Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30058 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 19/11/2019, (ud. 04/12/2018, dep. 19/11/2019), n.30058

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24312-2014 proposto da:

C.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

RICASOLI 7, presso lo studio dell’avvocato STEFANO MUGGIA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ATAC S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo

studio dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MAURO PETRASSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2025/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/04/2014 R.G.N. 2147/2013.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Roma, con sentenza depositata in data 16.4.2014, ha respinto il gravame interposto da C.A.M., nei confronti di ATAC S.p.A., avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda della lavoratrice, diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità dei contratti di stage conclusi inter partes, relativamente ai periodi: 15.1.2009-10.2.2009 e 16.3.2009-16.9.2009;

che per la cassazione della sentenza ricorre la C. sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso la ATAC S.p.A.; che sono state comunicate memorie nell’interesse di entrambe le parti;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) la “violazione e falsa applicazione della L. n. 197 del 1997, art. 18 e del D.M. n. 142 del 2008”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e si deduce che i giudici di seconda istanza avrebbero “effettuato, con una motivazione scarna, del tutto avulsa dall’attività istruttoria svolta, una lettura fuorviante e non convincente della normativa posta a base del tirocinio formativo”, in quanto, “hanno posto a fondamento della decisione la sentenza della Cassazione n. 9294/2011 per ritenere sufficiente la pretesa formazione svolta”, senza tenere conto del fatto che “il primo contratto rappresenta pur sempre un rapporto di lavoro subordinato a causa mista, mentre il secondo non è un rapporto di lavoro subordinato e pertanto la formazione avrebbe dovuto essere ancora più pregnante”; 2) in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e si precisa che, “nella consapevolezza dell’innovazione proposta dall’art. 348-ter c.p.c., si intende censurare la sentenza sulla base dell’art. 132 c.p.c. per quanto recentemente affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 19881/2014, secondo cui la mancanza di motivazione è censurabile in cassazione come violazione di legge in base all’art. 132 c.p.c.”, poichè la sentenza impugnata “ha violato la predetta norma in quanto la sua motivazione è priva di ogni riscontro rispetto ai fatti oggetto del presente giudizio, non tenendo conto della prova espletata”;

che il primo motivo è inammissibile sotto diversi e concorrenti aspetti; innanzitutto, infatti, la parte ricorrente non ha indicato analiticamente sotto quale profilo le norme menzionate sarebbero state violate, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3 codice di rito, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate, ma anche con specifiche argomentazioni tese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); inoltre, nel corso dello stesso motivo, si deduce che le violazioni lamentate attengono altresì all’esegesi dei contratti di stage conclusi inter partes, relativamente ai periodi: 15.1.2009-10.2.2009 e 16.3.2009-16.9.2009, che non sono stati prodotti (e neppure menzionati nell’elenco dei documenti offerti in comunicazione elencati nel ricorso per cassazione), nè trascritti, in violazione del principio (v. artt. 366, n. 6, e 369 del codice di rito), più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014, cit.). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Questa Corte, dunque, non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità della doglianza svolta, che, per quanto innanzi osservato, appare articolata in modo esplorativo e finalizzata, nella sostanza, ad ottenere un nuovo esame del merito, non consentito in questa sede;

che il secondo motivo deduce, nella sostanza, un vizio di motivazione sotto il profilo della “mancanza di riscontro della decisione rispetto ai fatti oggetto del presente giudizio”, perchè i giudici di merito non avrebbero “tenuto conto della prova espletata”, pervenendo, così, alla decisione impugnata sulla base di una motivazione soltanto apparente ed inidonea a garantire l’iter logico seguito dagli stessi per fondare la statuizione resa;

che il motivo è inammissibile, in quanto, attenendo ad un error in procedendo, avrebbe dovuto essere censurato in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4 codice di rito (cfr., ex plurimis, Cass. n. 2101/2019). Peraltro, nella fattispecie, il mezzo di impugnazione che, in concreto, denunzia un vizio motivazionale non fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite n. 8053 del 2014, ad un vizio della decisione “così radicale da comportare”, in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della pronunzia per mancanza di motivazione”, non potendosi configurare, nel caso in esame, una ipotesi di motivazione apparente o di mancanza di motivazione, da cui conseguirebbe la non idoneità della sentenza a consentire il controllo delle ragioni poste a fondamento della stessa, dato che la Corte di merito è pervenuta alla decisione oggetto del giudizio di legittimità con argomentazioni analitiche e del tutto condivisibili e scevre da vizi logico-giuridici; che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile; che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza; che, avuto riguardo all’esito del giudizio e dalla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 1 5 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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