Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30063 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2018, (ud. 07/06/2018, dep. 21/11/2018), n.30063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28622/2011 R.G. proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Vincenzi,

con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Roma, via

Borgognona, 47;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 117/20/10, depositata il 20 dicembre 2010.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 giugno 2018

dal Consigliere Paolo Catallozzi.

Fatto

RILEVATO

che:

– M.A. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, depositata il 20 dicembre 2010, di reiezione dell’appello dal medesimo proposto, avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2004, erano state rideterminate l’i.r.pe.f., l’i.r.a.p., le addizionali regionali e comunali e l’i.v.a., recuperate le imposte non versate e irrogate le relative sanzioni;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che l’Ufficio aveva contestato al contribuente, esercente attività di lavori speciali di costruzione, la contabilizzazione di costi per operazioni inesistenti;

– il giudice di appello ha disatteso il gravame in ragione del contenuto delle risultanze degli elementi acquisiti dall’Ufficio e della mancata offerta da parte del contribuente di elementi di riscontro dell’esistenza delle operazioni rilevate;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo del ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per aver la sentenza impugnata posto a carico del contribuente l’onere di dimostrare l’esistenza effettiva delle operazioni ritenute oggettivamente inesistenti;

– il motivo è infondato;

– premesso che la motivazione della Commissione tributaria regionale si basa non solo sulla mancata dimostrazione da parte del contribuente dell’effettività delle operazioni contestate, ma anche sulle risultanze degli elementi offerti dall’Ufficio (ammissione del contribuente di operazioni inesistenti, falsità delle fatture, ecc.), si rammenta che allorchè l’Amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, ha l’onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, che dette operazioni, in realtà, non sono state effettuate e che, in presenza di siffatta prova, spetta al contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili (cfr., ex multis, Cass. 5 dicembre 2014, n. 25775; Cass. 9 giugno 2012, n. 9108);

– risulta, dunque, corretta la regola di diritto applicata dalla Commissione tributaria regionale la quale, ritenuti gli elementi addotti dall’Amministrazione dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, abbia onerato il contribuente di offrire la prova contraria del fatto presunto e, in assenza di elementi idonei ad inficiare il ragionamento inferenziale svolto, abbia considerato provato il fatto assunto dall’Ufficio;

– con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, per aver il giudice di appello attribuito rilevanza alle dichiarazioni rese dal contribuente, ammissive dell’inesistenza delle operazioni contestate, benchè rese senza la preventiva adeguata informazione in ordine alla natura e alla portata che le stesse avrebbero potuto avere e alla facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa;

– il motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza, in quanto la mancata riproduzione del verbale relativo alle operazioni ispettive nell’ambito delle quali tali dichiarazioni sarebbero state rese non consente una valutazione in ordine al vizio prospettato;

– con il terzo motivo il ricorrente si duole della omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione alla ritenuta inesistenza, sotto il profilo oggettivo, delle operazioni in esame;

– il motivo è infondato;

– come già rilevato, il giudice di appello ha desunto l’inesistenza delle operazioni rilevate dal contenuto confessorio delle dichiarazioni rese dal contribuente, dalla falsità delle fatture relative a tali operazioni (“grossolanamente contraffatte”), dalla non rinvenibilità dei relativi pagamenti, nonchè dall’assenza di elementi offerti dal contribuente a sostegno dell’effettività delle operazioni medesime;

– siffatta argomentazione modo permette di ricostruire l’iter seguito dal giudice e di apprezzarne la coerenza sotto il profilo logico-giuridico;

– con l’ultimo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, in relazione al disconoscimento del diritto di detrazione dell’I.v.a. pur in presenza di documentazione che attestava, inequivocabilmente, l’esistenza delle operazioni e il costo sostenuto;

– il motivo è inammissibile in quanto muove da un assunto, rappresentato dall’esistenza di documentazione attestante l’effettività delle operazioni e il pagamento eseguito, negato dal giudice di appello;

– deve, infine, osservarsi che in presenza, come nel caso in esame, di operazioni oggettivamente inesistenti, il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 2, conv. nella L. 26 aprile 2012, n. 44 – costituente ius superveniens, applicabile alla presente controversia in forza del successivo comma 3 – ha stabilito che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese (Cass. 20 aprile 2016, n. 7896; Cass. 19 aprile 2014, n. 27040);

– in tal caso, dunque, fermo l’onere a carico del contribuente di provare che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti fittizi, siano anch’essi fittizi, detti componenti positivi vanno esclusi dalla base imponibile, fatta salva l’applicazione di una sanzione amministrativa;

– la sentenza impugnata va, dunque, cassata e rinviata alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, la quale, oltre al regolamento delle spese, dovrà provvedere alla eventuale rideterminazione della pretesa erariale in applicazione del richiamato jus superveniens.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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