’art. 24 della legge n. 262 del 2005 e costituire violazio-

o,

ne dei principi e dei parametri, evocati dal ricorrente, in tema di equo
processo e di garanzia del contraddittorio (Cass., n. 771 del 2017 e n.
20437 del 2017).
2. – Con il secondo motivo del medesimo ricorso, il Gullo deduce
“violazione e/o erronea applicazione degli artt. 187-septies, comma
1, del TUF, 24 Cost., 14, secondo comma, della legge n. 689 del

1981, 111, secondo comma, Cost. e del principio di ragionevole durata del procedimento, per avere il giudice del merito ritenuto tempestiva la notifica del provvedimento sanzionatorio rispetto all’esito
dell’accertamento, nonché di ogni altra norma e principio in tema di
diritto di difesa e ragionevolezza nell’esercizio dell’azione amministrativa”. Ad avviso del ricorrente, avrebbe errato la Corte di Bologna a
ritenere osservato il termine di 180 giorni previsto dall’art. 187septies,

comma 1, del TUF e a ritenere ragionevole il tempo

dell’accertamento. La Corte d’appello si sarebbe limitata a verificare
che, rispetto all’attività conclusa da CONSOB il 24 marzo 2010 – data
in cui sono stati adottati i due provvedimenti di accertamento di non
conformità ai principi contabili relativi al bilancio d’esercizio e consolidato del 2008 di AP (delibera n. 17244) e al bilancio di esercizio e
consolidato 2008 e alla relazione semestrale e consolidata 2009 di
MBFG (delibera n. 17245) – fu posta in essere una ulteriore notevole
attività istruttoria che evidenziava criticità anche per periodi diversi e
ulteriori (dall’agosto 2007 al dicembre 2009), giudicata di rilievo non
in quanto rivelatrice di fatti o atti nuovi inerenti le contestazioni specificamente riservate al Gullo, ma in quanto avrebbe contribuito a definire l’intera vicenda. Secondo il ricorrente, la Corte si sarebbe limitata
ad una mera descrizione della documentazione acquisita da CONSOB
in data successiva alle due delibere del 2010: descrizione che, tuttavia, non chiarirebbe quali, tra gli atti richiamati, sarebbero di rilievo ai
fini delle contestazioni relative al Gullo. Il compito affidato al giudice
di merito di conoscere e stabilire il giorno a far data dal quale doveva

– 9 –

R,

adottarsi il provvedimento sanzionatorio non potrebbe “prescindere
da una valutazione ex post sull’operato della P.A., la quale, se pure
resta insindacabile nell’esercizio delle proprie scelte discrezionali, non
può tuttavia restare indenne dal rischio che tali scelte possano comportare, come, ad esempio, la neutralità dei risultati discendenti da

si nei confronti del dott. Gullo e di cui già si aveva cognizione … in data 24 marzo 2010”. In definitiva, risultando ex actis che sin dal marzo
2010 erano noti e acquisiti tanto gli elementi oggettivi quanto quelli
soggettivi dell’illecito, il giudice del merito, relativamente alla posizione del Gullo, avrebbe dovuto considerare il 24 marzo 2010 ovvero, a
tutto concedere, il 27 luglio 2010 (data di pubblicazione dell’articolo
del quotidiano La Repubblica nel quale venivano pubblicati stralci del
verbale di interrogatorio del Gullo del 26 aprile 2010) il dies a quo dal
quale computare i 180 giorni utili per la notificazione del provvedimento sanzionatorio ex art. 187-septies, comma 1, del TUF, attesa la
sostanziale neutralità, rispetto alla specifica situazione del Gullo, delle
attività spiegate in data successiva.
2.1. – La censura è infondata.
La Corte d’appello, nell’affermare la congruità del lasso temporale
impiegato dalla CONSOB per giungere all’accertamento e nel rigettare
la doglianza relativa alla tardività della contestazione, ha rilevato: (a)
che – rispetto all’attività conclusa dalla CONSOB nel 2010 con le due
delibere del 24 marzo 2010 (accertative, l’una, della non conformità
del bilancio d’esercizio e consolidato del 2008 di AP, e, l’altra, della
non conformità del bilancio d’esercizio e consolidato del 2008 e della
semestrale consolidata 2009 di MBFG) – è stata posta in essere una
ulteriore notevole attività istruttoria, che ha evidenziato criticità anche per periodi diversi e ulteriori (dall’agosto 2007 al dicembre 2009),
e valutativa, demandata ad altro Ufficio della Commissione, “chiamato a verificare se le irregolarità contabili potevano configurarsi o ave-

esse, in relazione alle contestazioni che in concreto potevano adottar-

re riflessi in tema di manipolazione dei mercati”; (b) che gli atti acquisiti della indagine penale hanno corroborato ed integrato le istruttorie CONSOB, con l’acquisizione di ulteriori elementi, fra cui verbali
di interrogatorio e di assunzione di informazioni, e annotazioni di polizia giudiziaria; (c) che gli intermediari nell’operatività su azioni pro-

giornate e centinaia di files audio di registrazioni telefoniche; (d) che
si è resa opportuna una attività internazionale, in relazione alla necessità di approfondire la possibile concentrazione dei soggetti aderenti all’OPA e il collegamento con i Burani.
In questo contesto, la Corte territoriale – valorizzando la utilità
delle indagini complessivamente svolte, l’ingente mole dei dati acquisiti e la necessaria connessione delle condotte riferibili ai vari soggetti
coinvolti, tale da richiedere una conduzione unitaria della attività di
indagine, riguardante diverse ipotesi di manipolazione, di tipo sia “informativo” che “operativo” – ha sottolineato la tempestività della contestazione (avvenuta nell’aprile 2012) rispetto alla conclusione
dell’accertamento, avvenuta (a fine 2011) con l’acquisizione degli atti
relativi al procedimento penale. Tale acquisizione – ha precisato la
Corte territoriale – non ha ritardato la contestazione, posto che era
comunque in corso attività istruttoria autonoma e diversa di CONSOB,
né sono emersi irragionevoli o artificiosi ritardi al riguardo, apparendo
anzi tale attività “razionalmente condotta, con il riuscito intento di
evitare duplicazioni e sovrapposizioni rispetto all’Autorità giudiziaria,
munita di più penetranti poteri investigativi, in materia in cui gli illeciti amministrativi e penali sono perlomeno connessi oggettivamente e
soggettivamente, ed avevano, ma solo in parte, a fondamento i medesimi fatti materiali”.
La conclusione cui è pervenuta la Corte d’appello all’esito di una
ponderata valutazione delle risultanze documentali è conforme alla
giurisprudenza di questa Corte di legittimità.

prie hanno inviato una ingente mole di dati di dettaglio per le singole

Si è infatti statuito che, in tema di sanzioni amministrative, il
momento dell’accertamento non coincide con quello in cui viene acquisito il “fatto” nella sua materialità da parte dell’autorità preposta,
ma va individuato nel momento in cui detta autorità abbia acquisito e
valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell’esistenza
della violazione segnalata, ovvero in quello in cui il tempo decorso

non risulti ulteriormente giustificato dalla necessità di tale acquisizione e valutazione (Cass., n. 3043 del 2009 e n. 6738 del 2016). In altri termini, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine
di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della CONSOB,
va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener
conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del
caso concreto anche con riferimento al contenuto ed alle date delle
operazioni (Cass., n. 8687 del 2016).
Nella specie la Corte d’appello ha compiuto un’indagine diretta a
stabilire, tenuto conto della complessità della materia e delle particolarità del caso concreto, il momento in cui ragionevolmente la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento,
ed ha ritenuto adeguato identificarlo con l’acquisizione degli atti relativi al procedimento penale, escludendo quindi che il materiale istruttorio già in possesso della CONSOB consentisse sin dal marzo 2010 il
pieno accertamento degli illeciti così come successivamente contestati.
Si tratta di una valutazione congrua e improntata a ragionevolezza.
Va qui richiamato il principio secondo cui compete al giudice di
merito determinare il tempo ragionevolmente necessario all’amministrazione per giungere a una completa conoscenza dell’illecito, individuando il dies a quo di decorrenza del termine, tenendo conto della
maggiore o minore difficoltà del caso concreto e della necessità che

an,
– 12 –

tali indagini, pur nell’assenza di limiti temporali predeterminati, avvengano entro un termine congruo (Cass., n. 9311 del 2007; Cass.,
Sez. U., n. 5395 del 2007).
Il motivo di ricorso finisce con il risolversi in una richiesta di rinnovata valutazione della adeguatezza del tempo impiegato dalla
Commissione: il che fuoriesce dal sindacato del giudice di legittimità,

appartenendo in pieno all’ambito del giudizio di fatto di competenza
del giudice di merito.
3. – Essendo infondato il ricorso principale, resta assorbito l’unico
motivo di ricorso incidentale, con cui la CONSOB lamenta violazione e
falsa applicazione degli artt. 22 della legge n. 689 del 1981, 187septies del TUF, 6 del d.lgs. n. 150 del 2011 e 112 cod. proc. civ.,
nonché violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e nullità della sentenza e del procedimento, dolendosi della
illegittimità della decisione per essere afflitta dal vizio di extrapetizione. Si tratta infatti di ricorso incidentale, investente una questione
pregiudiziale di rito, proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel
giudizio di merito (Cass., Sez. U., n. 5456 del 2009).
4. – Il ricorso principale è rigettato.
Il ricorso incidentale resta assorbito.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza
5. – Poiché il ricorso principale è stato proposto successivamente
al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che
ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al
d.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento,
da parte del ricorrente Gullo, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’esame
del ricorso incidentale; condanna il ricorrente in via principale al rim-

L,
– 13 –

borso delle spese processuali sostenute dalla CONSOB controricorrente, che liquida in complessivi euro 10.200, di cui euro 10.000 per
compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge; dichiara – ai sensi dell’art. 13, comma

1-quater, del

d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n.

parte del ricorrente in via principale, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 7 novembre 2017.

228 del 2012 – la sussistenza dei presupposti per il versamento, da

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