Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30055 del 23/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2018, (ud. 11/09/2018, dep. 23/11/2018), n.30355

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI Maria Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 2714 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia.

– ricorrente –

contro

A.T.I. di M.M. & P.V.C., in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso,

giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’avv.

Giuseppe Di Prima, col quale elettivamente si domicilia in Roma,

alla via Federico Cesi, n. 72, presso lo studio dell’avv. Paolo De

Angelis.

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, depositata in data 31 maggio 2013, n.

95/24/13;

udita la relazione relativa alla causa svolta alla pubblica udienza

del’11 settembre 2018 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

sentito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Immacolata Zeno, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito per la società l’avv. Giuseppe Di Prima.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’A.T.I. di M.M. & P.V.C., subappaltatrice di costruzione e di opere d’ingegneria civile, chiese il rimborso del credito iva maturato nell’anno 2009 per effetto dell’applicazione del meccanismo del reverse charge, che aveva influito sul calcolo dell’aliquota media, generando l’eccedenza d’imposta oggetto della richiesta e impugnò il relativo diniego opposto dall’Agenzia.

La Commissione tributaria provinciale di Agrigento accolse il ricorso e quella regionale ha respinto l’appello dell’Ufficio, sostenendo che l’A.T.I. avesse veste giuridica di società e comunque di soggetto autonomo ai fini iva, che le considerazioni relative al tipo di A.T.I. su cui aveva fatto leva l’Agenzia fossero state introdotte soltanto in sede di appello e quindi nuove e che l’atto di diniego non fosse adeguatamente motivato, perchè basato su meri riferimenti normativi, perdipiù per relationem.

Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida a quattro motivi, cui la contribuente risponde con controricorso, che illustra con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Infondata è l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per mancanza del requisito dell’indicazione delle parti indicato dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 1.

La contribuente sostiene difatti che nel ricorso per cassazione non è indicata l’A.T.I. di M.M. & P.V., sibbene il diverso soggetto A.T.I. di P.V. & di M.V..

1.1.- Basti richiamare al riguardo il consolidato orientamento di questa Corte (in espressione del quale si veda, per tutte, Cass. 19 marzo 2014, n. 6352) in base al quale l’omessa, incompleta o inesatta indicazione, nell’atto introduttivo e nella relata di notificazione, del nominativo di una delle parti in causa, è motivo di nullità soltanto ove abbia determinato un’irregolare costituzione del contraddittorio o abbia ingenerato incertezza circa i soggetti ai quali l’atto era stato notificato.

Di contro, l’irregolarità formale o l’incompletezza nella notificazione del nome di una delle parti non è motivo di nullità se dal contesto dell’atto notificato risulti con sufficiente chiarezza l’identificazione di tutte le parti e la consegna dell’atto alle giuste parti. Sicchè l’apparente vizio va considerato come un mero errore materiale che può essere agevolmente percepito dall’effettivo destinatario, soprattutto qualora, come nel caso in esame, si costituisca e si difenda nel merito.

1.2.- Sul piano generale, d’altronde, il giudice, al cospetto di atti processuali che scontino un non insuperabile tasso di ambiguità, deve interpretarli nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.

E ciò non soltanto alla luce dell’art. 1367 c.c., che detta il criterio dell’interpretazione utile, ma anche in base al Trattato sull’Unione europea, art. 6, comma 3, che, nel riconoscere i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dei diritti fondamentali, fa proprio anche quello alla effettività della tutela giurisdizionale.

E, a questo riguardo, la Corte di Strasburgo ha ripetutamente affermato che gli organi giudiziari degli Stati membri, nell’interpretazione della legge processuale, “devono evitare gli eccessi di formalismo, segnatamente in punto di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi, consentendo per quanto possibile, la concreta esplicazione di quel diritto di accesso ad un tribunale previsto e garantito dalla CEDU del 1950, art. 6” (tra varie, Corte EDU Corte EDU, 1 sez., 24 aprile 2008, Kemp c. Granducato di Lussemburgo, in causa 17140/05 e, nella giurisprudenza interna, Cass. 4 ottobre 2018, n. 24198).

2.- Infondata è altresì l’eccezione d’inammissibilità o d’improcedibilità del ricorso per la mancata specifica indicazione e la successiva omissione di deposito degli atti e dei documenti sui quali esso si fonda.

E ciò perchè anzitutto il ricorso indica gli atti rilevanti, ossia il diniego di rimborso e l’appello dell’Agenzia; inoltre, quanto al deposito di essi, va fatta applicazione dell’indirizzo di questa Corte, secondo cui, ai fini della procedibilità dei ricorsi in cassazione in materia tributaria, è sufficiente che i ricorrenti producano l’istanza di trasmissione dei fascicoli d’ufficio (nei quali, in base al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 25, comma 20, restano acquisiti, fino al termine del processo, i fascicoli di parte) vistata dalla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, non esistendo a carico dei ricorrenti medesimi neppure l’obbligo di produrre la copia degli atti e dei documenti, su cui i ricorsi si fondano, in ipotesi contenuti nei fascicoli delle controparti (Cass., sez. un., 3 novembre 2011, n. 22726). E il ricorso è corredato dell’istanza di trasmissione in questione.

3.- Fondato è il primo motivo di ricorso, col quale l’Agenzia lamenta la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, là dove la Commissione tributaria regionale ha bollato come nuova la considerazione svolta in appello relativa alla mancanza di autonoma soggettività dell’a.t.i..

Basti il richiamo al consolidato orientamento in base al quale, in tema di contenzioso tributario, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, sono precluse in appello esclusivamente le nuove eccezioni in senso tecnico, dalle quali deriva un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del tema della decisione.

Il che va escluso qualora si dibatta il rifiuto o il rigetto di istanza di rimborso, poichè la pretesa è del contribuente, in relazione alla quale la contestazione dell’Agenzia si traduce in una mera argomentazione difensiva (conf., tra varie, Cass., ord. 21 novembre 2016, n. 23587).

4.- Fondato è anche il secondo motivo di ricorso, col quale la ricorrente si duole della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, là dove la Commissione tributaria regionale ha ritenuto inadeguata la motivazione del provvedimento di diniego, calibrata sul richiamo al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, lett. a), nonchè dei corrispondenti profili concernenti la motivazione.

Il provvedimento di diniego è difatti esaurientemente motivato, perchè pienamente esplicativo è il richiamo al referente normativo che, nella prospettazione dell’ufficio, esclude l’applicabilità del meccanismo del reverse charge.

5.- Col terzo e col quarto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, perchè connessi, l’Agenzia denuncia la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 e art. 17, comma 6, lett. a), in combinazione con il D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 37, là dove il giudice d’appello ha ritenuto provata la natura di società dell’a.t.i. (terzo motivo), nonchè delle medesime norme, e dei relativi profili di motivazione, là dove si è apoditticamente affermata la natura di società dell’a.t.i. (quarto motivo).

Va respinta l’eccezione d’inammissibilità delle censure, dovuta all’articolazione di esse in più profili concorrenti, di violazione di legge e di deduzione di vizio di motivazione. Ciò in applicazione dell’orientamento di questa Corte (Cass., sez. un., 6 maggio 2015, n. 9100) secondo cui il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati.

Col ricorso, difatti, l’Agenzia ha partitamente introdotto e illustrato i due aspetti di ciascuna censura.

5.1.- Nel merito, la censura complessivamente proposta è fondata.

La Dir. n. 112 del 2006, art. 9, definisce i “soggetti passivi” quali persone che esercitano un’attività economica “in modo indipendente”. La connotazione d’indipendenza, ha precisato la giurisprudenza unionale, è correlata alla sopportazione del rischio inerente alla propria attività (Corte giust. 7 agosto 2018, causa C-16/17, TGE Gas Engineering GmbH- Sucursal em Portugal, punti 40-41; 23 marzo 2006, causa C-210/04, FCE Bank, punto 35).

5.2.- Nel caso in esame, quindi, l’a.t.i. può essere qualificata come autonomo soggetto passivo se e in quanto si affermi che le imprese in essa confluite non esercitino la propria attività economica in modo indipendente, ossia non sopportino individualmente il rischio concernente la propria attività.

Secondo la contribuente tanto deriverebbe dalla configurazione dell’a.t.i. non già come verticale, come vorrebbe l’Ufficio, bensì come orizzontale, per cui tutte le imprese coopererebbero per la realizzazione dell’opera, senza possibilità di distinzione in parte distinte, autonomamente eseguibili da ciascuna.

Questa prospettazione non giova alle ragioni del controricorso.

5.3.- Sul piano generale, il legislatore, quando ha fornito la definizione del fenomeno comunemente designato come a.t.i., ha stabilito (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3, comma 20, poi abrogato dal D.Lgs. n. 50 del 2016, ma applicabile all’epoca dei fatti di causa) che “Il termine “raggruppamento temporaneo” designa un insieme di imprenditori, o fornitori, o prestatori di servizi, costituito, anche mediante scrittura privata, allo scopo di partecipare alla procedura di affidamento di uno specifico contratto pubblico, mediante presentazione di una unica offerta”.

Sicchè il raggruppamento temporaneo è volto alla collaborazione delle imprese raggruppate per ottenere l’aggiudicazione di un appalto mediante la presentazione di un’offerta unitaria da parte di soggetti che conservano la propria indipendenza giuridica; e, a tale scopo, è previsto il conferimento di un mandato collettivo speciale gratuito, a norma del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 37, comma 14, secondo cui “Ai fini della costituzione del raggruppamento temporaneo, gli operatori economici devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di esse, detto mandatario”.

Si tratta quindi di un’aggregazione temporanea e occasionale tra imprese per lo svolgimento di un’attività, limitatamente al periodo necessario per il suo compimento, retta e disciplinata da un contratto di mandato collettivo speciale.

Il mandato collettivo, perdipiù con rappresentanza, non configura un centro autonomo d’imputazione giuridica, perchè è finalizzato ad agevolare l’amministrazione appaltante nella tenuta dei rapporti con le imprese appaltatrici (in termini, da ultimo, Cass. 26 febbraio 2016, n. 3808). Il proprium dell’istituto sta appunto nella possibilità di associarsi temporaneamente, senza obbligo di assumere vincoli societari che imporrebbero oneri e obblighi sproporzionati rispetto ad un rapporto caratterizzato dalla durata limitata e dalla unicità dell’affare.

6.- La costituzione dell’a.t.i. è affidata a un contratto associativo (così Cass. n. 15129/15) volto a realizzare un’aggregazione di scopo, sulla base di un accordo di cooperazione, il che di per sè esclude la formazione di un’entità giuridica nuova con un proprio autonomo patrimonio distinto dalle imprese che la compongono (in termini, Cass. 9 dicembre 2015, n. 24883).

6.1.- Ciascuna impresa riunita non svolge attività in comune, ma, nell’ambito della propria parte dei lavori, agisce autonomamente e intrattiene direttamente i propri rapporti con terzi (banche, fornitori, personale ecc…), di modo che le imprese associate conservano la propria individualità, come confermato prima dalla L. n. 584 del 1977, art. 22, il quale espressamente statuiva che “Il rapporto di mandato non determina di per sè organizzazione o associazione fra le imprese riunite, ognuna delle quali conserva la propria autonomia ai fini della gestione e degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali” e, poi, dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 37, comma 17, che, con minimi adattamenti, ne riproduce la formulazione.

7.- In questo contesto, nelle a.t.i. orizzontali il rapporto di collaborazione è istituito tra imprese che svolgono attività omogenee e che si riuniscono al fine di suddividere i lavori (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 37, comma 1, applicabile ratione temporis); in quelle verticali, invece, non v’è omogeneità tra le attività delle associate, di modo che l’impresa che svolge l’attività principale assume la posizione di capogruppo e riunisce altre imprese che svolgono attività corrispondenti a parti dell’opera scorporabili (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 37, comma 2).

7.1.- Questa distinzione, tuttavia, si diceva, di per sè non giova alla contribuente.

Come ha precisato la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, ad. plen., 13 giugno 2012, n. 22), del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 37, comma 40, (come anche la norma omologa, ora abrogata, contenuta nel D.Lgs. n. 157 del 1995, art. 11,comma 20,) secondo cui “Nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati”, è applicabile sia ai raggruppamenti di tipo verticale, sia a quelli di tipo orizzontale, in cui ciascuna impresa partecipante si obbliga nei confronti della stazione appaltante, potenzialmente, per l’intera prestazione; sicchè anche nel caso di a.t.i. orizzontale le imprese raggruppate sono obbligate a specificare, all’atto della partecipazione alla competizione, la “parte” di prestazione da eseguire.

7.2.- Anzi: sul piano delle responsabilità, la morfologia delle a.t.i. orizzontali smentisce la prospettazione della contribuente.

La distinzione tra a.t.i. orizzontali e a.t.i. verticali poggia sul contenuto delle competenze portate da ciascuna impresa raggruppata ai fini della qualificazione a una determinata gara: in linea generale, l’a.t.i. orizzontale è caratterizzata dal fatto che le imprese associate (o associande) sono portatrici delle medesime competenze per l’esecuzione delle prestazioni costituenti l’oggetto dell’appalto, mentre l’a.t.i. verticale è connotata dalla circostanza che l’impresa mandataria apporta competenze incentrate sulla prestazione prevalente, diverse da quelle delle mandanti, le quali possono avere competenze differenziate anche tra di loro. Nell’a.t.i. di tipo verticale un’impresa, ordinariamente capace per la prestazione prevalente, si associa ad altre imprese provviste della capacità per le prestazioni secondarie scorporabili.

7.3.- Per conseguenza, nelle a.t.i. orizzontali ciascuna delle imprese riunite è responsabile solidalmente nei confronti della stazione appaltante, mentre nelle a.t.i. verticali le mandanti rispondono ciascuna per le prestazioni assunte e la mandataria risponde in via solidale con ciascuna delle imprese mandanti in relazione alle rispettive prestazioni secondarie (del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 37, comma 5, nel testo applicabile all’epoca dei fatti).

Di per sè, quindi, la configurazione come a.t.i., sia verticale, sia orizzontale, esclude che essa possa identificare un unico soggetto passivo (conf., in relazione al regime previgente, Cass. 20 marzo 2009, n. 6791).

8.- L’esclusione della qualità di soggetto passivo unico dell’a.t.i. non consente l’applicazione del meccanismo del reverse charge, in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 6, lett. a), nel testo vigente all’epoca dei fatti, secondo cui “Le disposizioni di cui al quinto comma si applicano anche: a) alle prestazioni di servizi, compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore. La disposizione non si applica alle prestazioni di servizi rese nei confronti di un contraente generale a cui venga affidata dal committente la totalità dei lavori”.

E ciò perchè l’a.t.i. non può essere considerata come soggetto subappaltatore unico.

9.- Non è da escludere che, qualora l’attività del raggruppamento temporaneo concerna un’opera o una prestazione indivisibile, ossia non frazionabile in parti autonome, possa occorrere costituire una forma organizzativa ad hoc che cementi un organismo associato che assuma la configurazione di società di fatto.

Nel caso in esame, tuttavia, la statuizione sulla forma societaria rivestita dall’a.t.i. contenuta in sentenza non è adeguatamente argomentata, poichè si risolve in una mera asserzione, che, lungi dal costituire, come vorrebbe la controricorrente, un accertamento di fatto, si risolve nel mero richiamo di “…copie delle fatture, delle dichiarazioni, dei contratti etcc…”, non altrimenti illustrati o comunque specificati.

10.- Il ricorso va in conseguenza accolto e la sentenza cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, che riesaminerà la vicenda attenendosi al seguente principio di diritto:

“In tema di IVA, posto che è soggetto passivo l’imprenditore che esercita la propria attività in modo indipendente, sopportandone individualmente il relativo rischio, di per sè non risponde a tale nozione l’associazione temporanea d’imprese, la quale designa un fenomeno di raggruppamento di più imprese che per aggiudicarsi un appalto presentano un’offerta unitaria, conservando la propria indipendenza giuridica: e ciò a prescindere dalla configurazione del raggruppamento come orizzontale, ossia concernente lo svolgimento di attività omogenee, oppure verticale, cioè riguardante l’esecuzione di attività disomogenee. Ne consegue che, non ravvisandosi un unitario soggetto passivo, non è consentito all’associazione temporanea d’imprese di valersi del metodo del reverse charge ai fini dell’assolvimento dell’iva”.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Sicilia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2018

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