Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30059 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 31/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 31/12/2020), n.30059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19093-2019 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa all’avvocato FRANCESCO BONATISTA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 16101/2018 del TRIBUNALI di BOLOGNA,

depositato il 22/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE

PARISE.

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con decreto n. 2389/2019 depositato il 22-05-2019 il Tribunale di Bologna ha respinto il ricorso di M.N., cittadina dell’Ucraina, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito del rigetto della relativa domanda da parte della locale Commissione Territoriale. Il Tribunale ha ritenuto che la ragione di fuga allegata fosse solo di natura economica e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale dell’Ucraina, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza. Avverso il suddetto provvedimento, la ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

2. Con il primo motivo la ricorrente lamenta “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 2, e art. 14, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Si duole del diniego della protezione sussidiaria, lamenta che sia stata valutata solo la situazione della zona di sua provenienza, mentre il rischio è esteso a tutto il territorio dell’Ucraina. Deduce che vi sono campi di addestramento paramilitare in tutto il Paese, nonchè sparizioni ed esecuzioni ad opera di milizie irregolari.

2.1. Con il secondo motivo si duole del diniego della protezione umanitaria, denunciando la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Ribadisce l’errata valutazione dei rischi che corrono i cittadini ucraini nelle regioni non esposte al conflitto armato e rileva di essere in concreto soggetto vulnerabile, sia perchè priva di ogni supporto familiare nel suo Paese, ove vivono il padre molto anziano e disoccupato e la figlia studentessa, sia perchè affetta da grave forma di miopia. Rimarca di essersi integrata in Italia, giungendo ad avere un lavoro stabile, nonostante le suddette condizioni di salute.

3. I due motivi sono inammissibili.

3.1. Del tutto generica e inammissibilmente diretta ad una ricostruzione fattuale difforme da quella motivatamente effettuata dai Giudici di merito (Cass. n. 30105/2018) è la doglianza relativa alla situazione generale della Ucraina, descritta in dettaglio nel decreto impugnato con puntuale indicazione delle fonti di conoscenza. La ricorrente denuncia la mancata valutazione della situazione della zona di sua provenienza, che neppure indica (sintesi del primo motivo pag. n. 3 ricorso), limitandosi genericamente a sostenere che la “violenza diffusa” e l’alto rischio sono presenti in tutto il Paese.

3.2. In ordine al diniego della protezione umanitaria, occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

Ciò posto, le censure non si confrontano con il decisum e si risolvono in una riproposizione di elementi tutti valutati dal Tribunale, che ha rimarcato la ragione economica della fuga dal Paese della richiedente ed ha preso in esame anche la grave miopia da cui la stessa è affetta, affermando, con argomentazioni non censurate in ricorso, che la patologia non presenta problematiche necessitanti di cure o interventi. Infine, il fattore di integrazione sociale e lavorativa diventa recessivo in assenza di vulnerabilità oggettiva, che è stata esclusa dal Tribunale in relazione alle condizioni del Paese di origine (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata).

4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, nulla dovendo disporsi circa le spese del giudizio di legittimità, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

 

 

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