Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30069 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 31/12/2020, (ud. 26/11/2020, dep. 31/12/2020), n.30069

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35329-2018 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIPOL SAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE MAZZINI

n. 145, presso lo studio dell’avvocato PAOLO GARAU, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 18153/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 26/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA

NAZZICONE.

 

Fatto

RILEVATO

– che viene proposto ricorso, sulla base di quattro motivi, avverso la sentenza pronunciata il 26 settembre 2018 dal Tribunale di Roma, che, in riforma della decisione del Giudice di pace, ha condannato Poste Italiane s.p.a. al pagamento della somma di Euro 2.700,00, oltre accessori, con riguardo alla negoziazione di un assegno bancario di traenza, illegittimamente incassato;

– che resiste con controricorso l’intimata;

– che la trattazione è rimasta in attesa della pronuncia delle S.U., cui questione implicata dalla decisione era stata rimessa da ordinanze interlocutorie della Prima Sezione civile;

– che la controricorrente ha depositato altresì la memoria.

Diritto

RITENUTO

– che i motivi deducono:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 1176,1992 e 1218 c.c., della L. n. 445 del 2000, del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, ed omesso esame di fatto decisivo, in quanto non apparivano sul titolo o sui documenti di identità contraffazioni palesi, onde non avrebbe potuto essere reputata la responsabilità della negoziatrice, nè questa era per forza tenuta alla richiesta di un duplice documento di identità, avendo sul punto l’Abi esposto mere raccomandazioni, non cogenti;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 83, e del D.M. 26 febbraio 2004, (cd. Carta della qualità del servizio pubblico postale), oltre ad omesso esame di fatto decisivo, per non avere ravvisato un concorso di colpa del danneggiato, nonostante la spedizione del plico per posta ordinaria, invece che assicurata;

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere disposto la condanna, mentre la mancata prova della reiterazione del pagamento all’avente diritto esclude il danno, attesa anche l’insorgenza del diritto alla ripetizione dell’indebito in capo alla controparte;

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., ed omesso esame di fatto decisivo;

– che la sentenza impugnata ha ritenuto come: a) la negoziatrice risponde, per il pagamento al non legittimato, salva la prova liberatoria, da valutare con particolare rigore, che essa ha reputato però non assolta, in mancanza di ulteriori accertamenti sul soggetto non cliente; b) la spedizione del titolo per posta ordinaria non riduce il risarcimento dovuto, conseguendo il danno al pagamento a soggetto non legittimato;

– che, ciò posto, il primo motivo è inammissibile, in quanto intende ripetere un giudizio sul fatto, avendo la corte del merito ampiamente motivato circa la mancata raggiunta prova dell’assenza della colpa, per la complessiva condotta negligente della negoziatrice, la quale, a fronte di un assegno di traenza e di un soggetto non cliente che lo poneva all’incasso, da essa non conosciuto, avrebbe dovuto porre in essere altre cautele, a comprova della condotta diligente, tuttavia non dimostrate: onde il motivo mira a richiedere un accertamento in fatto;

– che il secondo motivo è manifestamente fondato, alla luce delle recenti pronunce Cass., sez. un., 26 maggio 2020, n. 9769 e n. 9770, le quali hanno affermato che:

a) il nesso di causalità, in tema di responsabilità civile, è regolato dai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., in virtù dei quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non), nonchè dal criterio della c.d. causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno di una serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano, ad una valutazione ex ante, del tutto inverosimili; onde – nel caso in esame -“risulta oggettivamente difficile negare che, in caso di sottrazione di un assegno non trasferibile non consegnato direttamente al prenditore, le modalità prescelte per la trasmissione del titolo possano spiegare un’efficienza causale ai fini della riscossione del relativo importo da parte di un soggetto non legittimato: se è vero, infatti, che il pagamento dell’assegno è subordinato al riscontro della corrispondenza tra il soggetto indicato come prenditore e colui che presenta il titolo all’incasso, e quindi all’identificazione di tale soggetto, alla quale la banca deve procedere mediante l’adozione di tutte le cautele e gli accorgimenti suggeriti dalla diligenza professionale, è anche vero, però, che tale pagamento non può aver luogo in mancanza della materiale disponibilità dell’assegno, la cui presentazione alla banca ne costituisce un presupposto indispensabile”;

b) pertanto, “la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell’assegno al beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione (posta raccomandata o assicurata) o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri (quali il bonifico bancario o il pagamento elettronico), si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente, che non può non costituire oggetto di valutazione ai fini dell’individuazione della causa dell’evento dannoso”: infatti, in tal modo il danneggiato si espone volontariamente ad un rischio superiore, come è palesato dalle regole sulla regolamentazione dei servizi postali, le quali prevedono delle cautele speciali per la spedizione, la trasmissione e la consegna della posta raccomandata ed assicurata, rispetto alle corrispondenti modalità previste per la posta ordinaria; in particolare, la possibilità di seguire in tempo reale lo stato di lavorazione del plico ed il percorso dallo stesso compiuto, sono tali da permettere al mittente, in caso di ritardo prolungato nella consegna, di attivarsi tempestivamente per evitarne il pagamento o quanto meno per segnalare l’anomalia alla banca trattaria;

c) da ciò, è derivata l’enunciazione del seguente principio di diritto:

“La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorchè munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore”;

– che il terzo motivo è inammissibile, in quanto nulla al riguardo afferma la sentenza impugnata, nè la ricorrente ha assolto all’onere di specificità, di cui all’art. 366 c.p.c., riferendo del relativo motivo proposto in appello, mancando altresì di censurare un vizio processuale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– che il quarto motivo è inammissibile, in quanto solo enunciato nell’epigrafe, ma non svolto in nessun passaggio, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6;

– che, dunque, in accoglimento del secondo motivo del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa innanzi al Tribunale di Roma, in diversa composizione, perchè provveda alla decisione della causa, sulla base del principio ricordato; ad essa si demanda, altresì, la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

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