Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30063 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 19/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 19/11/2019), n.30063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22618/2015 proposto da:

DOMOVIP ITALIA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DARDANELLI 37,

presso lo studio dell’avvocato MATTEO DEL VESCOVO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO DI BENEDETTO;

– ricorrente principale –

contro

P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato ROSALBA GRASSO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO LOMBARDINI;

– controricorrente –

nonchè da:

S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato ROSA ALBA GRASSO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO TRAVAINI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

DOMOVIP ITALIA S.R.L.;

– ricorrente principale – controricorrente al ricorso incidentale –

e contro

C.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 118/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 10/04/2015, R.G.N. 236/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Pordenone accertava la giusta causa di recesso degli agenti P.V. e S.R. dai rispettivi contratti di agenzia e condannava la preponente, Domovip Italia s.r.l., al pagamento, in favore del primo, delle provvigioni e delle superprovvigioni maturate, nonchè dei premi non pagati e delle indennità sostitutiva di preavviso e di cessazione del rapporto ed, in favore del secondo, delle differenze provvigionali e superprovvigionali maturate, nonchè delle due indennità di cui sopra, dichiarando inammissibile la domanda di risarcimento del danno proposta dalla mandante nei confronti del ricorrente P. e dei terzi chiamati in causa ( S.R. e C.S.);

2. la Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 10.4.2015, in parziale accoglimento del gravame della Domovip Italia, in relazione al secondo capo della sentenza impugnata, condannava la società a corrispondere a S.R. la somma di Euro 56.484,48, oltre i.v.a., per differenze provvigionali, nonchè la somma di Euro 20.077,21 per differenza di indennità di cessazione del rapporto ai sensi dell’AEC, ritenendo che, nella raccomandata del 12.10.2006, lo S., lungi dal lamentare l’inadempimento della preponente con riferimento alle differenze provvigionali e superprovvigionali maturate, aveva dichiarato di non potere più proseguire il rapporto a causa della richiesta della Domovip di sottoscrivere un nuovo contratto che conteneva condizioni asseritamente “peggiorative” rispetto a quelle in essere tra le parti ed a causa di comportamenti scorretti relativi ad una mancata convocazione ad una riunione aziendale ed al rifiuto di contribuire alle spese del suo ufficio;

3. osservava che mai prima della costituzione per chiamata di terzo in primo grado lo S. aveva lamentato l’inadempimento dell’attrice per mancato pagamento di differenze provvigionali e super e che solo due anni dopo la comunicazione di recesso aveva affermato di non avere proseguito il rapporto a causa dell’inadempimento della preponente all’integrale pagamento delle provvigioni; escludeva pertanto che sussistessero le ragioni del recesso, essendo le motivazioni indicate nella lettera dall’appellato generiche e non tali da rimuovere il presupposto fiduciario del rapporto ed, in conseguenza di ciò, riteneva che lo S. non avesse diritto alla somma di Euro 33.964,30 riconosciuta dal primo giudice a titolo di indennità sostitutiva del preavviso;

4. viceversa, per quanto riguardava il P., doveva ritenersi sussistere, secondo la Corte, la giusta causa di recesso sostanziatasi nel mancato pagamento delle provvigioni, costituente condotta di rilevante gravità; diversamente da quanto sostenuto dalla società, era accertata come dovuta la somma quale determinata in favore del P., dovendo ritenersi che la Domovip non avesse formulato eccezione ex art. 1460 c.c., nè di compensazione tra credito dell’agente ed eventuali crediti per risarcimento danni cagionati dal predetto alla mandante, avendo proposto quest’ultima unicamente domanda riconvenzionale rigettata dal giudice di primo grado; non poteva, poi, ritenersi che la modifica della base provvigionale operata dalla società fosse stata concordata, ovvero che gli agenti avessero tacitamente recepito la stessa, non avendo parte appellante dimostrato alcunchè al riguardo, essendo l’eccezione nuova e quindi inammissibile; l’eccezione di nullità della c.t.u. era disattesa in quanto l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., impartito dal giudice di primo grado, era da considerarsi legittimo in relazione alla previsione dell’art. 1749 c.c., che imponeva alla preponente di mettere a disposizione dell’agente tutta la documentazione necessaria per verificare l’importo delle provvigioni liquidate;

5. i crediti dello S. erano dichiarati prescritti in relazione al periodo antecedenti al 7.2.2004, avendo l’agente per la prima volta richiesto le differenze con la comparsa di risposta con riconvenzionale del 7.2.2009, e le differenze andavano rideterminate in base al prospetto contenuto in sentenza, mancando la documentazione del costi portati in detrazione; le prove richieste dalla società erano poi inammissibili in quanto la parte espositiva della domanda era priva di “paragrafi” separati e numerati tali da permettere l’individuazione di specifici accadimenti storici collocati in ambito spazio temporale e puntualmente riferiti a specifici soggetti e, quanto alle prove articolate nella memorie difensiva di replica alla domanda riconvenzionale, per tardività; gli altri capi dedotti nella prova articolata nella memoria introduttiva del 1.12.2008 non riguardavano le asserite condotte illecite poste in essere dagli agenti e dal procacciatore d’affari C. o erano irrilevanti;

6. quanto al chiesto risarcimento del danno, alla Domovip Italia incombeva la relativa prova e la stessa non si era offerta di dimostrare il nesso di causalità tra pretesi e non provati inadempimenti ed asserito danno patito e la c.t.u. richiesta era da considerare di natura esplorativa; le spese andavano rideterminate con compensazione nei confronti del C. e compensate parzialmente con lo S.;

7. di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione a dodici motivi, illustrati in memoria, cui resistono il P. e lo S., il quale ha proposto ricorso incidentale fondato su tre motivi, cui ha resistito, con controricorso, la società.

Diritto

CONSIDERATO

che:

RICORSO PRINCIPALE.

1. con il primo motivo, la società denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1751 c.c. e dell’art. 12 degli Accordi Collettivi Agenzia – Settore Commercio del 26.2.2002 e del 26.2.2002, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per erronea interpretazione e/o applicazione delle norme con riguardo alla fattispecie concreta (recesso dall’agente non sorretto da giusta causa), osservando che, in relazione all’accoglimento del sesto motivo di appello, la Corte abbia rideterminato anche l’importo dovuto per indennità di cessazione del rapporto in favore dello S., nonostante che il Collegio abbia ritenuto parzialmente fondato il motivo, accertando l’assenza di giusta causa del recesso anticipato, ciò che avrebbe dovuto indurlo ad escludere il diritto dello S. alla percezione della indennità suppletiva di clientela, in ragione dell’assenza di imputabilità all’azienda proponente del recesso esercitato dal proprio collaboratore;

2. con il secondo motivo, la ricorrente principale deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia in ordine alla domanda riconvenzionale proposta dall’appellante nell’ipotesi di accertamento dell’assenza di giusta causa del recesso degli agenti, evidenziando che, nella propria domanda in via riconvenzionale riproposta nelle conclusioni in sede di appello, aveva chiesto la condanna dello S. al pagamento delle somme dovute ad essa società a titolo indennità di mancato preavviso nei termini previsti dall’art. 1750 c.c. e dall’art. 10 dell’AEC, avendo la Corte territoriale preso in esame solo la domanda di condanna al risarcimento dei danni subiti dall’azienda;

3. con il terzo motivo, la Domovip Italia s.r.l. ascrive alla decisione impugnata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1750 c.c. e dell’art. 10 AEC del 2002 per il mancato riconoscimento all’azienda preponente dell’indennità di mancato preavviso in ipotesi di recesso senza giusta causa dell’agente, per il caso che, con il rigetto in toto della riconvenzionale, la Corte territoriale abbia rigettato anche la domanda di indennità di mancato preavviso;

4. con il quarto motivo, lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. e dei criteri interpretativi della domanda (art. 1362 c.c. e, in particolare, art. 1367 c.c.) per non avere la Corte territoriale interpretato la riconvenzionale proposta dall’appellante nei due gradi di giudizio anche quale formale eccezione di inadempimento dell’agente ai sensi dell’art. 1460 c.c., in tal modo omettendo di fare corretta applicazione di tale norma: la società adduce che la domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni riferibili all’inadempimento del contratto doveva essere qualificata anche come formale eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c., non essendo la stessa soggetta a particolari formule sacramentali, ove comunque sia desumibile dal contesto complessivo delle difese opposte dalla parte convenuta per la risoluzione o per l’adempimento;

5. con il quinto motivo, la ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,115,116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia in ordine alla domanda riconvenzionale proposta dall’appellante anche quale eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., ciò che avrebbe comportato la asserita necessità di valutare pure le risultanze istruttorie già allegate in sede di costituzione in giudizio a sostegno della suddetta eccezione;

6. con il sesto motivo, sono addebitate alla decisione impugnata violazione e/o falsa applicazione degli stessi articoli di cui al precedente motivo, per omessa pronunzia in ordine alla domanda riconvenzionale proposta dall’appellante per il risarcimento dei danni derivanti dagli eccepiti inadempimenti a carico degli agenti e per mancata valutazione delle risultanze istruttorie (prova documentale) già acquisite agli atti: si assume che la Corte d’appello di Trieste, nell’esaminare l’ottavo ed il nono motivo del gravame, abbia ritenuta l’inammissibilità della prova testimoniale articolata nella comparsa di costituzione con domanda riconvenzionale del 28.11.2008, senza valutare il materiale probatorio di natura documentale già acquisito agli atti e senza articolare su tale decisione alcuna motivazione;

7. il settimo motivo assume quale ulteriore vizio della sentenza la violazione e/o falsa applicazione ancora degli stessi articoli rubricati nei due precedenti, nonchè degli artt. 421 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per la mancata valutazione delle prove ritualmente articolate e di quelle documentali prodotte;

8. con l’ottavo motivo, si denunziano violazione e/o falsa applicazione dei medesimi articoli con riferimento all’art. 106 c.p.c., per erronea applicazione dei principi regolanti la pronuncia sulla domanda di parte e sulle istanze istruttorie, nonchè sulla valutazione della prove nell’ambito del cd. simultaneus processus per l’ipotesi di domande reciproche tra litisconsorti “facoltativi”, adducendosi che le risultanze istruttorie nell’ambito dell’unico procedimento instaurato possano essere utilizzate nei confronti indistintamente di ciascuna parte in causa, con riguardo anche ai profili di tardività ingiustamente rilevati in relazione a capitoli di prova formulati per fornire prova contraria agli assunti posti a sostegno delle domande riconvenzionali in comparsa di costituzione e risposta degli agenti S. e C.;

9. omesso esame e/o carente e/o erronea motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti è richiamato a sostegno del nono motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendosi che la sentenza sia carente anche sotto il profilo dell’omessa, carente o erronea motivazione circa un fatto decisivo;

10. con il decimo motivo, sono ascritte alla decisione violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 416 c.p.c., comma 3, art. 167 c.p.c., comma 2, art. 434 c.p.c., dell’art. 2 AEC Settore Commercio del 26.2.2002, per omessa valutazione di un’eccezione di parte ritualmente dedotta e suffragata da idonea produzione documentale, per avere la Corte di Trieste disatteso le censure formulate nel terzo motivo di gravame della società, rilevando il carattere di novità dell’eccezione e disattendendo la possibilità per la stessa di decurtare legittimamente le provvigioni in base alle previsioni dell’AEC;

11. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c. e art. 94 disp. att. c.p.c., nonchè degli artt. 61,195,195 e 198 c.p.c., con riferimento all’art. 1749 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sono dedotte nell’undicesimo motivo, in relazione alla ritenuta illegittimità ed indeterminatezza dell’ordine di esibizione da parte del giudice di primo grado contenuto nell’incarico al CTU, adducendosi che la documentazione di cui era stata ordinata l’esibizione a carico di essa società era nella disponibilità degli agenti, sicchè l’eccezione di inammissibilità sollevata tempestivamente era da accogliere perchè il potere di chiedere un estratto delle scritture contabili al preponente ha una funzione solo residuale;

12. con il dodicesimo motivo, si lamentano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c. e art. 94 disp. att. c.p.c., nonchè degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., per l’illegittima declaratoria di inammissibilità della c.t.u. contabile chiesta dalla ricorrente, finalizzata alla prova del danno patrimoniale da perdita del fatturato;

RICORSO INCIDENTALE dello S.:

13. il ricorrente incidentale si duole, con il primo motivo, della violazione degli artt. 2119 e 1751 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento ai motivi di giusta causa di recesso e alla relativa indicazione ad opera dell’agente, assumendo che la giurisprudenza è costante nel ritenere applicabile al contratto di agenzia in via analogica la disciplina di cui all’art. 2119 c.c. e che, alla luce di ciò doveva ritenersi violato il principio della tempestività della contestazione;

14. con il secondo motivo, lo S. denunzia falsa applicazione degli artt. 2119 e 1750 c.c., con riferimento alle condotte del preponente suscettibili di integrare giusta causa di recesso dell’agente, adducendo che i comportamenti plurimi indicati nella lettera di recesso (impossibilità per l’agente di negoziare il contenuto delle nuove clausole imposte dalla preponente con mero anticipo sulle provvigioni senza riconoscimento di una percentuale fissa, mancata convocazione alla riunione aziendale del mese di luglio, attribuzione di comportamenti scorretti mai assunti) non sarebbero stati considerati unitariamente, negandosi la loro rilevanza ai fini della giusta causa del recesso;

15. con il terzo motivo, lamenta omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alle decurtazioni provvigionali ritenute idoneo motivo di recesso per giusta causa, evidenziando quanto già affermato nella istanza di conciliazione avanti alla D.P.L. di Pordenone, con riguardo all’inadempimento della DOMOVIP Italia sotto il profilo delle rilevanza delle dette decurtazioni provvisionali, già rese note alla società prima della domanda riconvenzionale di cui alla memoria del 7.2.2009, ai fini della sussistenza del diritto all’indennità di preavviso;

16. con il terzo motivo, lo S. si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2943 c.c., comma 4, con riferimento alla qualificazione dell’atto di recesso come non interruttivo della prescrizione, laddove allo stesso doveva essere attribuita una valenza ed idoneità di tale tipo;

17. infine, con il quinto ed ultimo motivo, assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità della sentenza in quanto carente di motivazione con riguardo al carattere non interruttivo della prescrizione della dichiarazione di recesso 12.10.2006;

18. rispetto alla trattazione dei primi tre motivi del ricorso principale (relativi alla posizione del solo S.) è prioritaria dal punto di vista logico giuridico la trattazione del ricorso incidentale dello S.;

19. quanto al primo motivo di quest’ultimo, va richiamata, sul tema posto dalla censura, Cass. 9.11.2015 n. 22816, che, a sua volta, pone riferimento a Cass. 7019/2011, Cass. 23455/2004, Cass. 3084/2000: in tali pronunce si afferma che “Il principio della necessità della contestazione immediata, sia pure sommaria, delle ragioni poste a base del recesso per giusta causa, con la conseguente preclusione di dedurre successivamente fatti diversi da quelli contestati, opera sia per il rapporto di lavoro subordinato che per quello di agenzia – data l’analogia dei due rapporti – ma in relazione solo al recesso del datore di lavoro o del preponente, mentre il recesso per giusta causa (con conseguente diritto all’indennità per mancato preavviso) del lavoratore o dell’agente non è invece condizionato ad alcuna formalità di comunicazione delle relative ragioni, sicchè, a tal fine, può tenersi conto anche di comportamenti (del datore di lavoro o del preponente) ulteriori rispetto a quelli lamentati nell’atto di recesso (del lavoratore o dell’agente)”;

19.1. a maggior ragione, per quanto detto, il principio assume validità in relazione alla posizione dell’agente, sicchè il motivo articolato dallo S. deve trovare accoglimento, avendo la Corte disatteso principi affermati da questa Corte e deciso la causa in violazione delle norme richiamate come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità, con la conseguenza che la pronuncia impugnata va cassata in parte qua;

20. il secondo motivo del ricorso incidentale, per il contenuto della doglianza espressa, è all’evidenza assorbito dall’accoglimento del precedente, alla stregua delle considerazioni svolte;

21. analogamente è a dirsi per il terzo motivo, per il quale, ancor prima, ai fini della relativa ammissibilità, deve osservarsi che non si indica dove e quando siano stati depositati il verbale e l’istanza di conciliazione richiamati, disattendendosi quanto affermato da questa Corte, secondo cui il ricorso per cassazione, in ragione del principio di autosufficienza, deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito, (cfr. Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);

22. passando, secondo una necessaria coerenza dell’iter valutativo e motivazionale, alla disamina dei motivi del ricorso principale, va rilevato, quanto ai primi tre motivi articolati con lo stesso, il relativo assorbimento, che discende dall’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, per effetto del quale è stato ritenuto erroneo l’esame del giudice del gravame che ha condotto alla pronunzia di irrilevanza delle ragioni poste dall’agente a fondamento del proprio recesso per giusta causa: ciò esime dal valutare le censure della società fondate sulla insussistenza di valido recesso dell’agente;

23. quanto al quarto motivo del ricorso principale, va posto riferimento al principio, sancito da Cass. 12.10.2018 n. 25584, secondo cui “In tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della dimostrazione del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, o dall’eccezione d’inadempimento del creditore ex art. 1460 c.c.”. Il principio risulta affermato ed ulteriormente precisato, tra le tante, anche da Cass. 20.01.2015 n. 826, alla cui stregua “In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche quando sia dedotto l’inesatto adempimento dell’obbligazione, al creditore istante spetta la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell’esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione”;

23.1. tanto premesso, la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente (v. tra le altre, Cass. 20879/2009, Cass. 11728/2002, Cass. 10764/1999) afferma che comunque, pur senza l’espressa menzione della norma di cui all’art. 1460 c.c., l’eccezione inadimplenti non est adimplendum debba essere desumibile dal contesto complessivo delle difese opposte dalla parte convenuta per la risoluzione o per l’adempimento: nella specie correttamente è stata esclusa la riconducibilità della fattispecie concreta allo schema legale come sopra delineato per l’enunciazione del principio asseritamente violato;

23.2. l’eccezione deve risultare, invero, secondo Cass. 11728/2002 cit., in modo non equivoco, dall’insieme delle difese e, più in generale, dalla difesa processuale del debitore secondo un’interpretazione del giudice del merito che, se ancorata a corretti canoni di ermeneutica processuale, non è censurabile in sede di legittimità (cfr., in tali termini, Cass. 29/9/1999 n. 10764);

23.3. non vengono nel motivo articolato dalla società specificati i criteri violati in sede interpretativa, con la precisa indicazione del modo in cui il giudice del merito se ne sia discostato (cfr. Cass. 21.12.2017 n. 30684, Cass. 2.8.2016 n. 16057), in coerenza con i principi enunciati al riguardo, secondo cui, in tema d’interpretazione degli atti processuali la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., la cui portata è generale, o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, indicando altresì nel ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici ed il testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione;

23.4. deve anche rilevarsi come non risulti assolto in alcun modo l’onere di specificità che impone di precisare in che termini l’eccezione dedotta sia stata sollevata nelle fasi del giudizio di merito;

24. il quinto motivo, in quanto collegato al precedente, risulta assorbito dal rigetto dello stesso, dovendo altresì’ osservarsi come le risultanze istruttorie su cui si incentra la doglianza non sono riprodotte, in spregio al principio di specificità del ricorso, più volte richiamato;

15. con il sesto motivo, si assume di avere riprodotto nel fascicolo di secondo grado i documenti già numerati nell’indice documenti in primo grado a sostegno della doglianza relativa alle condotte di concorrenza illecita e sviamento della clientela da parte dei soggetti agenti. A parte la considerazione che la memoria con riconvenzionale era solo quella relativa al ricorso del P., poichè per gli altri era stata essa società a chiamare in causa gli altri agenti che avevano spiegato riconvenzionale, non si riproduce il contenuto dei documenti asseritamente prodotti al fine di renderne possibile il controllo di decisività;

15.1. la censura è anche mal prospettata con riferimento ad un improprio ed erroneo richiamo agli artt. 115 e 116 c.p.c., posto che la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., è ravvisabile solo allorquando il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass., Sez. U, n. 11892/2016 cit.); la violazione dell’art. 116 c.p.c. è, poi, configurabile solo allorchè il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass., Sez. U, n. 11892/2016 cit.; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965), situazioni queste egualmente non sussistenti nel caso in esame;

15.2. è erronea anche la prospettazione di violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per mancanza di motivazione, in quanto “in tema di errores in procedendo, non è consentito alla parte interessata di formulare, in sede di legittimità, la censura di omessa motivazione, spettando alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato, o meno, il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto. Nè il mancato esame, da parte di quel giudice, di una questione puramente processuale può dar luogo ad omissione di pronuncia, configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito” (cfr. Cass. 10.11.2015 n. 22952, Cass. 12.1.2016 n. 321.

16. anche con riguardo alla doglianza espressa nel settimo motivo, non si tratta di omessa pronuncia ed è mal prospettata la violazione degli articoli richiamati: il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci la mancata ammissione di un mezzo istruttorio, è onerato, a pena d’ inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, che risulta ora tradotto nelle puntuali e definitive disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non solo della specifica indicazione del mezzo istruttorio richiesto e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della puntuale indicazione e trascrizione del contenuto del provvedimento censurato, così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto (cfr. Cass. n. 14107 del 07/06/2017);

16.1. quanto al richiamo al mancato utilizzo dei poteri istruttori officiosi, va ribadito che nel processo del lavoro, l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio in grado d’appello presuppone la ricorrenza di alcune circostanze: l’insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali, l’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, l’indispensabilità dell’iniziativa ufficiosa, volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa e che non ricorrono, pertanto, i suddetti presupposti, allorchè non sussista alcun elemento, già acquisito al processo, tale da poter offrire lo spunto per integrare il quadro probatorio già tempestivamente delineato (cfr. Cass. 11.3.2011 n. 5878; Cass. 5.11.2012 n. 18924).

17. nel contesto dell’ottavo motivo non si indicano le prove dedotte (sicchè il motivo è inammissibile) e comunque i principi affermati sono errati in diritto, trattandosi di cause non connotate da comunanza e fondate ciascuna su autonoma causa petendi e petitum; peraltro i capitoli non ammessi sono stati ritenuti irrilevanti e generici e l’affermazione non è attinta da specifica critica;

18. il nono motivo è del tutto inammissibile per genericità della formulazione e per mancata indicazione della decisività del fatto del quale asseritamente si sarebbe omesso l’esame, tanto meno nel rispetto del paradigma deduttivo (dovendo il ricorrente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”) prescritto dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori, ostativi ad una valutazione della motivazione insufficiente o contraddittoria, salvo che essa non risulti apparente nè perplessa o obiettivamente incomprensibile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439): ciò che non si è verificato nel caso di specie;

19. quanto al decimo motivo, è sufficiente osservare che, se è vero che la novità poteva essere ravvisata solo per il P., non avendo la società sollevato l’eccezione nella memoria di costituzione, ma solo in quella conclusionale, diversamente che per lo S., per il quale alle deduzioni contenute in memoria di costituzione con riconvenzionale del predetto la società aveva opposto il carattere legittimo del proprio operato, non risulta superabile quanto rilevato dalla Corte sulla genericità della difesa, che indubbiamente presupponeva il riferimento ad una specifica ipotesi tra quelle contemplate dall’AEC, valendo solo per le modifiche comprese tra zero e 5% delle provvigioni la possibilità di realizzazione delle stesse senza preavviso e con recepimento tacito da parte dell’agente, in relazione al quale peraltro si è osservato che non erano stati articolati mezzi istruttori;

19.1. tale motivazione non è scalfita dalle censure avanzate, che non sono idonee a rendere ragione della compiuta deduzione del fatto estintivo o modificativo nella sede di merito, non concretizzandosi il fatto conforme alla normativa con l’indicazione di dati fattuali specifici e delineati. Il richiamo alle norme di cui agli artt. 112 115 e 116, che si ritengono violate, è erroneo;

20. sulla censura espressa nell’undicesimo motivo, deve rilevarsi che la sentenza ha motivato, oltre che in relazione alla norma codicistica dell’art. 1749 c.c., che impone alla preponente di mettere a disposizione dell’agente tutta la documentazione necessaria per verificare l’importo delle provvigioni, anche con riguardo alla specificità della situazione caratterizzata dalla prassi che fosse la società ad emettere le fatture in nome e per conto degli agenti e tale parte della motivazione non risulta essere stata fatto oggetto di idonea e specifica censura; non è neanche chiarito, poi, quali fossero i documenti che la società asserisce essere stati nella disponibilità degli agenti;

20.1. è, inoltre, utilmente richiamabile il principio sancito da Cass. 7.7.2011 n. 14968, in forza del quale “nel giudizio promosso dall’agente contro la ditta preponente per l’accertamento del suo diritto al pagamento di provvigioni sugli affari conclusi, egli ha l’onere di provare i fatti costitutivi della sua pretesa, ovvero gli affari da lui promossi; è peraltro legittimo l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., delle scritture contabili impartito dal giudice di merito alla medesima preponente, anche con riferimento ai contratti per i quali non è applicabile, per ragioni temporali, il D.Lgs. n. 303 del 1991, art. 2, che, nel riconoscere – in attuazione della direttiva comunitaria 18 dicembre 1986 n. 86/653 – il diritto dell’agente ad ottenere un estratto delle scritture contabili, ha fornito un autorevole criterio interpretativo delle norme previgenti”;

20.2. tale principio deve essere coordinato con la funzione di strumento istruttorio residuale assegnata dall’ordinamento all’ordine di esibizione predetto, che può pertanto essere utilizzato solo se la prova del fatto non è acquisibile “aliunde” e se l’iniziativa non ha finalità meramente esplorative; la valutazione concernente la ricorrenza di tali presupposti è rimessa al giudice di merito e il mancato esercizio da parte di costui del relativo potere discrezionale non è sindacabile in sede di legittimità;

21. inconferente è l’ultimo motivo del ricorso principale, perchè non si supera il rilevato difetto di prova in ordine al nesso causale tra asserito comportamento inadempiente degli agenti e danno patito; vi sono poi altre motivazioni a sostegno del diniego, non puntualmente censurate con il motivo scrutinato;

22. il quarto ed il quinto motivo del ricorso incidentale sono infondati, in quanto la Corte territoriale ha rilevato che la richiamata comunicazione dello S. non poteva avere alcun valore di costituzione in mora e quindi di atto interruttivo della prescrizione con riguardo alla richiesta di differenze provvigionali, reclamate solo in memoria di costituzione nel giudizio in seguito alla chiamata in causa, senza che nella comunicazione di recesso vi fosse alcuno specifico riferimento alle stesse, al di là del principio per cui non occorrono particolari forme;

22.1. per produrre l’effetto interruttivo della prescrizione, un atto deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, che – sebbene non richieda l’uso di formule solenni nè l’osservanza di particolari adempimenti – sia idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora;

22.2. ne consegue che non è ravvisabile tale requisito in semplici sollecitazioni prive del carattere di intimazione e dell’espressa richiesta di adempimento al debitore (da ultimo Cass. 14.6.2018 n. 15714): in tema di interruzione della prescrizione, ai sensi dell’art. 2943 c.c., perchè un atto abbia efficacia interruttiva è necessario che lo stesso contenga l’esplicitazione di una precisa pretesa e l’intimazione o la richiesta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto obbligato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (Cass. 24656/2010);

23. in conclusione, deve essere accolto il primo motivo del ricorso incidentale, ciò che determina l’assorbimento del secondo e del terzo motivo dell’incidentale e l’assorbimento dei primi tre motivi del ricorso principale; vanno, invece, respinti il quarto ed il quinto motivo del ricorso incidentale ed i motivi successivi al terzo del ricorso principale;

24. per effetto dell’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata in parte qua e va disposto il rinvio alla Corte d’ appello di Venezia per nuovo esame della questione oggetto del motivo accolto, in conformità ai principi sopra enunciati ai paragrafi 19 e 19.1;

25. la stessa Corte dovrà provvedere anche alla determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

26. sussistono, per il ricorrente principale, le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale ed i primi tre motivi del ricorso principale; rigetta gli ulteriori motivi del ricorso principale ed il quarto e quinto motivo del ricorso incidentale, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Venezia, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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