Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30057 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 31/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 31/12/2020), n.30057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9885-2019 proposto da:

P.C., P.P., elettivamente domiciliate in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE

rappresentate e difese dagli avvocati PAOLA PIVA, ANTONIO ANDREOLE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PARMA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE l, presso lo

studio dell’avvocato ADRIANO ROSSI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANNA ROSSI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2489/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata l’08/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE

PARISE.

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 2489/2018 depositata il 8-10-2018 e notificata l’11-1-2019, pronunciando quale giudice di rinvio a seguito della pronuncia di questa Corte n. 15269/2014, ha condannato il Comune di Parma al pagamento in favore di P.P. e P.C. della somma di Euro 298.443,40, dovuta a titolo di risarcimento del danno per occupazione illegittima, oltre accessori di legge come specificato nella citata sentenza.

2. Avverso detto provvedimento P.P. e P.C. propongono ricorso per cassazione affidato a un solo motivo, a cui resiste con controricorso il Comune di Parma, proponendo ricorso incidentale affidato ad un solo motivo. Il Comune di Parma ha depositato ritualmente memoria illustrativa, mentre la memoria delle ricorrenti è stata depositata oltre il termine di legge.

3. L’unico motivo di ricorso principale è così rubricato: “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, così come modificato dalla L. n. 244 del 2007, con particolare riferimento agli artt. 32 e 31, all’art. 37, commi 1, 2, 3 e 4, e agli artt. 9 e 12. Violazione e falsa applicazione del PRG del Comune di Parma, art. 19, vigente al momento della scadenza della dichiarazione di pubblica utilità (16/11/1990). Violazione e falsa applicazione della L. n. 1 del 1978. Violazione e falsa applicazione dei principi costituzionali in materia di vincoli espropriativi e conformativi anche con particolare riferimento alla qualificazione dei medesimi”. Deducono le ricorrenti che l’istruttoria espletata nel secondo giudizio di rinvio e, in particolare, le risultanze della consulenza espletata dalli Ing. Ma. sono decisive ai fini del corretto inquadramento del vincolo imposto dall’amministrazione comunale sulle aree oggetto di contenzioso. Le ricorrenti danno atto che, con la sentenza n. 15269/2014 di questa Corte, era stato accertato che il vincolo per cui è causa fosse conformativo e non espropriativo e che la causa era stata rinviata alla Corte di Appello di Bologna affinchè venisse accertata l’entità del risarcimento dovuto dall’amministrazione comunale. Tuttavia, ad avviso delle ricorrenti, in base a quanto accertato dal CTU il vincolo imposto dal PGR come zona a verde pubblico urbano e comprensoriale era stato ritenuto anche dal Comune di Parma di carattere espropriativo. Riportano nel testo del ricorso le parti dell’elaborato peritale che assumono di rilevanza e deducono che gli elementi emersi dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata nel secondo giudizio di rinvio rendono inattuali e superate le conclusioni affermate da questa Corte con la citata sentenza del 2014.

3.1. La controricorrente, con l’unico motivo di ricorso incidentale, censura la sentenza impugnata in riferimento alla statuizione sulle spese, poste a suo carico con riferimento a tutti i gradi, nonostante il Comune fosse risultato vincitore nel secondo giudizio di cassazione e la pretesa delle ricorrenti fosse stata notevolmente ridimensionata.

4. Il ricorso principale è infondato.

4.1. Per costante giurisprudenza di questa Corte, in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di cassazione vincola al principio affermato e ai relativi presupposti di fatto, onde il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla “regola” giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità (Cass. n. 20887/2018; n. 20981/2015; 17353/2010).

4.2. Nel caso di specie, questa Corte, con la sentenza n. 15269/2014 di annullamento con rinvio, ha affermato che “La destinazione posta dal Piano regolatore alla zona cui appartengono i terreni occupati è “a verde pubblico urbano e comprensoriale”. Non si tratta dunque di un vincolo a carattere particolare, ma di una destinazione generale e astratta, secondo la logica della ripartizione zonale, che agli effetti dell’incidenza sul diritto di proprietà, ha connotazione conformativa. Su tale inquadramento zonale è intervenuta la destinazione a opere di viabilità, che costituisce, questa sì, vincolo preordinato a esproprio. Ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio e del risarcimento per occupazione appropriativa, deve essere esclusa la qualità edificatoria dell’area che, al momento dell’esproprio, sia destinata a pubblici impianti in base a progetti approvati dall’autorità amministrativa, in virtù delle norme dello strumento urbanistico, che regolino il territorio comunale con previsione generale e astratta, ripartendolo in zone omogenee, con la conseguenza che la destinazione urbanistica di inedificabilità, che la detta zonizzazione comporta, da luogo a vincolo di tipo non ablativo ma conformativo, sicchè dell’incidenza della suddetta destinazione sul valore del bene deve tenersi conto ai fini della valutazione del fondo (Cass. 25.11.2008, n. 28051; 5.9.2013, n. 20457; per la destinazione a verde: Cass. 14.5.2013, n. 11455). Nè può avere rilevanza l’eventuale previsione di una pur limitata volumetria consentita in tale zona, che non costituisce estrinsecazione dello ius aedificandi, ma è funzionale alla realizzazione del fine pubblicistico (Cass. 9.3.2004, n. 4732). Pur in mancanza della prerogativa dell’edificabilità, il danno per la perdita dell’immobile va commisurato al valore di mercato, all’epoca dell’illecito e dell’occupazione, tenendo conto delle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini dell’area, in relazione alle utilizzazioni autorizzate dagli strumenti di pianificazione del territorio. In particolare, trattandosi di zona a verde, il valore va rapportato alla domanda di aree idonee ad ospitare attività, anche con il supporto di strutture mobili, nel quadro di iniziative economiche volte alla valorizzazione e gestione degli spazi liberi del tessuto urbano, con criteri di imprenditorialità”. La “regola” giuridica enunciata, in ordine all’inedificabilità dell’area ed alla natura conformativa del vincolo, è stata, pertanto, correttamente ritenuta dal giudice di rinvio per lo stesso vincolante anche con riferimento agli accertamenti di fatto già compresi nell’ambito di tale enunciazione (area “a verde pubblico urbano e comprensoriale” con destinazione generale e astratta, secondo la logica della ripartizione zonale). Quell’accertamento di fatto non può più essere messo in discussione, pena la violazione del principio dell’intangibilità del giudicato, e al giudice del rinvio la causa era stata rimessa solo per la rideterminazione del danno da occupazione illegittima.

5. Anche il ricorso incidentale è infondato.

5.1. La Corte territoriale si è attenuta ai principi costantemente affermati da questa Corte, (tra le tante Cass. n. 20289/2015), secondo cui, in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, deve valutare la soccombenza con riferimento all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicchè non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte. Inoltre, in tema di compensazione delle spese processuali ex art. 92 c.p.c., (nel testo applicabile “ratione temporis”, anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, come nella specie), poichè il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite (tra le tante Cass. n. 20457/2011).

Non merita, pertanto, censura la statuizione del giudice del rinvio di condanna del Comune di Parma alla rifusione in favore delle P. delle spese di lite di tutti i gradi di giudizio, nonostante l’Ente fosse risultato vincitore nel giudizio di cassazione, avendo la Corte territoriale correttamente valutato la soccombenza in base all’esito globale del processo.

6. In conclusione, devono rigettarsi sia il ricorso principale, sia il ricorso incidentale e, considerate la reciproca soccombenza e la prevalenza di quella delle ricorrenti principali, possono compensarsi per metà le spese del giudizio di legittimità e la residua metà di dette spese, liquidate nell’intero come in dispositivo, è posta a carico delle ricorrenti principali.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti principali e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa per metà le spese del giudizio di legittimità e condanna le ricorrenti principali alla rifusione della residua metà delle suddette spese, liquidate, nell’intero, in complessivi Euro 6.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti principali e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, rispettivamente, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

 

 

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