Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3006 del 08/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 08/02/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 08/02/2021), n.3006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26522-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

B.A., BE.LU., elettivamente domiciliati presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA,

rappresentati e difesi dall’Avvocato SILVANA BASSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1830/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, SEZ. DISTACCATA di BRESCIA, depositata il

20/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

Ritenuto che:

Con atto a titolo oneroso in data 6.2.2010, la contribuente cedeva ad una società immobiliare immobili siti nel Comune di Bergamo, indicandone il valore figurativo di Euro 1.050.000,00,

I beni ceduti erano oggetto di un parere favorevole alla realizzazione di un intervento edilizio proposto in data 4.4.2008 dalla immobiliare Leone XIII s.r.l. ed in data 6.2.2009era rilasciato un permesso a costruire alla società acquirente la quale aveva presentato la relativa richiesta.

L’Ufficio riqualificava quindi l’atto come cessione di terreno edificabile, sia perchè come tale individuava la concreta volontà delle parti di estrarre la massima potenzialità edificatoria del terreno, sia perchè era chiara la previsione pattizia di abbattere l’edificio.

Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria notificava due distinti avvisi di accertamento in ordine alla plusvalenza da cessione di terreni, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b), secondo periodo, individuando in Euro 657,203 in capo a Be. ed in Euro 207.644,43 la plusvalenza non dichiarata dalla contribuente da assoggettare a tassazione separata cui aggiungeva le sanzioni.

B.A. e Be.Lu. proponevano impugnativa avverso gli atti dell’amministrazione affermando che si trattava di cessione di fabbricato e non di terreni e chiedevano quindi l’annullamento dell’atto impositivo ed anche delle relative sanzioni.

Resisteva l’Ufficio, richiamando lo scopo sostanziale del negozio e invocando i precedenti di questa Corte in materia.

Il giudice di prossimità accoglieva la prospettazione dei ricorrenti ed annullava gli avvisi.

Interponeva appello l’Agenzia delle entrate.

Con sentenza nr. 1830/2018 la CTR della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, rigettava l’appello condividendo il ragionamento della pronuncia impugnata. Avverso tale la pronuncia propone ricorso l’Amministrazione finanziaria, affidandosi ad un unico motivo, cui replicano i contribuenti con puntuale controricorso.

Diritto

Considerato che:

Con l’unico articolato motivo il patrocinio erariale denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella sostanza dolendosi che la CTR abbia ritenuto irrilevante l’inequivoca volontà di demolire il fabbricato e di sfruttare il terreno per nuovi fini edificatori in quanto la pluvalenza regolata dall’art. 67 richiamato in rubrica presupporrebbe che il terreno ceduto non sia ancora edificato.

Il motivo è infondato.

La questione involge la corretta portata del TUIR, art. 67, comma 1, lett. b), secondo periodo, precitato, ma anche il potere dell’Amministrazione finanziaria di interpretare il contratto a mente degli artt. 1362 c.c. e ss, guardando alla comune intenzione delle parti, anche dedotta dal comportamento successivo alla stipula.

Come ricordato dalle parti, la questione è stata affrontata più volte da questa Corte e merita dunque ricostruirne l’orientamento per come si è dipanato negli ultimi tempi.

Ancorchè in materia di imposta di registro, questa Corte ha inizialmente ritenuto che, nel caso di vendita di terreno con sovrastante fabbricato vetusto, la successiva richiesta di concessione edilizia per la costruzione di un nuovo immobile, previa demolizione del fabbricato, comporta la riqualificazione dell’atto quale vendita di terreno edificabile e la conseguente rettifica dell’imposta, dovendo il negozio essere sottoposto a tassazione in ragione degli effetti giuridici che oggettivamente produce (Cass. n. 24799/2014, n. 16983/2015).

A tale indirizzo ha fatto seguito altro, affermando che in materia di imposta sui redditi, come risulta dal tenore del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81, comma 1, lett. b) (ora art. 67) e art. 16 (ora art. 17), comma 1, lett. g) bis, sono soggette a tassazione separata, quali “redditi diversi”, le “plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”, e non anche quelle di terreni già edificati. Nello specifico, rigettando il ricorso erariale, questa Corte ha escluso la tassazione separata di una plusvalenza realizzata a seguito di vendita di “capannone ad uso commerciale e relative pertinenze”, censito al catasto fabbricati, ritenendo irrilevante sia l’ulteriore potenzialità edificatoria del terreno su cui esso insisteva, sia l’asserita, ma non dimostrata, intenzione delle parti di demolire il predetto capannone (cfr. Cass. n. 4150/2014).

In altra occasione, si è specificamente ritenuto che la ratio del TUIR, art. 67, è volta ad “assoggettare ad imposizione la plusvalenza che (…) scaturisce non “in virtù di un’attività produttiva del proprietario o possessore, ma per l’avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica” dei terreni”. Pertanto, risultando oggetto dell’atto un fabbricato, e, quindi, un “terreno già edificato”, tale entità sostanziale non poteva essere mutata (con conseguente incongruenza di ogni diversa riqualificazione), in terreno suscettibile di potenzialità edificatoria, sulla base di presunzioni derivate da elementi soggettivi, interni alla sfera dei contraenti, e, soprattutto, la cui realizzazione (nel caso in specie attraverso la demolizione del fabbricato) è futura (rispetto all’atto oggetto di tassazione), eventuale e rimessa alla potestà di soggetto diverso (l’acquirente) da quello interessato dall’imposizione fiscale” (Cass. n. 15629/2014).

Ad analoghe conclusioni è giunta più di recente Cass. n. 7853/2016, prendendo espressamente posizione sul contrasto e sulle ragioni che inducono a considerare preferibile l’ultima opzione esposta dalla giurisprudenza sopra ricordata.

Tale pronuncia va ripercorsa per i principi che si intendono ricavare e riaffermare in questa sede.

In tale fattispecie l’Agenzia ricorrente chiedeva a questa Corte di dire se, in relazione alla determinazione della plusvalenza conseguente a cessione di beni suscettibili di utilizzazione edificatoria, nell’ipotesi in cui nel contratto le parti abbiano dichiarato che oggetto della compravendita sono alcuni fabbricati e loro pertinenze e che al contrario l’Agenzia, verificando la reale intenzione delle parti ex art. 1362 c.c., abbia affermato che l’effettivo oggetto della compravendita erano i terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria sui quali i fabbricati insistevano, sia possibile per il giudice tributario limitarsi ad affermare che oggetto della compravendita era quello indicato dalle parti e negare qualunque plusvalenza tassabile o se al contrario l’Agenzia in base al sopra richiamato combinato disposto sia investita del potere-dovere di verificare in concreto la reale intenzione delle parti in base ai canoni ermeneutici (comportamento complessivo delle parti anche successivo alla stipula) con la conseguenza che se in base a tale verifica risulti che oggetto del contratto non sono i fabbricati, ma i terreni e su questa base emani avviso di accertamento, erra il giudice che annulli tale avviso affermando che i fabbricati oggetto di cessione non rientrano in alcuna delle previsioni di cui al citato art. 67.

Detto in altri termini, la questione proposta dalla controversia è essenzialmente se la vendita di area già edificata possa rientrare – a fronte di una riqualificazione operata dall’Ufficio sulla scorta di elementi presuntivi – nelle ipotesi, sicuramente tassative, previste dal T.U.I.R., art. 81, comma 1, lett. b) (ora art. 67, il quale assoggetta a tassazione separata, quali “redditi diversi”, le “plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”).

Al quesito, questa Corte ha già di recente fornito, in fattispecie analoga, soluzione negativa, rilevando che dalla stessa lettera del citato TUIR, art. 81 (ora art. 67) e art. 16 (art. 17) comma 1, lett. g bis, possono rientrare le cessioni aventi ad oggetto solo un terreno “suscettibile di utilizzazione edificatoria”, ma non un terreno sul quale insorge un fabbricato e che, quindi, è da ritenersi già edificato”: così Cass. n. 15629/2014, ma anche Cass. n. 4150/2014 (già riportate sopra).

Il Collegio ritiene di dare continuità alla citata giurisprudenza, in quanto coerente con ratio e telos ispiratori della norma in esame, come novellata dalla L. n. 413 del 1991 e tesa ad assoggettare a prelievo fiscale la manifestazione di forza economica conseguente “all’avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica” di terreni, ovvero, in altri termini, ad assoggettare ad imposizione la plusvalenza che (come si legge nella relazione di accompagnamento alla citata L. n. 413 del 1991) scaturisce non “in virtù di un’attività produttiva del proprietario o possessore, ma per l’avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica” dei terreni.

Ciò che rileva, dunque, ai fini dell’applicabilità della norma in esame, è la destinazione edificatoria originariamente conferita ad area non edificata, in sede di pianificazione urbanistica e non quella ripristinata, conseguentemente ad intervento – su area già edificata – operato dal cedente o dal cessionario.

Nella fattispecie decisa da Cass. n. 7853/2016, come risulta accertato dai giudici d’appello e non contestato dalla ricorrente, nucleo dell’atto pubblico di compravendita, avente un suo intrinseco valore economico, è stato oggettivamente un complesso di fabbricati con piccole aree di pertinenza, e perciò un “terreno già edificato” e tale entità sostanziale non può essere mutata (con conseguente incongruenza di ogni diversa riqualificazione), in terreno suscettibile di potenzialità edificatoria sulla base di presunzioni derivate da elementi soggettivi, interni alla sfera dei contraenti, e, soprattutto, la cui realizzazione (nel caso di specie attraverso la demolizione del fabbricato) è futura (rispetto all’atto oggetto di tassazione), eventuale e rimessa alla potestà di soggetto (l’acquirente) diverso da quello interessato dall’imposizione fiscale. Occorre dunque affrontare l’interpretazione dell’art. 67 in esame, ove al comma 1 così dispone: “Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, nè in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: a) le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o l’esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici; b) le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonchè, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione In caso di cessione a titolo oneroso di immobili ricevuti per donazione, il predetto periodo di cinque anni decorre dalla data di acquisto da parte del donante;”

Ratio della norma (sua ragion d’essere, ovvero il problema percepito dal legislatore che con essa ha ritenuto di farvi fronte) è colpire le manifestazioni di ricchezza che esulano dal reddito in senso stretto (e che secondo quelle regole non assolvono i propri oneri contributivi), prevedendo forme separate di tassazione per i terreni edificabili.

Scopo della norma è colpire la plusvalenza connessa alla cessione di un terreno che ha avuto attribuita – in sede di pianificazione – una capacità edificatoria tale da renderlo più appetibile di prima, nel meccanismo della domanda ed offerta.

Trattasi dunque di norma impositiva, di natura speciale che si occupa di attrarre a tassazione le altre forme di ricchezza, diverse dal reddito derivante dalla propria attività di industria, commercio o professione, ovvero da lavoro dipendente.

In quanto tale è norma eccezionale che non ammette interpretazione analogica ex art. 12 preleggi, ma sconta l’interpretazione estensiva di cui al successivo art. 14 preleggi.

In questo senso, perchè sia interpretazione estensiva ammessa, cioè si resti nell’ambito della stessa norma, occorre che ratio e telos, i suoi elementi caratteristici (“cognome e nome” della norma), non vengano variati, mentre si avrà analogia (nel caso, vietata) ove si muti il telos e addirittura una diversa norma laddove si cambi anche la ratio.

Nel caso di specie non è possibile accedere all’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, poichè intende equiparare al terreno da edificare il terreno già edificato che venga edificato nuovamente, previa demolizione e ricostruzione, pur se anche con aumento di volumetria. Ciò che infatti intende colpire la norma è la plusvalenza connessa all’aumento di valore di un terreno dichiarato edificabile, mentre resta escluso l’aumento di carico edilizio (aumento di volumetria) che se ne vorrà eventualmente ricavare. Tale profilo, invero, non è esente da oneri fiscali, ma sarà assoggettato agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, oltre alla percentuale sul costo di costruzione già al momento di rilascio del titolo edilizio (o in sede di liquidazione SCIA); successivamente il bene ricavato costituirà ricchezza prodotta dalla società immobiliare e seguirà le regole proprie delle imposte sul reddito, tanto al momento di venuta ad esistenza, quanto nel momento di cessione, ovvero seguirà le sorti della lett. a) dello stesso comma qui in esame.

Come già affermato dai richiamati arresti di questa Corte, non è quindi possibile porre a carico del venditore dell’edificio sorto su terreno (già) edificabile una (affermata) plusvalenza anche solo commisurata all’ulteriore capacità edificatoria non (ancora) sviluppata, perchè si tratterebbe di porre su un soggetto diverso (il venditore) una tassazione che il legislatore ha fissato già in capo al compratore. Nè si deve pensare che in tal modo il venditore si sottragga ai propri obblighi fiscali: infatti nel prezzo di cessione dell’edificio, come nella rendita catastale, è computata anche la capacità edificatoria inespressa. Detta in altri termini, la norma in oggetto non intende colpire la capacità edificatoria residua (c.d. volumetria, cubatura o superficie coperta rimanente), bensì solo la plusvalenza nella cessione di un terreno a seguito della primigenia edificabilità prevista in sede di pianificazione urbanistica.

Diversamente opinando sarebbero da considerare soggette a plusvalenza da cessioni di terreno edificabile tutte le alienazioni a titolo oneroso di edifici che non abbiano sviluppato integralmente la potenzialità edificatoria del lotto su cui insistono, poichè potrebbero sempre essere abbattuti e ricostruiti o semplicemente ampliati, a prescindere dall’intenzione delle parti.

Dalla ricognizione dei precedenti in materia ed alla luce di quanto sopra esposto, relativamente al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b), possono enunciarsi i seguenti principi di diritto:

a) la distinzione fra edificato e non ancora edificato si pone in termini di alternativa esclusiva che in via logica non ammette un tertium genus;

b) la cessione di un edificio non può essere riqualificata come cessione del terreno edificabile sottostante, neppure se l’edificio non assorbe integralmente la capacità edificatoria del lotto su cui insiste;

c) nella cessione di edificio, la pattuizione delle parti di demolire e ricostruire, anche con ampliamento di volumetria, non può essere riqualificata come cessione di terreno edificabile;

d) il potere generale dell’Amministrazione finanziaria di riqualificare un negozio giuridico in ragione dell’operazione economica sottesa trova un limite nell’indicazione precisa di carattere tassativo del legislatore, ove – nell’esercizio di discrezionalità politica che non trascende i limiti costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost. – ha previsto per la cessione di edifici un regime fiscale/temporale e per la cessione di terreni edificabili un diverso regime fiscale.

La sentenza impugnata si è pertanto conformata ai sopra richiamati precedenti e si sottrae alla critica che le è stata mossa.

Il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese per il grado di giudizio che liquida in Euro 11.000,00 oltre s.p.a..

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2021

 

 

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