Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3006 del 10/02/2010

Cassazione civile sez. II, 10/02/2010, (ud. 04/12/2009, dep. 10/02/2010), n.3006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 458-2005 proposto da:

B.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato

CUCCIA ANDREA, rappresentato e difeso dall’avvocato BOCCHINI ROBERTO;

– ricorrente –

e contro

B.M., BR.GI.;

– intimati –

sul ricorso 3836-2005 proposto da:

B.M. (OMISSIS), BR.GI.

(OMISSIS), in qualità di eredi di B.C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso lo studio

dell’avvocato CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato PALAGANO MICHELE LAZZARO;

– controricorrenti ric. incidentali-

e contro

B.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n.. 3398/2003 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/11/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/12/2009 dal Consigliere Dott. VINCENZO RAZZACANE;

udito l’Avvocato BOCCHINI Ermanno con delega depositata in udienza

dell’Avvocato BOCCHINI Roberto, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e

dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 410 1994 B.F., premesso che con rogito per notaio Tafuri del 20-5-1991 aveva proceduto unitamente ai germani C. e B.V. alla bonaria divisione di quanto residuato dalla eredità del comune genitore G. e del defunto fratello L.; che la divisione era stata regolata in tre quote di un capannone industriale sito in (OMISSIS); che i confini di tali quote sarebbero dovuti consistere nei pilastri con il muro divisorio posto nell’interstizio degli stessi; che inutilmente aveva chiesto a B.C. la demolizione del muro esistente e la realizzazione di un nuovo muro al centro delle predette strutture portanti; tanto premesso l’attore conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli B.C. chiedendone la condanna all’adempimento di quanto contenuto nell’atto di divisione nonchè al risarcimento del danno per il mancato utilizzo di quanto spettantegli in rapporto all’atto divisionale.

Si costituiva in giudizio il convenuto chiedendo il rigetto della domanda attrice e spiegando domanda riconvenzionale diretta ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al mancato utilizzo della zona di capannone a lui assegnata e dall’attore non liberata dai materiali.

Nel corso del giudizio si costituivano B.M. e Br.Gi. quali eredi di Br.Cr. nel frattempo deceduto.

Il Tribunale adito con sentenza del 27.10.2000 rigettava la domanda attrice e quella riconvenzionale.

Proposta impugnazione da parte di B.F. cui resistevano B.M. e Br.Gi. formulando altresì appello incidentale la Corte di appello di Napoli con sentenza del 28-11-2003 ha rigettato entrambi i gravami.

Per la cassazione di tale sentenza B.F. ha proposto un ricorso affidato a cinque motivi cui B.M. e Br.Gi. hanno resistito con controricorso proponendo anche un ricorso incidentale basato su di un unico motivo; il ricorrente principale ha successivamente depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre procedere alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si osserva che con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 1362 e seguenti c.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver interpretato la divisione intercorsa tra le parti con riferimento alle preesistenze murarie del capannone quando invece tali preesistenze non erano state neppure frazionate catastalmente, così contraddicendo la lettera e la volontà dei condividenti che avevano espressamente indicato la linea di divisione tra i tre comparti nei quali il capannone veniva diviso nei muri dei pilastri di intersecazione.

Con il secondo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione degli artt. 1362 c.c. e seguenti e vizio di motivazione, premesso che in base all’atto di divisione per notaio Tafuri di Napoli del 10-9-1991 la linea di divisione dei tre comparti passava nei muri di divisione dei tre capannoni costituenti le rispettive quote dei condividenti realizzati nell’intersecazione delle strutture portanti (pilastri), e che uno dei tre muri non si trovava in tale intersecazione, assume che era necessario costruire il muro di divisione nel punto esatto previsto nell’atto di divisione; pertanto erroneamente la sentenza impugnata aveva escluso l’onere a carico di B.C. di procedere all’abbattimento ed alla successiva ricostruzione del muro di confine; del resto la valutazione del comportamento assunto dalle parti dopo la conclusione del contratto avrebbe consentito di accertare che il muro di divisione esistente tra la quota di proprietà del capannone appartenente all’esponente e quella del fratello C. era stato edificato in parte in adempimento dell’atto di divisione e per il resto invece era stato eretto a ridosso dei pilastri sconfinando nella proprietà di B.F.; inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, i muri di divisione erano stati realizzati non già prima della divisione, ma, come emerso dalla C.T.U., soltanto dopo ed in esecuzione della divisione stessa;

infine B.F. deduce che la Corte territoriale ha errato nel non aver applicato in via subordinata le previsioni normative di cui agli artt. 1365 e 1371 c.c. cui il giudice deve ricorrere quando gli altri criteri interpretativi siano risultati dubbi o vani; pertanto il giudicante avrebbe dovuto quantomeno contemperare da un lato l’onere in capo a B.C., consistente nell’abbattere il muro divisorio per ricostruirne un altro tra l’intersecazione dei pilastri dei capannone, e dall’altro la compressione del diritto alla quota di proprietà e di godimento dell’esponente.

Con il terzo motivo il ricorrente principale, deducendo violazione degli artt. 1362 e seguenti c.c. e vizio di motivazione, sostiene che il giudice di appello ha errato nel confermare una sentenza di primo grado del tutto illogica, traendo così le proprie argomentazioni da una decisione irragionevole ed incongruente nella motivazione.

Con il quarto motivo B.F. deduce violazione degli artt. 1362 e seguenti c.c. e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale confermato la sentenza di primo grado che aveva omesso la motivazione del rigetto della domanda dell’esponente relativa alla condanna di B.C. all’adempimento di quanto previsto nell’atto per notaio Tafuri del 20-5-1991, ovvero alla demolizione del muro abusivamente insistente sulla proprietà dell’attore ed alla realizzazione del muro divisorio nell’interstizio delle strutture portanti costituente il confine contrattualmente convenuto tra le due proprietà.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione,sono infondate.

La sentenza impugnata all’esito di una interpretazione letterale e logica dell’atto di divisione suddetto ha escluso che sussistesse a carico del dante causa delle parti appellate un obbligo di procedere ad abbattimenti o ricostruzione del muro di confine; nel rogito menzionato infatti non vi era nessun riferimento ai muri di divisione dei tre capannoni, in relazione ai quali si era affermato soltanto che “restano comuni tra i condividenti i muri di divisione dei tre capannoni realizzati nella intersecazione delle strutture portanti(pilastri)”; da tale rilievo il giudice di appello ha escluso la sussistenza di un obbligo dei condividenti di modificare la situazione dei luoghi – come acclarata nell’atto stesso di divisione – attraverso la costruzione di muri posti nella intersecazione dei pilastri, considerato altresì che l’espressione utilizzata faceva riferimento a muri “realizzati”e non da realizzare.

La Corte territoriale ha inoltre richiamato a sostegno del proprio convincimento anche l’art. 5 del predetto rogito, dove si era precisato che i condividenti “si dichiarano soddisfatti delle effettuate assegnazioni….dando atto che tra loro non vi è conguaglio”; infatti una diversa interpretazione dell’atto divisionale sarebbe stata contraria alla volontà manifestata dalle parti, atteso che avrebbe comportato – come rilevato dal C.T.U. – una modifica delle quote assegnate alle parti in causa con conseguente obbligo di conguaglio.

La Corte rileva che la sentenza impugnata ha interpretato l’atto divisorio più volte menzionato procedendo ad un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede dal ricorrente principale, che invero con i motivi in esame si limita inammissibilmente a prospettare una diversa interpretazione del negozio divisorio a sè più favorevole senza denunciare specificamente le modalità tramite le quali il giudice di merito si sarebbe discostato dalla corretta applicazione dei canoni legislativi di interpretazione del contratto o sarebbe incorso in un vizio di motivazione; in realtà il giudice di appello ha tratto il suo convincimento, come si è esposto, da una corretta interpretazione testuale e logica dell’atto di divisione, posto che, se in esso non era previsto l’obbligo dei condividenti di modificare la situazione dei luoghi, tantomeno sussisteva un obbligo specifico a carico di B.C. di realizzare un muro divisorio nell’interstizio dei pilastri costituenti le strutture portanti; nè del resto B.F. ha specificato in quale parte del rogito Tafuri detto obbligo fosse previsto.

E’ poi agevole osservare che, una volta individuato chiaramente l’intento delle parti attraverso l’utilizzazione dei criteri ermeneutici previsti dagli artt. 1362 e seguenti c.c., il giudice di appello logicamente non ha applicato le altre regole interpretative richiamate dal ricorrente principale, aventi carattere integrativo e sussidiario rispetto ai precedenti canoni codicistici.

Infine è appena il caso di rilevare, quanto ai motivi di censura con i quali si prospetta una sorta di motivazione per “relationem” con riferimento alla sentenza di primo grado, che in realtà la Corte territoriale, come sopra esposto, ha espresso esaustivamente le ragioni in base alle quali ha maturato autonomamente il proprio convincimento.

Il ricorso principale deve quindi essere rigettato.

Venendo all’esame del ricorso incidentale, si osserva che con l’unico motivo proposto B.M. e Br.Gi., deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver confermato il rigetto della domanda riconvenzionale di natura risarcitoria proposta dagli esponenti per l’occupazione “sine titulo”da parte di B.F. sino al febbraio 1992 della porzione di capannone attribuita al germano Cristofaro; in proposito essi richiamano la lettera del 22-1-1992 del difensore di controparte inviata all’avvocato Claudio Mancini con la quale B.F. si era impegnato al rilascio dei locali di proprietà di B.C. entro il 31-1-1992, ovvero un anno e otto mesi dopo la stipula del contratto di divisione.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha ritenuto la suddetta domanda risarcitoria del tutto sfornita di prova, aggiungendo che il C.T.U. non aveva rinvenuto “alcun elemento di violazione da parte di B. F.”; orbene tale affermazione non può essere infirmata dal semplice riferimento alla suddetta lettera (del cui contenuto oltretutto i ricorrenti incidentali hanno omesso completamente la trascrizione precludendo così a questa Corte di valutarne il carattere decisorio), considerato tra l’altro che non è assolutamente chiaro se l’asserita occupazione dei predetti locali da parte di B.F. per il periodo di tempo suindicato fosse stata quantomeno tollerata da B.C..

Anche il ricorso incidentale deve pertanto essere rigettato.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla reciproca soccombenza, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

Riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2010

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