Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30073 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 19/11/2019, (ud. 15/10/2019, dep. 19/11/2019), n.30073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6231-2015 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.

BERTOLONI 41, presso lo studio dell’avvocato MAURO MORELLI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, quale successore ex

lege dell’INPDAP, in persona del Presidente e legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA

29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato difeso

dall’Avvocato PAOLA MASSAFRA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7674/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/12/2014 R.G.N. 39348/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/10/2019 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MAURO MORELLI;

udito l’Avvocato PAOLA MASSAFRA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.F. fu assunta dall’I.N.P.D.A.P., nel febbraio 1999, con contratto che prevedeva lo svolgimento di mansioni di portiere di stabili e l’applicazione del c.c.n.l. di diritto privato per i dipendenti di proprietari di fabbricati.

Essa, adducendo di non essere mai stata addetta al portierato di stabili di proprietà dell’ente, ma di avere svolto mansioni di ausiliario di amministrazione presso gli uffici del medesimo, chiedeva il riconoscimento delle differenze retributive tra quanto corrisposto e quanto previsto per le mansioni effettivamente svolte e ciò per il periodo dall’assunzione al 31.12.2003, data in cui vi era stato il suo inquadramento nei ruoli della convenuta secondo la disciplina dell’impiego pubblico privatizzato.

2. La domanda, accolta in primo grado con riconoscimento del trattamento proprio del personale inquadrato nella categoria Al del c.c.n.l. inerente i rapporti di impiego pubblico privatizzato con agli enti pubblici non economici, veniva invece respinta della Corte d’Appello di Roma.

La Corte di merito, affermando che l’escussione dei testi avesse ampiamente provato come la ricorrente, già assegnata a mansioni di portiere, fosse stata poi adibita a mansioni di ausiliario di amministrazione, riteneva, sulla base della ricostruzione dell’iter normativo riguardante i portieri degli immobili dagli enti previdenziali, la legittimità del trattamento privatistico ricevuto dalla lavoratrice.

3. La P. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, resistiti da controricorso dell’I.N.P.S., subentrato ex lege all’I.N.P.D.A.P. ed entrambe le parti hanno infine depositato memoria illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente ha affermato, richiamando in rubrica l’art. 360 c.p.c., n. 5, la natura apparente della motivazione assunta dal giudice di appello, in quanto carente di spiegazioni sulla ragione per cui si era ritenuto che essa fosse stata già adibita a mansioni di portierato e solo successivamente avesse svolto mansioni di ausiliario di amministrazione, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di prime cure, secondo il quale dopo l’assunzione ed in difformità da quanto previsto dal contratto la P. era stata fin da subito avviata all’attività ausiliaria predetta.

Con il secondo motivo la P., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione della L. n. 388 del 2000 e della contrattazione collettiva, sostenendo che nei suoi confronti non poteva applicarsi la L. n. 388 del 2000, art. 43, comma 19, in quanto relativo ai rapporti di chi fosse stato effettivamente adibito a mansioni di portierato, mentre essa aveva svolto sempre mansioni di ausiliaria di amministrazione.

Infine, con il terzo motivo, la ricorrente, richiamando sempre l’art. 360 c.p.c., n. 3, sostiene la violazione della contrattazione collettiva e dell’art. 36 Cost., in quanto, avendo essa svolto mansioni diverse da quelle per le quali essa era stata pagata, la Corte, qualora non avesse inteso attribuirle la retribuzione di ausiliaria amministrativa di cui al c.c.n.l. degli enti pubblici non economici, riconosciuta dal datore di lavoro solo dal 31.12.2003, avrebbe dovuto accertare la retribuzione, peraltro ancora maggiore, a lei spettante sulla base di un corretto inquadramento secondo lo stesso c.c.n.l. di diritto privato applicato dal datore di lavoro al contratto in questione.

2. Il secondo e terzo motivo, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente.

3. In proposito, è consolidato l’orientamento di questa Corte secondo cui, pur dopo la privatizzazione del pubblico impiego, non è impedita la stipula di contratti di lavoro con la P.A destinati ad essere regolati dalla sola disciplina privatistica e non dalla normativa generale, da ultimo contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001.

Ciò è ammesso quando vi sia una norma che lo preveda (v. Cass., S.U., 15 aprile 2010, n. 8985) ipotesi che anzi, ove sussistente, anche dopo la contrattualizzazione dell’impiego pubblico non consente una diversa qualificazione del rapporto stesso, in ipotesi sviluppata valorizzando la natura del datore di lavoro e lo stabile inserimento nell’organizzazione amministrativa dell’ente, perchè risulta essere prevalente, rispetto a detti criteri, la definizione normativa (da ultimo Cass. 22 novembre 2018, n. 30271; in precedenza, Cass., S.U., 8985/2010 cit.; Cass., S.U., 24 novembre 2009, n. 24670).

Al contempo si è altresì precisato che la disciplina generale sulla privatizzazione del pubblico impiego (qui da riferire al D.Lgs. n. 29 del 1993 ed al D.Lgs. n. 165 del 2001) può non essere applicata allorquando i rapporti di lavoro – ritenuti afferire a casi “marginali e sostanzialmente anomali” – siano intrattenuti per ragioni non riconducibili alle specifiche finalità istituzionali dell’ente interessato (Cass. 27 giugno 2007 n. 14809).

Tutti i casi predetti possono essere riportati al pubblico impiego (v., proprio con riferimento ai portieri degli enti previdenziali, ai fini del riparto di giurisdizione a favore del giudice amministrativo secondo le regole dell’epoca, tra le molte, Cass., S.U., 28 novembre 1990, n. 11459), ma si caratterizzano per l’eccezionale destinazione ad un regolamento negoziale di stampo esclusivamente privatistico (v., sempre rispetto ai portieri, Cass. 22 aprile 2010, n. 9555, che ha ritenuto il rapporto a tempo determinato di pubblico impiego ma soggetto a disciplina secondo le regole del rapporto privato, tra cui la conversione a tempo indeterminato).

La vicenda oggetto di causa si inserisce coerentemente in tale quadro di fondo, in quanto la sottrazione della disciplina a quella propria dei rapporti di lavoro con l’ente pubblico di riferimento fu ab origine impostata dal D.P.R. n. 411 del 1976, art. 51 secondo cui la disciplina del rapporto di lavoro pubblico, nell’ambito qui interessato del c.d. parastato, non si applicava “ai dipendenti con rapporto di lavoro regolato da contratti collettivi di diritto privato e instaurato per lo svolgimento di attività privatistiche dell’ente o per servizi di istituto del tutto peculiari”.

3.1 Vi è però necessità di definire che cosa accada, rispetto ai rapporti di lavoro così instaurati, se, dopo l’assunzione, segua (fin dall’inizio o in corso di rapporto) l’adibizione a mansioni diverse da quelle per le quali vi fu l’eccezionale instaurazione in forme privatistiche ed in particolare se vi sia assegnazione a compiti inerenti all’attività amministrativa tipica dell’ente pubblico considerato.

In proposito va intanto detto che il rapporto di pubblico impiego privatizzato, di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993 e D.Lgs. n. 165 del 2001, sorge in stretta relazione tra una dotazione organica (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4 già D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 6) e lo svolgimento di procedure concorsuali o selettive (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35 già D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 36), secondo una dinamica indirizzata al perseguimento degli scopi istituzionali dei diversi enti e quindi tendenzialmente destinata a rimanere estranea alle ipotesi eccezionali qui in esame.

Affinchè un rapporto instaurato nelle forme esclusivamente privatistiche possa evolversi in un rapporto tipico di pubblico impiego privatizzato, non è dunque sufficiente che, di fatto, vi sia svolgimento di mansioni inerenti all’attività amministrativa propria dell’ente di riferimento, occorrendo quanto meno una previsione normativa che disponga in tal senso, anche in ragione dell’eventuale assenza di un originario concorso o selezione pubblica ed in linea con la previsione dell’art. 97 Cos., u.c., u.p..

3.2 Nel caso dei contratti di diritto privato di chi sia stato assunto come portiere di un ente previdenziale, tale previsione normativa è da ravvisare nella L. n. 388 del 2000, art. 43, comma 19, secondo cui “i lavoratori, già dipendenti degli enti previdenziali, addetti al servizio di portierato o di custodia e vigilanza degli immobili che vengono dismessi, di proprietà degli enti previdenziali, restano alle dipendenze dell’ente medesimo”.

Tale norma, prevedendo la prosecuzione dei rapporti di lavoro instaurati in forme esclusivamente privatistiche, pur con l’adibizione a mansioni diverse e dunque attinenti all’attività amministrativa propria dell’ente datore di lavoro, comporta il fuoriuscire dei rapporti stessi dall’ambito di quel riferimento ad attività “privatistiche dell’ente o servizi di istituto del tutto peculiari” che, come detto, ai sensi del D.P.R. n. 411 del 1976, art. 51 caratterizzava le eccezionali ipotesi di contratti di caratura esclusivamente civilistica.

Poichè non vi è dubbio che la disciplina del lavoro pubblico privatizzato, di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993 ed al D.Lgs. n. 165 del 2001, costituisca lex generalis, l’effetto dell’assegnazione ex lege a mansioni proprie dell’attività amministrativa tipica dell’ente di riferimento porta naturalmente con sè la corrispondente trasformazione del rapporto di lavoro, che resta dunque ricondotto alle forme comuni dell’impiego pubblico privatizzato.

Pertanto, anche la successiva aggiunta apportata all’art. 43, comma 19, cit. dalla L. n. 3 del 2003, art. 7, comma 4, secondo cui “si applica quanto disposto dal D.Lgs. 20 marzo 2001, n. 165, artt. 33 e 34”, costituisce precisazione normativa di uno sviluppo già insito nella pregressa disposizione dell’art. 43 nella originaria formulazione.

Il riferimento della norma agli “addetti al servizio di portierato” ed al fatto della dismissione degli immobili, quale ragione della permanenza in servizio, non può escludere peraltro che gli effetti così delineati si verifichino anche rispetto a chi, già all’epoca non più addetto a quelle mansioni, fosse tuttavia titolare di un rapporto stipulato per il portierato ed in forme di diritto privato.

Orienta verso tale interpretazione estensiva sia il fatto che anche in tali casi si è di fronte all’allontanamento delle mansioni concrete da quelle rispetto alle quali eccezionalmente si è addivenuti all’utilizzazione del contratto privatistico, sia la comune ratio diretta al mantenimento in servizio dei titolari di contratti civilistici di portierato in sè non più utili come tali per la P.A., a fortiori sussistente nei casi di chi già prima, seppure assunto in quelle forme, fosse stato poi adibito ad altre mansioni.

I rapporti instaurati con contratti di portierato, comunque svoltisi nel corso del tempo, a partire dall’entrata in vigore dell’art. 43, comma 19, cit., sono dunque divenuti a tutti gli effetti rapporti di pubblico impiego privatizzato, con applicazione consequenziale di ogni previsione, anche retributiva, ad esso inerente.

3.3 Si pone peraltro il problema di stabilire se lo svolgimento di mansioni diverse e relative all’attività amministrativa, dopo l’assunzione per l’attività di portierato e prima della menzionata trasformazione a tutti gli effetti in rapporti tipici di pubblico impiego privatizzato, comporti viceversa effetti sotto il profilo del trattamento retributivo rivendicato in causa dalla odierna ricorrente.

In proposito va detto che l’eccezionalità di un impiego pubblico regolato da disciplina esclusivamente privatistica, giustificato esclusivamente dalla funzionalità rispetto ad attività estranee alle specifiche finalità istituzionali dell’ente interessato, ha quale conseguenza l’illegittimità dell’assegnazione di mansioni che siano viceversa proprie di tali finalità tipiche.

L’effetto di tale illegittimità è poi quello di comportare. in parte qua ed in ragione del disposto dell’art. 2126 c.c., l’applicazione, a tutela del lavoratore, del trattamento retributivo proprio delle mansioni quali concretamente svolte, secondo la disciplina propria del rapporto entro cui la corrispondente attività di lavoro dovrebbe trovare inquadramento.

Pertanto, il rapporto, pur proseguendo nella matrice civilistica sua propria, impone, nei periodi in cui le mansioni svolte siano quelli proprie dell’attività funzionali alle tipiche finalità istituzionali dell’ente, il riconoscimento del trattamento retributivo di cui al c.c.n.l. degli enti pubblici non economici, secondo l’inquadramento corrispondente al lavoro quale in concreto svolto.

4. Da quanto sopra deriva l’infondatezza del secondo motivo, in quanto deve ritenersi che alla P. si dovesse applicare l’art. 43, comma 19, cit., ma al contempo la fondatezza del terzo motivo e ciò in quanto è corretto l’assunto di fondo della ricorrente in ordine all’illegittima incoerenza tra mansioni assegnate e retribuzioni corrisposte, erroneamente avallata dalla Corte di merito.

5. La sentenza impugnata, essendosi discostata dai principi quali sopra ricostruiti, va dunque cassata, con rinvio alla medesima Corte territoriale, in diversa composizione, la quale riconoscerà i diritti retributivi rivendicati per effetto della trasformazione del rapporto di lavoro che consegue al disposto della L. n. 388 del 2000, art. 43, comma 19, e valuterà inoltre se, prima di tale trasformazione, vi sia stato svolgimento di attività lavorative afferenti alle finalità istituzionali tipiche dell’ente e diverse da quelle di portierato contemplate nel contratto di assunzione, riconoscendo, in caso positivo, le differenze retributive maturate rispetto all’inquadramento cui la ricorrente avrebbe avuto diritto ove il rapporto fosse stato regolato dal D.Lgs. n. 29 del 1993, applicabile ratione temporis.

6. Il primo motivo, relativo alla ricostruzione in fatto svolta dalla Corte territoriale, resta assorbito, in quanto la valutazione di diritto sulla base dei principi qui espressi comporterà necessariamente una nuova e più precisa valutazione, nei termini sopra detti, anche dei fatti storici rilevanti, non avendo la Corte di merito appurato, come invece è necessario, quando vi sia stata la (pur riconosciuta) adibizione della P. alle mansioni di ausiliario di amministrazione.

7. Va altresì stabilito il seguente principio: “lo svolgimento, da parte dei portieri degli enti previdenziali assunti con contratto di diritto privato assoggettato alla disciplina del C. C. N. L. dei dipendenti da proprietari di fabbricati, di mansioni diverse da quelle di portierato e da riportare ad attività proprie della funzione amministrativa dell’ente di appartenenza non comporta in sè la trasformazione del vincolo in un rapporto di impiego pubblico privatizzato di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993 ed al D.Lgs. n. 165 del 2001, che si verifica solo quale effetto ex lege in esito al sopravvenire della L. n. 388 del 2000, art. 43, comma 19, ma fa sorgere, ai sensi dell’art. 2126 c.c., il diritto del lavoratore a percepire, per il periodo di concreto ed effettivo svolgimento di quelle diverse mansioni, il trattamento retributivo proprio del c.c.n.l. inerente agli enti pubblici non economici”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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