Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30056 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2018, (ud. 26/10/2018, dep. 21/11/2018), n.30056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28900 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

Agenzia delle dogane, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

S.D., n.q. di rappresentante della ditta Weng Jiambo,

rappresentata e difesa dall’Avv. Claudio Marcone per procura

speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in Roma,

via della Giuliana, n. 82, presso lo studio dell’Avv. Eugenio Pini;

– controricorrente –

e contro

Dres s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Claudio Marcone per procura

speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in Roma,

via della Giuliana, n. 82, presso lo studio dell’Avv. Eugenio Pini;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, n. 409/03/2011, depositata in data 27

ottobre 2011;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 ottobre 2018

dal Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale dott.ssa Mastroberardino Paola, che ha concluso chiedendo

il rigetto del primo motivo e l’accoglimento del secondo;

udito per l’Agenzia delle dogane l’Avvocato dello Stato Polotillo

Giovanni e per la società l’Avv. Eugenio Pini.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle dogane ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, con la quale è stato rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli.

Dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della società contribuente nonchè della ditta individuale Weng Jiambo un avviso di rettifica del valore dichiarato nella bolletta doganale di importazione; avverso il suddetto atto le contribuenti avevano proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle dogane, nel contraddittorio con le contribuenti.

La Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello.

In particolare, ha ritenuto che: non era fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per decorrenza dei termini proposto dall’Agenzia delle dogane; nel merito, dagli atti di causa non risultavano le ragioni per le quali l’ufficio doganale aveva ritenuto non sufficiente la documentazione esibita a seguito di specifica richiesta e la non idoneità della stessa a giustificare il valore dichiarato della merce importata; l’ufficio doganale non aveva dato prova della fondatezza dei propri dubbi e dei motivi per i quali aveva ritenuto insufficiente il valore dichiarato, mentre, d’altro lato, la determinazione del valore della merce era stata compiuta facendo riferimento alla discordanza dei valori medi delle transazioni avvenute nell’ultimo bimestre relativamente ad una categoria di merci eterogenea e non chiaramente identificabile per qualità dei tessuti, taglie e tipologia dei capi presi in considerazione.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato a due motivi di censura, cui hanno resistito le contribuenti con separati controricorsi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va esaminata l’eccezione delle controricorrenti di inammissibilità del ricorso per tardività, essendo stato lo stesso proposto oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c., nella nuova formulazione di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17.

L’eccezione è infondata.

Va osservato, a tal proposito, che secondo costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, la L. n. 69 del 2009, art. 46,comma 17, che ha abbreviato in sei mesi il termine di proposizione delle impugnazioni di cui all’art. 327 c.p.c., trova applicazione, ai sensi della stessa legge, art. 58, comma 1, ai soli giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009 (Cass. civ. Sez. 5, 27 luglio 2018, n. 19979), e che la “instaurazione del giudizio” va individuata con riferimento alla data di introduzione del giudizio di merito, coincidente, per i giudizi che iniziano con ricorso, con la data del deposito dello stesso, davanti al giudice di primo grado, dovendosi peraltro considerare il termine “giudizio” unitariamente, e quindi avendo riguardo alla data dell’atto introduttivo del solo primo grado e non anche dell’eventuale instaurazione dei successivi giudizi di impugnazione (Cass. civ., Sez. 2, 18 febbraio 2011, n. 4005; Cass. civ., Sez. 2, 16 maggio 2007, n. 11301).

Le controricorrenti erroneamente ravvisano la violazione della previsione normativa in esame facendo riferimento alla data di deposito della sentenza impugnata, mentre, come detto, è con riferimento alla data di introduzione del giudizio di primo grado che occorre valutare l’applicabilità della modifica del termine di impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c..

Si evince, peraltro, dagli atti di causa che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato proposto nell’anno 2007, tanto che il giudice del gravame lo ha ritenuto tempestivo in relazione all’atto impugnato, divenuto definitivo il 22 marzo 2007, sicchè trova applicazione il termine lungo di impugnazione secondo il testo previgente dell’art. 327 c.p.c..

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere pronunciato sul motivo di appello relativo all’inammissibilità dell’impugnazione della nota del 16 marzo 2007, stante la sua natura di atto endoprocedimentale, avendo invece pronunciato sulla questione della tardività dell’impugnazione.

Il motivo è infondato.

Lo stesso non tiene conto della ratio decidendi della pronuncia censurata, in particolare della circostanza che, secondo il giudice del gravame, l’oggetto dell’impugnazione non era relativo unicamente al provvedimento di avviso di rettifica dell’accertamento, ma anche agli atti ad esso successivi, pervenendo alla conclusiva considerazione che, essendo l’accertamento divenuto definitivo solo in data 22 marzo 2007, ovvero nel momento in cui il funzionario delegato aveva compilato, datato e sottoscritto l’apposito riquadro riservato al risultato del controllo e tutti gli atti impugnati, il ricorso era da considerarsi tempestivo.

In sostanza, il giudice del gravame ha valutato l’unitarietà del complesso degli atti impugnati, come si ricava dall’inciso finale del periodo sopra riportato e dalla stessa ricostruzione in fatto della controversia, dove si precisa chiaramente che le contribuenti si erano opposte all’avviso di rettifica dell’accertamento prot. n. (OMISSIS) del 19 marzo 2007 ed in particolare al p.v. di rettifica dell’accertamento redatto in data 16 marzo 2007, presupposto dell’atto impugnato e verbale contenente l’esatta liquidazione dei diritti afferenti la bolletta IM4 sopra citata, conseguente all’avviso di rettifica dell’accertamento, e bolletta doganale 429M del 2 marzo 2007, con annotazione in calce di addebito sul conto di debito n. (OMISSIS) del 22 marzo 2007.

Ulteriore elemento che conduce alla suddetta considerazione è il fatto che nella sentenza di appello si precisa che, ove fosse stato impugnato il solo provvedimento prot. n. (OMISSIS), emesso il 16 marzo 2007, il ricorso sarebbe stato dichiarato inammissibile.

Ne consegue che, proprio la suddetta valutazione unitaria degli atti oggetto di impugnazione aveva condotto il giudice di appello a escludere la fondatezza del motivo di appello proposto dalla ricorrente, non ponendosi questione di inammissibilità del ricorso relativo ad un atto non autonomamente impugnabile.

Rispetto alla suddetta ricostruzione del thema decidendum operata dal giudice del gravame, parte ricorrente si limita a riportare il motivo di appello da essa proposto e l’intestazione del ricorso di primo grado delle contribuenti, senza, tuttavia, considerare la ragione fondante la decisione del giudice di appello in ordine alla ammissibilità del ricorso proposto.

Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio.

Il motivo è infondato.

Il percorso motivazionale del giudice del gravame si struttura su diversi piani che tengono conto delle diverse ragioni di contestazione che erano state prospettate dalle contribuenti.

In primo luogo, il giudice di appello ha ritenuto che non era dato ricavare, dagli atti di causa, quali fossero le ragioni per cui l’ufficio doganale aveva ritenuto sussistenti i fondati dubbi in ordine alla non veridicità del prezzo di acquisto delle merci importate come dichiarato al momento dell’importazione.

In secondo luogo, la pronuncia ha precisato che, parimenti, non era dato riscontrare la ragione per cui l’ufficio doganale aveva ritenuto non sufficienti le ragioni addotte dalle contribuenti sulla congruità del valore dichiarato.

Infine, la medesima pronuncia passa ad esaminare le modalità concrete di determinazione del valore delle merci importate e, sul punto, ha precisato che le stesse si erano basate unicamente sulla discordanza dai valori medi delle transazioni avvenute nell’ultimo bimestre relativamente ad una categoria di merce eterogenea e non meglio identificabile per qualità dei tessuti, taglie e tipologia dei capi in esame.

Il presente motivo di ricorso, se può essere apprezzato nella parte in cui ritiene non sufficientemente motivata la pronuncia in esame nella parte in cui ha ritenuto che non era stata data prova adeguata da parte dell’ufficio doganale della sussistenza dei fondati dubbi in ordine alla non veridicità del prezzo di vendita, non risultando che, effettivamente, la stessa aveva tenuto conto delle diverse indicazioni fornite per dare fondamento alla ritenuta non veridicità del valore dichiarato, tuttavia non contiene una specifica ragione di censura relativa al punto della decisione con cui il giudice di appello ha, comunque, ritenuto non corretta la determinazione dei valori operata dall’ufficio doganale.

Il giudice di appello, come detto, ha espresso una propria specifica valutazione in ordine alla non chiara determinazione del suddetto valore, avendo rilevato che i valori applicati si riferivano a categorie di merci eterogenee, non identificabili per qualità dei tessuti, taglie e tipologia dei capi presi in esame.

Questo specifico passaggio motivazionale, relativo non alla questione della sussistenza dei fondati dubbi dell’ufficio doganale sulla effettività del valore dichiarato, ma alla correttezza del criterio applicato per la determinazione, è stato solo genericamente contestato, senza offrire elementi decisivi per il giudizio non tenuti in considerazione dal giudice ai fini della decisione e idonei, in particolare, a contrastare la valutazione operata dal giudice di appello in ordine alla genericità del riferimento compiuto dall’ufficio doganale a valori relativi a merci similari.

Per quanto sopra esposto, i motivi di censura sono infondati, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Con riferimento alla determinazione della misura del compenso da liquidare in favore delle controricorrenti, va tenuto conto che le stesse si sono costituite, sebbene con atti separati, con il medesimo difensore ed hanno articolato stesse ragioni difensive, sicchè trova applicazione la previsione di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 4, comma 4, che prevede che “Nell’ipotesi in cui, ferma l’identità di posizione processuale dei vari soggetti, la prestazione professionale nei confronti di questi non comporta l’esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto, il compenso altrimenti liquidabile per l’assistenza di un solo soggetto è ridotto in misura non superiore al 30 per cento”.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore delle controricorrenti delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 2.000,00 per ciascuna, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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