Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30072 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 19/11/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 19/11/2019), n.30072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8861/2016 proposto

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso

lo studio dell’Avvocato ANNA MARIA ROSSANA URSINO dell’AREA LEGALE

TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE, che la rappresenta e difende,

anche con facoltà disgiunte, unitamente all’Avvocato STEFANO LEDDA

in virtù di delega in atti.

– ricorrente principale – controricorrente in ordine al ricorso

incidentale –

contro

M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI PASTEUR

5, presso lo studio dell’Avvocato ENRICO GIANNUBILO, rappresentato

difeso dall’Avvocato GIOVANNI STRAMENGA giusta delega in atti.

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1073/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 22/10/2015 R.G.N. 324/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dal

Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Previo ricorso al Tribunale di Pescara Poste Italiane spa ne otteneva il decreto n. 1006/2013, emesso il 28.10.2013, con il quale veniva ingiunto a M.P. il pagamento della somma di Euro 47.852,66, oltre accessori, a titolo di restituzione dell’importo lordo erogato in esecuzione della sentenza n. 351/06 del Tribunale di Roma successivamente riformata dalla Corte di appello della stessa sede.

2. A seguito di opposizione, il Tribunale di Pescara, con la pronuncia n. 1101/2013, riduceva l’importo dovuto dal M. limitatamente alla somma netta effettivamente percepita, ritenendo esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.

3. La Corte di appello di L’Aquila, con la sentenza n. 1073/2015, rigettava il gravame principale proposto dalla società che quello incidentale formulato dal M..

4. I giudici di seconde cure, per quello che interessa in questa sede e richiamando precedenti della stessa Corte territoriale, precisavano che: a) la ripetizione dell’indebito nei confronti del lavoratore non poteva non avere ad oggetto che le somme da quest’ultimo percepite, ossia solo quanto effettivamente entrato nella sua sfera patrimoniale; b) in ordine all’appello incidentale del M., la validità del ricorso in sede monitoria non poteva ritenersi inficiata da meri errori materiali contenuti nell’atto; c) l’importo da restituire risultava esattamente quantificato sia al lordo che al netto del cedolino del novembre 2006 nonchè nel prospetto riepilogativo ad esso allegato contenente l’indicazione di tutti i dati rilevanti.

5. Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione Poste Italiane spa articolato su tre motivi.

6. Resisteva con controricorso M.P. presentando, altresì, ricorso incidentale sulla base di quattro motivi cui resisteva sua volta con controricorso la società.

7. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso principale la società denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in ordine alla tassatività delle ipotesi previste deducendo, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, che: a) l’indebito arricchimento del dipendente andava quantificato comprendendo tutte le somme comunque erogate dal datore, comprese quelle da quest’ultimo trattenute per essere riversate all’Erario e, quindi, al lordo delle ritenute e non al netto di esse, tanto è che il dipendente ben avrebbe potuto scorporare le ritenute di acconto subite, in relazione al proprio reddito complessivo, con il sistema delle detrazioni ed eventualmente monetizzando il suo credito di imposta ottenendo un maggior arricchimento; b) il citato art. 38, non suscettibile di applicazione analogica, consente il rimborso solo per le ipotesi in cui il prelievo alla fonte è viziato esclusivamente sotto il profilo tributario per vizi inerenti alla debenza stessa delle imposte e non anche in conseguenza delle particolari vicende cui il reddito, al quale la ritenuta accede, è sottoposto: deve trattarsi, quindi, di un indebito tributario fin dall’origine non dovuto.

2. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione di norma di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 10, comma 1, lett. D bis, in ordine alla legittimazione della domanda di rimborso: si sostiene che tale disposizione prevede la possibilità di dedurre dal reddito complessivo del contribuente “…. le somme restituite al soggetto erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti…” e che la L. n. 147 del 2013, ha rafforzato il contenuto della norma precedente affermando che l’imposta da restituire può essere portato in deduzione sul reddito dei periodi di imposta successivi; in alternativa può chiedere il rimborso dell’imposta corrispondente all’importo non dedotto secondo le modalità definite con decreto del MEF; il combinato disposto delle norme, avvalorato da due Risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate (n. 110/05 e 71/08), per cui il diritto di ripetere quanto eventualmente pagato in eccesso spetta al debitore principale verso il Fisco (lavoratore) e non al sostituto (datore di lavoro) che si limita ad eseguire la ritenuta per il successivo versamento.

3. Con il terzo motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione dell’art. 38, in relazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, lamentando l’assunto contenuto nella gravata sentenza in quanto la società non avrebbe potuto ricorrere, per ottenere il rimborso, al meccanismo previsto da tale disposizione trattandosi di norma il cui ambito applicativo è limitato alla sola decorrenza dei termini ed comunque di carattere residuale, trovando applicazione soltanto in mancanza di disposizioni specifiche.

4. Con il primo motivo del ricorso incidentale M.P. lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, costituito dal mancato pagamento della somma chiesta in ripetizione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: si sostiene che la busta paga, in mancanza di bonifico di cui non vi era traccia documentale, non costituiva prova della corresponsione, da parte di Poste Italiane spa, della somma di cui poi aveva chiesto la restituzione.

5. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 633 c.p.c., comma 1 e dell’art. 2697 c.c.: l’illiquidità del credito e la mancata prova della sua quantificazione derivante dalla non chiarezza del credito azionato, sia nella fase monitoria che in quella successiva di cognizione ordinaria in fase di opposizione, come riportato nella busta paga che, anche in caso di sottoscrizione da parte del lavoratore, non costituiva quietanza di pagamento.

6. Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 125 c.p.c.; la nullità e/o inammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo essendo l’oggetto dell’atto e le ragioni della domanda indeterminate e/o comunque inesistenti: si sostiene che in violazione della citata disposizione, la richiesta monitoria conteneva una serie di inesattezze tali che non risultavano individuati i fatti costitutivi della domanda con la conseguenza che il decreto ingiuntivo non poteva e non doveva essere concesso.

7. Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 414 c.p.c.: la nullità e/o inammissibilità dell’appello essendo l’esposizione dei fatti indeterminata e/o comunque erronea; si precisa che anche nel ricorso di appello erano stati indicati dati ed elementi errati che inficiavano l’ammissibilità dell’impugnazione a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di merito.

8. Ritiene il Collegio che sia il ricorso principale che quello incidentale debbano essere rigettati.

9. I primi due motivi del ricorso principale, da trattarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono infondati.

10. La gravata sentenza è, infatti, sostanzialmente conforme all’orientamento di legittimità, cui si intende dare seguito, rappresentato dai precedenti non solo citati dagli stessi giudici del merito (Cass. n. 1464/2012), ma anche di recente nuovamente ribaditi da questa Corte (Cass. 25.7.2018 n. 19735; Cass. 20.5.2019 n. 13530; Cass. n. 990/2019 con le pronunce ivi richiamate).

11. E’ stato, infatti, specificato in modo chiaro che, in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto di ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, atteso che il caso del venire meno con effetto “ex tunc” dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto ricade nel raggio di applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, secondo il quale il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo.

12. E’ stato, poi, precisato che, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, come modificato dal D.Lgs. n. 143 del 2005, sono legittimati a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute, e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario, sia il soggetto che ha effettuato il versamento (cd. “sostituto di imposta”) sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (cd. “sostituto”).

13. Questa Corte (Cass. n. 21699 del 2011) ha ben evidenziato, inoltre, che l’azione di restituzione riduzione in pristino, proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento, si collega ad una esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza, con riferimento a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti e, quindi, giuridicamente di un pagamento non dovuto.

14. Il principio affermato nella pronuncia di legittimità (Cass. n. 23886/2007), secondo cui il debitore principale verso il fisco è il percettore del reddito imponibile e non il sostituto che esegue la ritenuta ed il successivo versamento, onde è al medesimo debitore principale che compete il diritto di ripetere quanto eventualmente pagato in eccesso, riguarda i rapporti tra sostituto di imposta, sostituito e fisco (cfr. Cass. n. 239/2006) ma non afferma che al lavoratore sostituito possa essere richiesto quanto versato dal sostituto ad un terzo (amministrazione finanziaria).

15. In conclusione, pertanto, salvi i rapporti con il fisco e comunque quanto sopra evidenziato in ordine agli ambiti oggettivi e soggettivi di applicabilità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, il datore di lavoro può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo, restando esclusa la possibilità di chiedere la restituzione di somme al lordo delle ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.

16. La gravata sentenza è, quindi, immune dai vizi denunciati dalla società.

17. Il terzo motivo (relativamente alla asserita violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21) è inammissibile per difetto di interesse quanto alla rilevanza, per la stessa residualità della norma invocata, costituendo il richiamo operato per relationem, ai precedenti della stessa Corte territoriale, a detta disposizione dai giudici di seconde cure una “doppia ratio decidendi”che, anche se accolta, non potrebbe mai produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza stante l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso in ordine alla corretta utilizzabilità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 (Cass. n. 22753/2011; Cass. n. 3886/2011).

18. Il primo motivo del ricorso incidentale, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile.

19. Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali (nel caso di specie circa l’asserita inidoneità della busta paga a costituire prova del pagamento dell’importo, di cui si chiedeva la restituzione, in mancanza del riscontro documentale rappresentato dal bonifico) non dà luogo, infatti, ad un vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio) nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 10.6.2016 n. 11892; Cass. 26.9.2018 n. 23153).

20. Il secondo e terzo motivo del ricorso incidentale, che possono essere esaminati congiuntamente per connessione, sono ugualmente inammissibili ma per difetto di interesse.

21. Invero, essendo stato revocato il decreto ingiuntivo, per accoglimento parziale dell’opposizione proposta dallo stesso M., tutti i vizi della fase monitoria devono ritenersi superati dall’accertamento della fondatezza della pretesa, compiuto in sede di giudizio di cognizione, che non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma concerne i fatti costitutivi del diritto in contestazione (cfr. in termini Cass. 21840/2013, Cass. 21432/2011).

22. Ne consegue che tutta la procedura monitoria deve considerarsi assorbita dalla successiva fase di cognizione ordinaria e, con essa, eventuali irregolarità nella adozione del decreto ingiuntivo.

23. Il quarto motivo, riguardante, invece, la asserita violazione dell’art. 434 c.p.c., è infondato.

24. Va ribadito il principio statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 27199/2017), secondo cui gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianza, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quelle di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris istantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.

25. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto i semplici errori materiali contenuti nell’atto inidonei ad inficiare la complessiva ammissibilità del gravame, di cui ha individuato i punti controversi pronunciandosi su di essi; ha rilevato, quindi, la chiarezza delle doglianze formulate, a prescindere dalle inesattezze contenute, e le ha esaminate ritenendole poi infondate.

26. Tale statuizione, sulla ammissibilità formale dell’impugnazione, si palesa, pertanto, sotto il profilo processuale, formalmente corretta e non inosservante del disposto di cui all’art. 434 c.p.c..

27. Alla stregua di quanto esposto, sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati.

28. La soccombenza reciproca induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

29. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte sia della ricorrente principale che di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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