Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30065 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2018, (ud. 27/06/2018, dep. 21/11/2018), n.30065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25668-2011 proposto da:

R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.

ANTONELLI 50, presso studio dell’avvocato CRISTINA ORGIANA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO FREGNI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI MODENA in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimati –

avverso 1a decisione n. 155/2071 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

BOLOGNA, depositata il 27 gennaio 2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27 giugno 2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

Fatto

RILEVATO

che:

R.L. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 155/2011, depositata dalla Commissione Tributaria Centrale, Sez. di Bologna, il 27 gennaio 2011;

ha riferito che durante il servizio militare di leva contraeva una malattia per la quale gli era stata riconosciuta e corrisposta una pensione privilegiata militare tabellare di 4^ cat. vitalizia, a partire dal 27 settembre 1962. il 21 gennaio 1981 richiedeva alla Intendenza di Finanza di Modena il rimborso di quanto indebitamente trattenuto o versato ai fini Irpef sulla predetta pensione, facendo valere la natura risarcitoria della stessa. Al silenzio della Amministrazione seguì il contenzioso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Modena. Nelle more la Corte Costituzionale, con sentenza n. 387 del 1989 riconosceva l’illegittimità del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 34, comma 1, nella parte in cui non estendeva alle pensioni privilegiate ordinarie tabellari percepite dai militari di leva le esenzioni dall’Irpef. A seguito della sentenza la CTP di Modena accolse il ricorso del R. con sentenza n. 1290 del 1991. La Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia respinse l’appello dell’Ufficio con sentenza n. 160 del 1993. Anche la Direzioni Prov.le del Tesoro di Modena comunicò al ricorrente con nota del 28 aprile 1993 l’applicazione della esenzione dall’imposizione fiscale.

Tuttavia l’Ufficio distrettuale modenese impugnò la sentenza della CTR dinanzi alla Commissione Tributaria Centrale, che con la sentenza ora oggetto di ricorso dichiarava assoggettabile ad Irpef la pensione erogata al R..

Il ricorrente si duole della sentenza con tre motivi:

con il primo per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 329 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per violazione del D.P.R. n. 1072 del 1973, art. 67, del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 34, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver deciso ultra petitum rispetto all’oggetto dell’impugnazione;

con il secondo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 15, comma 3 e art. 25, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver deciso su un ricorso privo di motivi specifici;

con il terzo per “violazione di legge per totale mancanza di motivazione e/o mera apparenza della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per la motivazione meramente apparente in ordine alla esclusione della natura tabellare della pensione percepita dal ricorrente.

Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza, con ogni conseguente statuizione. Ha tempestivamente depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Si è costituita l’Agenzia, contestando i motivi di ricorso, di cui ne ha chiesto il rigetto.

Diritto

RITENUTO

che:

il primo motivo è fondato. Con esso il ricorrente censura la sentenza per aver deciso ultra petitum rispetto all’oggetto della impugnazione. Deve premettersi che nell’invocare la violazione di legge quale error in iudicando anzicchè come error in procedendo il ricorrente è incorso in una evidente svista, ma ciò tuttavia non costituisce ragione di inammissibilità del motivo. A tal fine questa Corte ha reiteratamente affermato il principio secondo cui l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (cfr. Cass., ord. n. 4036/2014). Con riguardo proprio alla violazione dell’art. 112 c.p.c. si è affermato in particolare che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 del con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Sez. U, sent. n. 17931/2013; cfr. anche sent. 24553/2013, ord. 10862/2018).

Nel caso di specie è inequivocabile che il ricorrente, pur invocando l’ipotesi di cui al n. 3, abbia censurato la sentenza sotto il profilo della decisione ultra petita, collocata nella ipotesi prevista nell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Ciò chiarito, il ricorrente sostiene che la Commissione Tributaria Centrale abbia deciso ultra petita nella parte in cui, accogliendo il ricorso della Agenzia, ha affermato che la pensione percepita dal R. non rientrava nella categoria delle cd. pensioni privilegiate tabellari, la cui natura risarcitoria era stata riconosciuta dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 387 del 1989, dichiarando l’illegittimità del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 34, comma 1, nella parte in cui non estendeva l’esenzione dall’Irpef alle pensioni privilegiate ordinarie tabellari spettanti ai militari di leva. Sennonchè, sostiene il ricorrente, con il proprio ricorso l’Ufficio aveva formulato una diversa domanda. In particolare l’Agenzia con il proprio ricorso dinanzi alla CTC affermava che “Con la decisione che si appella la Commissione Tributaria di 2^ grado di Modena ha riconosciuto intassabile la pensione privilegiata liquidata al nominato in oggetto perchè conseguente a malattia contratta in servizio militare senza entrare nel merito delle eccezioni procedurali e di sostanza avanzate e che in questa sede si richiamano integralmente. Pertanto questo Ufficio, vista la sentenza della Corte Costituzionale…. precisa che ai titolari di pensioni tabellari sono equiparati i titolari di pensioni privilegiate….. ciò premesso il rimborso dell’IRPEF operata per ritenuta diretta sulle pensioni in questione prima della sentenza costituzionale su richiamata, spetta nel limite della prescrizione ordinaria di cui all’art. 2946 c.c., decorrente dall’effettuazione della ritenuta, sempre che il rapporto tributario non sia divenuto definitivo. Restano escluse dalla suddetta ipotesi le istanze presentate fino al 31 dicembre 1981(…) per le quali si doveva presentare ricorso entro 60 gg. dalla scadenza dei 90 gg. di silenzio-rifiuto della Intendenza di Finanza. Nel caso di cui si discute…..non è pervenuto allo scrivente copia del ricorso avverso il silenzio rifiuto dalla stessa presentato alla Commissione Tributaria di 10 grado”. Il tenore letterale dell’atto d’impugnazione dinanzi alla CTC di Bologna evidenzia l’interesse a circoscrivere la domanda di rimborso eccependo termini di prescrizione o di decadenza. Non lascia spazio invece per interpretazioni estensive dell’oggetto della impugnazione, non emergendo l’intento di contestare le statuizioni dei precedenti giudici di merito, che avevano riconosciuto il diritto del R. alla esenzione totale della pensione dall’imposta sulle persone fisiche.

Nè ha pregio invocare quel passaggio del ricorso, su cui pure insiste la controricorrente, nel quale l’Ufficio sostiene che il giudice tributario regionale avrebbe riconosciuto l’agevolazione in capo al contribuente “senza entrare nel merito delle eccezioni procedurali e di sostanza avanzate e che in questa sede si richiamano”, il cui tenore è del tutto estraneo dall’intento di formulare un espresso motivo di impugnazione. Peraltro, se anche così fosse stato nell’intenzione dell’Ufficio, si sarebbe trattato di un motivo inammissibile per carenza di specificità, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., ratione temporis vigente, sollevabile anche d’ufficio.

Per mera completezza, sarebbe logicamente inspiegabile il perchè all’epoca, con nota del 28 aprile 1993, la Direzione Prov.le del Tesoro riconobbe al R. l’esenzione dall’imposizione fiscale, prendendo atto della sentenza della Corte Costituzionale e qualificando quella pensione come privilegiata tabellare, circostanza questa incontestata dalla controricorrente.

L’accoglimento del primo motivo assorbe gli altri.

Considerato che la sentenza va cassata e peraltro, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti di fatto, per avere la CTC respinto il secondo motivo di ricorso della Agenzia, senza che questo capo di sentenza sia stato impugnato in questa sede con ricorso incidentale, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo del R..

All’esito del giudizio segue la regolamentazione delle spese processuali, che si ritiene di compensare per i gradi di merito mentre, tenuto conto della soccombenza della Amministrazione nel presente giudizio di legittimità, essa va condannata alla rifusione delle spese in favore del R., nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa le spese dei gradi di merito e condanna l’Agenzia alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 oltre spese generali nella misura del 15% e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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