Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30069 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 05/12/2011, dep. 29/12/2011), n.30069

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.A. (C.F. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA A. DORIA 48, presso l’avvocato ABBATE

FERDINANDO EMILIO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GIULIANI ANGELO, giusta procure in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il

20/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato RODA RANIERI, con delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso e si riporta anche al precedente

specifico, ordinanza n. 24517/10 della Corte Suprema di Cassazione;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.A., + ALTRI OMESSI hanno impugnato con ricorso per cassazione il decreto della Corte d’appello di Perugia depositato il 20 novembre 2007 che, in parziale accoglimento della loro domanda di equa riparazione formulata in relazione a (Ndr: testo originale non comprensibile) di lavoro introdotta innanzi al Tribunale di Viterbo con ricorsi in opposizione a decreti ingiuntivi del 16.5.1996, definite in primo grado con sentenza del 9.4.2002 e con sentenza d’appello del 31.8.2005, accertato un eccesso di 2 anni e 6 mesi rispetto alla ragionevole durata stimata in 5 anni, avendo detratto tutto il periodo corrispondente alla durata dei rinvii chiesti dalle parti, ha liquidato il danno non patrimoniale in Euro 1.000,00. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorrenti con i tre motivi di ricorso congiuntamente esaminabili in quanto logicamente connessi, i quali si concludono con adeguato e pertinente quesito di diritto, lamentano che la Corte del merito avrebbe erroneamente eseguito il computo della ragionevole durata ascrivendo il ritardo nella celebrazione del processo presupposto al comportamento processuale delle parti, cui ha imputato l’intera durata del rinvii disposto a loro richiesta. Per l’effetto, la Corte del merito ha provveduto alla liquidazione del danno non patrimoniale disponendola in misura inadeguata.

Il motivo è fondato e merita accoglimento.

Nell’accertamento della violazione del termine di ragionevole durata del processo, la Corte d’Appello pur non avendo disatteso i criteri di valutazione elaborati dalla Corte EDU che fissano in tre anni la durata ragionevole del giudizio di primo grado, vi ha tuttavia apportato correttivo alla luce delle vicende del giudizio presupposto, caratterizzato da numerose richieste di rinvio che, disposti ad istanza di parte, ha ritenuto ne abbiano ritardato la definizione. Tale apprezzamento, che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la valutazione della misura, all’interno del complessivo arco temporale del processo, del segmento riferibile all’apparato giudiziario, in relazione al quale deve essere emesso il giudizio di ragionevolezza della relativa durata, si risolve in un giudizio di fatto rimesso al giudice di merito, che può essere sindacato in sede di legittimità solo per i profili attinenti alla motivazione, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (cfr. Cass. Sez. 1A 19 novembre 2009. n. 24399;

11 luglio 2006, n. 15750), non giustifica l’imputabilità della dilatazione dei tempi del processo alla mera richiesta di rinvio delle parti. Immotivato il vaglio critico circa l’intento dilatorio sottostante, il decreto effettua automatica detrazione dei tempi dei rinvii delle udienze, che può di certo assumere rilievo ai fini del superamento del termine di ragionevole durata del processo, ma solo se le richieste delle parti non siano risultate funzionali al contraddittorio ed al corretto svolgimento del processo. A tale doveroso accertamento la Corte del merito non ha fatto cenno alcuno, nè risulta abbia tenuto conto del fatto che “l’accoglimento di tali richieste costituisce comunque espressione di inerzia o acquiescenza da parte del giudice istruttore, al quale competono tutti i poteri intesi ad un più sollecito e leale svolgimento del procedimento” Cass. n. 15258/2011-. La decisione impugnata collide col richiamato principio basandosi, giova ripetere, sulla mera detrazione dal ritardo irragionevole dei rinvii ad istanza di parte immotivatamente addebitati alle parti, senza considerare l’omesso esercizio dei poteri direttivi del giudice istruttore.

Irrilevante l’errore di calcolo in cui è caduta la Corte del merito nel determinare il periodo di irragionevole durata perchè assorbito, il decreto impugnato va cassato e non necessitando ulteriori indagini istruttorie, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., determinando l’indennizzo spettante al ricorrente in complessivi Euro 2.750,00 in relazione all’irragionevole durata di tre anni e mesi sei, oltre interessi legali dalla domanda. Le spese giudiziali di entrambe le fasi, liquidate come da dispositivo fanno carico all’amministrazione soccombente. Se ne dispone la distrazione in favore del procuratore di parte ricorrente per dichiarato anticipo.

PQM

La Corte:

Accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore degli odierni ricorrenti. B.A., + ALTRI OMESSI – dell’equo indennizzo in Euro 2.750,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo, nonchè al pagamento delle spese processuali che liquida per la fase di merito in Euro 50,00 per esborsi, Euro 378,00 per diritti ed Euro 445,00 per onorario, e per il presente giudizio di legittimità in Euro 800,00 oltre Euro 100,00 per esborsi, oltre ancora spese generali ed accessori di legge per entrambe le liquidazioni attribuendole al procuratore antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 5 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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