Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30056 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 31/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 31/12/2020), n.30056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9803-2019 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VITTORIO

VENETO 7, presso lo studio legale dell’avvocato BRUNO, rappresentato

e difeso dall’avvocato ALFIO D’URSO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della DIFESA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 369/2018 della CORTE D’APPELLO di e/TANIA,

depositata il 19/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CLOTILDE

 

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 369/2018 depositata il 19-2-2018, ha accolto l’appello proposto dal Ministero della Difesa avverso la sentenza impugnata del Tribunale di Catania pubblicata il 25-5-2013, con la quale era stata accolta la domanda proposta da R.G. nei confronti del Ministero della Difesa avente ad oggetto l’indennità L. n. 865 del 1971, ex art. 17, e per l’effetto il Ministero era stato condannato a pagare all’attore la somma di Euro 527.106,95, oltre interessi e spese giudiziali. La Corte d’appello, nel riformare la sentenza impugnata e rigettare la domanda del R., ha ritenuto non dimostrato in causa che: a) il terreno fosse coltivato al momento dell’immissione in possesso dèll’espropriante, considerate le risultanze del relativo verbale e l’efficacia probatoria dello stesso ex art. 2700 c.c., non infirmata da specifica prova contraria; b) il terreno fosse coltivato dal R. con prevalenza del suo lavoro, come inattendibilmente riferito dai testi, in considerazione della notevole estensione del fondo, tale da essere incompatibile con la coltivazione personale e diretta dell’attore-appellato.

2. Avverso detta sentenza R.G. propone ricorso affidato a due motivi, a cui resiste con controricorso il Ministero della Difesa.

3. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ossia dell’art. 2700 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e la violazione dell’art. 116 c.p.c. circa la valutazione della prova ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Deduce che il verbale di immissione in possesso datato (OMISSIS) non riveste efficacia probatoria fino a querela di falso, ma resta soggetto al libero apprezzamento del giudice e, ad avviso del ricorrente, le risultanze probatorie hanno comprovato la coltivazione del fondo da parte del deducente e la sussistenza dei requisiti di legge ai fini del riconoscimento in suo favore dell’indennità aggiuntiva di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 17. Richiama le deposizioni dei testi assunti, che avevano riferito che dal 1989 fino al 1993-1994 il ricorrente si dedicava quotidianamente e personalmente alla coltivazione del terreno, che era la sua unica attività di lavoro.

3.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ossia della L. n. 865 del 1971, art. 17, applicabile ratione temporis e L. n. 590 del 1965, art. 31, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per vizio di nullità processuale (error in procedendo) in conseguenza della violazione dell’art. 115 c.p.c.. Assume che la Corte territoriale sia incorsa nella violazione dell’art. 115 citato per avere posto a base della decisione una prova non dedotta, offerta o acquisita, ossia la circostanza che il R. avesse un’impresa agricola. Da detta circostanza, ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello ha fatto dipendere, in modo inammissibile, il diniego del diritto all’indennità espropriativa sia perchè dalle dichiarazioni testimoniali e dalla documentazione in atti era emerso che il R. coltivava personalmente i terreni, sia perchè, ai sensi della L. n. 590 del 1965, art. 31, è da considerarsi coltivatore diretto anche chi è coadiuvato dai familiari senza limiti di numero ma anche da altri soggetti che abbiano i due terzi della capacità lavorativa necessaria alla coltivazione del fondo. Deduce, quindi, che la Corte d’appello è incorsa in errore di diritto nel ritenere non spettante l’indennità per difetto della prevalenza del lavoro personale.

4. I motivi primo e secondo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

4.1. Non ricorre la violazione dell’art. 2700 c.c., dedotta dal ricorrente in relazione all’art. 116 c.p.c.. Il verbale di immissione in possesso ha natura di atto pubblico ed è fidefacente in ordine ai fatti constatati di persona dal pubblico ufficiale, o comunque, ove si tratti di un accertamento svolto dal pubblico ufficiale, il verbale ha pur sempre un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria (Cass. n. 10651/2010 e n. 20025/2016).

4.2. La Corte d’appello, attenendosi ai suddetti principi, ha ritenuto che le risultanze del verbale di immissione in possesso non fossero smentite da specifica prova contraria, valutando, motivatamente, inattendibili le risultanze testimoniali. Le censure riferite alla violazione dell’art. 116 c.p.c. sono all’evidenza volte al riesame del materiale probatorio. Le doglianze invocano cioè un’indagine di merito che esula, com’è noto, dalle prerogative di questa Corte di legittimità, dovendo, in particolare, aggiungersi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (tra le tante Cass. n. 1229/2019; Cass. n. 18892/2016), la deduzione in sede di ricorso per cassazione della violazione dell’art. 116 c.p.c. -a mente del quale cui il giudice deve valutare le prove secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti-è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso. In altri termini, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte d’appello ha liberamente apprezzato le risultanze del verbale di immissione in possesso ed ha proceduto alla formazione del proprio convincimento vagliando le emergenze del suddetto verbale in comparazione con gli altri elementi di prova. In tale specifico contesto, nell’ambito della valutazione degli elementi acquisiti agli atti per decidere sulla domanda, la Corte territoriale ha fatto riferimento all’impresa agricola, al fine, cioè, di corroborare il giudizio espresso sull’inattendibilità dei testi.

4.3. La Corte d’appello ha, inoltre, correttamente applicato la L. n. 865 del 1971, art. 17, atteso che, per costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo Cass. n. 20658/2019), l’elemento qualificante della coltivazione diretta del fondo va ravvisato in quello che emerge dagli artt. 2083,2135 e 2751 bis c.c., mentre non hanno rilevanza, ai fini che qui interessano, le numerose altre definizioni, tutte ad efficacia settoriale, ed è pertanto inconferente il richiamo effettuato dal ricorrente al L. n. 590 del 1965, art. 31. L’elemento qualificante sussiste in tutte quelle ipotesi in cui la coltivazione del fondo da parte del titolare avviene con prevalenza del lavoro proprio e di persone della sua famiglia, dovendosi individuare il requisito della prevalenza in base al rapporto tra forza lavorativa totale occorrente per la lavorazione del fondo e forza lavoro riferibile al titolare ed ai membri della sua famiglia, a prescindere dall’apporto di mezzi meccanici, e distinguendosi in tal modo il coltivatore diretto dalla figura dell’imprenditore agricolo, cioè di colui che esercita la coltivazione e produzione agricola con prevalenza del fattore capitale su quello lavoro e con impegno prevalente di mano d’opera subordinata (Cass. n. 17714/2002; Cass. n. 3706/2015).

5. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 10.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

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