Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30064 del 14/12/2017


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 30064 Anno 2017
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 15326-2015 proposto da:
MICOLI ALESSIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
F. OZANAM, 69, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE
PETILLO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2017
2411

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI

PSICOLOGI

DEL LAZIO,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAllA DELLA MARINA
1, presso lo studio dell’avvocato LUCA LENTINI, che lo
rappresenta e difende;
– con troricorrente

avverso la sentenza n. 2086/2015 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 14/12/2017

di ROMA, depositata il 01/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/10/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
GRASSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il

udito l’Avvocato PETILLO Salvatore, difensore della
ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato LENTINI Luca, difensore del resistente
che ha chiesto il rigetto del ricorso.

‘,

\

rigetto del ricorso;

I FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Roma, con sentenza pubblicata 11 aprile
2015, accolto il reclamo principale e rigettato quello incidentale,
in riforma della sentenza emessa dal Tribunale della stessa città
del 28 gennaio 2014, confermò la sanzione disciplinare della
sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi, inflitta
alla dottoressa Alessia Micoli dal Consiglio Regionale dell’Ordine

Alla Micoli viene addebitato che, in violazione degli artt. 2 e
24 del codice deontologico degli psicologi italiani, nominata
perito in un processo penale, aveva omesso, al momento di
accettare l’incarico, di dichiarare al giudice che la stessa aveva
maturato il convincimento che non fosse in nessun caso possibile
rispondere al quesito che le era stato posto, concernente la
verificabilità dell’attendibilità di persona minore d’età a riguardo
di presunti abusi sessuali patiti; nonché di aver taciuto, sempre
allo stesso giudice, i propri rapporti professionali ed accademici
con il consulente degli imputati.
Avverso la predetta statuizione l’interessata propone ricorso
per cassazione, corredato da due motivi di censura,
ulteriormente illustrati da memoria.
L’Ordine dei

degli

Psicologi del

Lazio

resiste con

controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione della I.
n. 241/1990 in relazione al regolamento disciplinare dell’Ordine
dei Psicologi.
Secondo l’assunto impugnatorio erroneamente la Corte
romana aveva ritenuto che non fosse stata commessa alcuna
violazione del diritto alla discolpa, nonostante l’Ordine avesse
proceduto ad applicare la sanzione disciplinare senza che la
incolpata fosse comparsa, per giustificate ragioni, davanti alla
Commissione Deontologica, essendo il procedimento disciplinare
3

degli Psicologi del Lazio.

suddiviso in due fasi: la prima, appunto, davanti alla
Commissione, la quale decide se archiviare l’accusa o procedere,
e l’altra davanti al Consiglio dell’Ordine, il quale formula il capo
di contestazione e decide nel merito. Era rimasto, in tal modo,
violato l’art. 6 del regolamento disciplinare, il quale consentiva di
restituire gli atti alla Commissione, al fine di far luogo
all’audizione.

quale forma di partecipazione dell’interessata al procedimento,
con conseguente disapplicazione del predetto regolamento,
poiché in contrasto con la norma primaria (art. 3 della I. n. 241)
per due ordini di ragioni: a) lo strumento normativo secondario
scinde la decisione del procedimento disciplinare dal deposito
della motivazione (nel caso di specie la delibera costituente il
dispositivo risale all’8/7/2013 ed era stata adottata da tutti i
membri dell’organo e quella contenente la motivazione, risalente
al 7/8/2013, da soli tre membri); b) permette che alla seconda
delibera partecipino solo alcuni dei membri costituenti l’organo
(nel caso solo tre su quindici).
Il motivo non merita di essere accolto.
La censura al vaglio nella parte in cui afferma che anche
davanti alla Commissione l’audizione dell’interessata avrebbe
dovuto considerarsi necessaria si scontra inesorabilmente con il
contenuto della norma e con la funzione della comparizione,
puntualmente riportati dal provvedimento gravato: la decisione
di richiedere la comparizione dell’interessato durante la fase
preliminare davanti alla Commissione costituisce una mera
opzione facoltativa, strumentale ad una migliore conoscenza del
caso, finalizzata all’oltre procedersi o all’archiviazione; in tal
senso il chiaro contenuto dell’art. 6 del regolamento citato, il
quale prescrive che l’accertamento sommario, diretto al fine di
cui sopra, può, esemplificativamente avvalersi di plurimi
strumenti conoscitivi, fra i quali le dichiarazioni del
4

In ogni caso, la I. n. 241/1990 impone una tale audizione,

professionista. Peraltro, la Micoli avrebbe avuto modo di
partecipare alla predetta fase, essendo stata avvertita della
facoltà di depositare documentazione difensiva. Quanto alla
successiva fase davanti al Consiglio dell’Ordine, era stata
disposta formale audizione.
Non sussiste, infine, il lamentato contrasto con l’evocata I. n.
241, stante la portata generale della disposizione primaria

regolamento di cui si discute. Peraltro, la mancata allegazione di
un effettivo e concreto

vulnus,

a fronte dell’assicurata

partecipazione ad entrambe le fasi del procedimento (nel primo
sia pure attraverso la forma indiretta anticipata), non consente di
oltre indugiare sulla questione.
Il vaglio del secondo profilo, con il quale si censura la norma
regolamentare nella parte in cui scinde in due momenti la
manifestazione del decisum, è inammissibile, non constando
dalla decisione gravata che la questione fosse stata posta
davanti alla Corte d’appello; né, peraltro, la ricorrente allega che
una tale censura fosse stata avanzata (cfr., ex multis, sent. n.
20518/2008, Rv. 604230).
Con il secondo motivo la Micoli lamenta omessa, insufficiente
e contraddittoria pronunzia su un punto controverso e decisivo.
Assume la ricorrente che il punto decisivo doveva individuarsi
nella circostanza che la medesima non era «mai stata chiamata
per chiarire la sua posizione in ordine alla sequenza dei fatti a lei
ascritti». In particolare, andava escluso che la esponente
avesse commesso abuso di sorta nell’esprimere la propria
opinione, rispondendo al quesito che le era stato posto dal
Tribunale, il quale aveva deciso difformemente dalle valutazioni
espresse dal perito; giudizio, quest’ultimo, poi, sconfessato dalla
Corte d’appello di quel processo penale, la quale aveva reputato,
conformemente a quanto sostenuto dal perito, che il narrato del
teste presuntivamente abusato non fosse attendibile.
5

richiamata e la specialità della materia disciplinata dal

Peraltro, il contestato illecito non poteva farsi rientrare nella
previsione di cui all’art. 24 del regolamento disciplinare, il quale
ha il solo scopo di imporre allo psicologo il dovere di fornire le
necessarie informazioni del caso.
Infine, unico giudice disciplinare, stante che l’incarico era
stato assegnato dall’A.G., era da individuarsi nell’apposito
comitato istituito dall’art. 68, disp. attuaz. cod. proc. pen.

ragioni, ognuna delle quali idonea a sostenere l’anticipato
epilogo.
Deve, in primo luogo, rilevarsi che viene evocato il n. 5
dell’art. 360, cod. proc. civ., post riforma operata dal d. I. 22
giugno 2012, n. 83, conv. nella I. 7 agosto 2012, n. 134, il quale,
nella nuova formulazione consente il ricorso solo in presenza di
omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo
(pur dovendosi assimilare alla vera e propria omissione le
ipotesi, che qui non ricorrono, di “motivazione apparente”, di
“contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di
“motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza”
della motivazione – S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n.
8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257,
8/10/2014, Rv. 632914). Nessuna omissione, per contro, è dato
riscontrare, poiché, come già s’è detto, la questione delle
modalità di partecipazione dell’interessata al procedimento è
stata affrontata e correttamente risolta dalla Corte locale.
Inoltre la ricorrente non avanza alcuna contestazione in
ordine al secondo addebito (aver accettato l’incarico giudiziale,
senza informare il Tribunale dei rapporti accademici che la
legavano al consulente della difesa), né trae deduzioni
censuratorie per il fatto che uno dei due addebiti, secondo la sua
impostazione impugnatoria, era da ritenere privo di fondamento.

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La censura non ha fondamento per il concorrere di più

In ogni caso deve essere disattesa la prospettata tesi
secondo la quale la vigilanza esercitata dall’evocato comitato
esproprierebbe il Consigliò dell’Ordine del potere disciplinare,
potere, quest’ultimo intimamente compenetrato con la funzione
propria di un tale organo, rispondente all’ufficio pubblico di
assicurare che gli iscritti rispettino, oltre alla legge, le norme
deontologiche proprie della singola professione. All’evidenza,

scorrettezze commesse dal perito nominato dal giudice, in
relazione all’ordinamento processuale violato.
Infine,

la

critica, secondo la quale sarebbe stata

erroneamente sussunto uno dei due addebiti (aver omesso di
avvertire il Tribunale del maturato pregiudizio concettuale di cui
s’è detto) nella previsione disciplinare contestata è distonica
rispetto al vizio motivazionale addotto.
Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono
liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della
qualità della causa, nonché delle attività espletate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02
(inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile
ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto
successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti
per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte
della ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in
favore del controinteressato, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle
spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi
liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, per ciascuno

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02,
inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la
7

l’art. 68 citato assolve alla ben diversa funzione di sanzionare le

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 10 ottobre 2017

Il Ci)n liere estensore
pe Grasso)

I/t/ft,/

Il Presidente

(Vincenzo Maz cane)

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma, 1 4 DIC. 2017

/

A1AA

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