Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30064 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2018, (ud. 27/06/2018, dep. 21/11/2018), n.30064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25537-2011 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 5,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ROMANELLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO MURIALDO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 42/2010 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 21 luglio 2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27 giugno 2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

Fatto

CONSIDERATO

Che:

M.S. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 42/32/2010, emessa dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, depositata il 21 luglio 2010.

Ha rappresentato che, a seguito di una verifica fiscale nei confronti della società Immobiliare Alassio s.r.l. e a seguito di accesso autorizzato dal Procuratore della Repubblica presso l’abitazione del socio amministratore nonchè presso l’abitazione personale della ricorrente, fu rinvenuta documentazione relativa a rapporti personali della M. con terzi, in particolare trentotto estratti conto emessi dalla Compagnie Monegasque de Banque di Montecarlo, intestati alla contribuente. Al processo verbale di constatazione redatto dai militari della GdF seguirono le notifiche di avvisi d accertamento relativi agli anni 1990, 1991 e 1992, con cui si determinava il reddito prodotto all’estero e soggetto a tassazione separata, con conseguente recupero d’imposta ai fini Irpef e irrogazione di sanzioni.

Gli avvisi di accertamento furono impugnati dalla M. con altrettanti ricorsi. Previa loro riunione, la Commissione Tributaria di Alessandria prima, la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte dopo, rigettarono i ricorsi. Con sentenza n. 11578 del 2007 la Corte di cassazione cassò la sentenza del giudice regionale (per omessa pronuncia sui motivi di ricorso). Riassunta la causa dinanzi alla CTR piemontese, con la pronuncia ora impugnata il ricorso era parzialmente accolto in riferimento al calcolo delle sanzioni, con rigetto delle altre ragioni.

La M. censura la sentenza con cinque motivi:

con il primo per “violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1: omessa pronuncia su punti decisivi della controversia” per non aver dato risposta alle eccezioni sollevate dalla contribuente sulla illegittimità dell’acquisizione di prove delle contestazioni mosse nei suoi confronti, perchè avvenute nell’ambito di indagini svolte nei confronti di altro soggetto, nonchè in ordine alla quantificazione delle sanzioni pecuniarie per la detenzione di disponibilità finanziarie all’estero;

con il secondo per “violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 148 del 1988, art. 26, comma 2 e della L. n. 4 del 1929, artt. 34 e 35, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: illegittimità dell’acquisizione delle prove dei rilievi mossi con gli avvisi di accertamento”, invocando sul punto anche una omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.;

con il terzo per “violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: accesso in locali adibiti ad abitazione privata senza valida autorizzazione del Procuratore della Repubblica”, per la carenza di motivazione del provvedimento autorizzatorio;

con il quarto per “violazione ed errata applicazione del D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 6, convertito nella L. 4 agosto 1990, n. 227 e del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37-38 e art. 41 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: determinazione del reddito sulla base di presunzioni semplici”, per aver erroneamente ritenuto che l’accertamento degli importi contestati fossero basati su prove documentali e non su presunzioni;

con il quinto per “violazione ed errata applicazione del D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 5, comma 5, convertito nella L. 4 agosto 1990., n 227, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: inapplicabilità della sanzione” perchè -lamentando sul punto anche l’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. – per l’errato metodo con il quale era stata calcolata la sanzione irrogata.

Chiedeva pertanto la cassazione della sentenza, con rinvio se necessario alla CTR del Piemonte.

Si è costituita l’Agenzia, che ha contestato tutti i motivi di ricorso, del quale ne ha chiesto il rigetto.

Diritto

RITENUTO

che:

esaminando il primo motivo del ricorso, anche volendo trascurare i profili di inammissibilità relativi alla sua formulazione, lamentandosi una violazione e falsa applicazione di norme per poi invece censurare la sentenza per vizio di motivazione sotto l’aspetto dell’omessa pronuncia su fatti decisivi, esso è infondato. La contribuente sostiene che il giudice del rinvio non si sia pronunciato sia con riguardo alla illegittimità della acquisizione di prove relative alla disponibilità di reddito all’estero non dichiarato, sia sulla quantificazione ed applicazione delle sanzioni. La lettura della sentenza consente invece di riscontrare che il giudice regionale si è occupato della denunciata illegittima acquisizione delle prove, ricostruendo la vicenda e soffermandosi sull’atto autorizzativo dell’Autorità Giudiziaria, che espressamente estendeva l’accesso alla abitazione della M.. Parimenti, in riferimento alle sanzioni, premesso che la difesa non riproduce alcunchè delle esatte contestazioni che sostiene di aver mosso sull’argomento, emerge che la sentenza se ne sia occupata, tanto da ritenere fondate le ragioni della M. in ordine alla loro quantificazione, a tal fine applicando il principio del favor rei.

Il secondo motivo, quando non inammissibile, è infondato. Esso appare formulato confusamente, perchè si lamenta un error in iudicando, ma poi si invoca una omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., che invece trova collocazione nell’error in procedendo.

In ogni caso la contribuente si duole che l’autorizzazione all’accesso rilasciata dal Procuratore della Repubblica fosse illegittima, e comunque volta alla ricerca di documentazione fiscale nei confronti della società Immobiliare Alassio s.r.l.. Sennonchè risulta incontestato che l’autorizzazione prevedesse espressamente l’accesso presso i locali abitati dalla M.. Ciò è sufficiente ad escludere, sotto i profili denunciati, l’illegittimità dell’accesso e della acquisizione di documentazione. Se poi la contribuente avesse voluto sostenere una efficacia più circoscritta della autorizzazione, ciò che peraltro non emerge neppure con chiarezza dal motivo di ricorso, avrebbe dovuto in ogni caso riprodurre, per il rispetto del principio di autosufficienza, l’intero atto di autorizzazione rilasciato e sottoscritto dal Procuratore della Repubblica. L’omessa riproduzione pertanto non consente di esaminare ulteriori aspetti. Infondato è poi il motivo laddove denuncia l’illegittima acquisizione di documentazione perchè la L. n. 4 del 1929, art. 35 e il D.P.R. n. 148 del 1988, art. 26, comma 2, non prevedono l’accesso alla abitazione privata. E’ qui sufficiente evidenziare che l’accesso fu eseguito nell’ambito di una verifica fiscale, cui risultano applicabili il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, norme che espressamente prevedono l’accesso alla abitazione privata, previa autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria.

Infondato è il terzo motivo, con il quale ci si duole della illegittimità della autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso presso i locali destinati ad abitazione privata. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. Premesso infatti che dalla lettura della sentenza emerge che l’autorizzazione fu richiesta dai militari della GdF con corredo di motivazione, e fu concessa dall’Autorità Giudiziaria che “ritenute idonee e sufficienti le tesi proposte, le ha fatte proprie” (pag. 4, righi 25 e 26, della sentenza), la circostanza lamentata dalla difesa, ossia che la motivazione per relationem dell’autorizzazione doveva presupporre la conoscenza della nota della GdF, ciò che invece non si verificò, richiedeva che nel ricorso la M. avrebbe dovuto riportare il testo dell’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica per verificare la carenza motivazionale di cui ci si duole. Ne deriva il difetto di autosufficienza del motivo, con la sua conseguente inammissibilità.

Inammissibile è anche il quarto motivo. Con esso la contribuente lamenta che erroneamente la CTR ha ritenuto gli accertamenti sui redditi all’estero fondati su documentazione e non su presunzioni. Critica quindi i risultati dell’accertamento, ritenuti invece corretti dal giudice regionale, insistendo sulla inesattezza della base di calcolo, sulla inattendibilità dei cambi, sulla indeterminatezza del tasso medio di sconto, sulle perdite subite. Sennonchè la contribuente non si avvede che le critiche così mosse alla sentenza afferiscono alla motivazione, ed eventualmente ai suoi vizi, laddove il motivo di ricorso invoca un errore di diritto.

Per le medesime ragioni è inammissibile il quinto motivo. Con esso infatti la contribuente lamenta l’erronea applicazione della sanzione perchè calcolata su importi errati, ma così facendo censura la pronuncia in ragione di un vizio motivazionale, mentre ha invocato un errore di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Ritenuto che il ricorso in conclusione va rigettato per l’infondatezza dei primi tre motivi e l’inammissibilità del quarto e del quinto. All’esito del giudizio segue la soccombenza della M. nelle spese processuali, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna M.S. al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 8.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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