Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30055 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2018, (ud. 26/10/2018, dep. 21/11/2018), n.30055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2037 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

Daritex Sport Wear s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Teobaldo Tassotti per

procura speciale a margine del ricorso, presso il cui studio in

Marostica (VI), via IV Novembre, n. 33-1, è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale del Veneto, sezione staccata di Verona, n. 73/21/2011,

depositata in data 30 maggio 2011;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 ottobre 2018

dal Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale dott.ssa Mastroberardino Paola, che ha concluso chiedendo

il rigetto del ricorso;

udito per la società l’Avv. Teobaldo Tassotti e, per l’Agenzia delle

dogane, l’Avvocato dello Stato Palatiello Giovanni.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Daritex Sport Wear s.r.l. ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto con la quale è stato accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Verona.

Dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della società contribuente un avviso di rettifica del valore dichiarato nella bolletta doganale di una partita di pantaloni jeans che la contribuente aveva acquistato dal Bangladesh; avverso il suddetto atto la contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Verona; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle dogane, nel contraddittorio con la contribuente.

La Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello. In particolare, ha ritenuto che: la controversia in oggetto aveva riguardo al sistema che l’ufficio doganale aveva utilizzato per calcolare il prezzo dei capi di vestiario acquistati dalla contribuente; non avevano rilevanza gli elementi di prova proposti dalla contribuente al fine di contestare la determinazione del prezzo di acquisto operato dall’ufficio doganale; la determinazione del prezzo di acquisto delle merci da parte dell’ufficio doganale era da considerarsi corretta; lo scostamento rilevato era stato oggetto di chiarimenti, che non erano stati in grado di fugare i dubbi sulla cui base l’ufficio doganale aveva ritenuto di dovere procedere alla determinazione del prezzo di acquisto.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la contribuente affidato a quattro motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle dogane con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per error in procedendo, avendo pronunciato su di una causa petendi diversa da quella che costituiva l’oggetto del giudizio.

In particolare, parte ricorrente ritiene, con il motivo in esame, che la questione controversa atteneva alla verifica della legittimità dell’avviso di rettifica come da essa dedotta, quindi doveva essere innanzitutto essere accertata l’esistenza o meno dei fondati dubbi che avrebbero dovuto legittimare il susseguente potere di verifica e solo successivamente si sarebbe potuto procedere alla valutazione della legittimità dei criteri di rettifica adottati, mentre il giudice del gravame avrebbe ritenuto di limitare la decisione unicamente con riferimento a quest’ultimo profilo.

Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, va osservato che non correttamente il presente motivo è stato rubricato quale violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto la censura della statuizione del giudice per violazione dell’art. 112 c.p.c., attenendo alla violazione di una norma processuale, deve essere formulata secondo la previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Inoltre, va rilevato che la questione, relativa alla violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere il giudice del gravame pronunciato nei limiti dell’oggetto della controversia, non è stata proposta, in violazione del principio di autosufficienza, riproducendo il contenuto degli atti di primo e secondo grado da cui potere verificare quale era stato l’oggetto della controversia prospettata dalle parti ed in relazione al quale vi sarebbe stata una pronuncia non rientrante nei limiti del medesimo.

In ogni caso, va osservato che la pronuncia in esame ha, da un lato, precisato che l’oggetto della controversia riguardava il sistema che la Dogana ha utilizzato per calcolare il prezzo dei capi di vestiario acquistati dall’appellata Daritex, in correlazione con gli specifici motivi di appello che erano stati proposti dall’Agenzia delle dogane avverso la pronuncia di primo grado, e, dall’altro, ha, altresì, ritenuto che lo scostamento, riscontrato dall’ufficio doganale, dei prezzi delle merci dichiarati rispetto ai criteri alternativi applicati, era stato oggetto di richiesta di chiarimenti, che non sono stati in grado di fugare i dubbi dell’ufficio.

Proprio quest’ultimo passaggio motivazionale consente di ritenere che la pronuncia impugnata ha preso in considerazione proprio il profilo relativo alla effettiva esistenza dei fondati dubbi legittimanti il procedimento di rideterminazione del prezzo di acquisto delle merci, ed ha ritenuto che gli stessi erano esistenti, sicchè la questione prospettata è priva di rilievo, posto che il giudice ha, sul punto, espresso la propria valutazione.

Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per error in procedendo per mancata osservanza della previsione di cui all’art. 181-bis del regolamento di attuazione del CDC, in quanto si sarebbe potuto procedere alla rettifica solo se sussistevano fondati dubbi sulla veridicità del valore delle merci a causa di costi non considerati nel prezzo, anche tenuto conto dei diversi elementi che la contribuente aveva prodotto ai fini della prova della non sussistenza dei fondati dubbi in relazione ai quali si era proceduto alla rettifica.

Il motivo è infondato.

La pronuncia censurata ha ritenuto, come già osservato in relazione al primo motivo di ricorso, che i “fondati dubbi” trovavano fondamento nel rilevato scostamento compiuto dall’ufficio doganale e, inoltre, dalla insoddisfacente risposta data dalla contribuente alla richiesta di chiarimenti.

La stessa, dunque, ha affermato che, nella fattispecie, non si poneva una problema di insussistenza dei fondati dubbi dell’ufficio doganale, proprio in considerazione: a) dello scostamento del prezzo delle merci dichiarato rispetto a quello accertato con ricorso ai criteri alternativi di cui al Reg. CEE n. 2913 del 1992, artt. 30 e ssgg.; b) della non soddisfacente risposta data dalla contribuente alla richiesta di chiarimenti da parte dell’ufficio doganale.

A tal proposito va precisato che, la giurisprudenza di questa Suprema Corte (Cass. civ. Sez. 5, 27 settembre 2018, n. 23246) ha affermato che “In tema di diritti doganali, qualora, ai fini della determinazione del valore in dogana, l’Agenzia delle dogane, al cospetto di fondati dubbi sull’adeguatezza del valore di transazione, richieda al contribuente informazioni complementari, ma non ne riceva risposta, legittimamente procede alla rettifica del valore, senza ulteriori sollecitazioni”.

Peraltro, la Corte di giustizia ha ritenuto che una rilevante differenza di prezzo tra quello dichiarato e quello medio statistico “è sufficiente a giustificare i dubbi nutriti dall’autorità doganale e il rigetto da parte della stessa del valore in dogana delle merci in questione” (Corte giust. 16 giugno 2016, causa C291/15, EURO 2004 Hungary Kft c. Nemzeti Ado- es Vamivatal Nyugat-dunantuli Regionalis Vam- es Penzeigyori Foigazgatosaga, punto 39).

Nel caso in esame, come correttamente affermato dal giudice del gravame, erano giustificati i dubbi dell’ufficio doganale, a fronte della differenza tra i valori dichiarati e i valori ritraibili dalla media di quelli concernenti beni similari classificati nella banca dati M.E.R.C.E., rispetto al quale i secondi, si legge in sentenza, erano “di gran lunga superiori” a quelli indicati dalla contribuente.

Il profilo, inoltre, relativo alla mancata considerazione degli elementi forniti dalla contribuente al fine di escludere la sussistenza dei “fondati dubbi” dell’ufficio doganale, pur affrontato con il presente motivo di ricorso, attiene, invero, ad una questione relativa a vizi di motivazione della sentenza, non prospettabile con il presente motivo, che è stato proposto per vizio di violazione di legge.

In ogni caso, parte ricorrente, nel prospettare la presente ragione di doglianza, si limita ad affermare la sussistenza di elementi non tenuti in considerazione dal giudice del gravame, senza specificazione alcuna degli stessi, in violazione del principio di autosufficienza del motivo di censura.

Con il terzo motivo si censura la sentenza per error in procedendo, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in relazione all’art. 2697 c.c., per non avere dato rilevanza ai diversi elementi di prova prodotti dalla contribuente al fine di escludere la sussistenza dei fondati dubbi sui quali l’ufficio doganale aveva ritenuto di dovere procedere alla rideterminazione del prezzo di acquisto delle merci.

Il motivo è inammissibile.

Va osservato, in primo luogo, che parte ricorrente non specifica quale passaggio della pronuncia in esame viene fatto oggetto di censura con il motivo in esame, limitandosi ad una generica affermazione di alterazione dell’onere della prova.

In secondo luogo, seppure parte ricorrente lamenti, con il motivo in esame, una violazione di legge sotto il profilo della non corretta applicazione delle regole relative al riparto dell’onere probatorio, con lo stesso, in realtà, si censura la sentenza per non avere tenuto in considerazione una serie di elementi probatori che, diversamente, avrebbero potuto condurre a una diversa decisione. In tal modo, il motivo in esame prospetta una ragione di doglianza relativa al ritenuto vizio di motivazione della sentenza per insufficiente o omessa motivazione, censurabile secondo la previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Sotto tale profilo, parte ricorrente si limita a indicare gli elementi di prova che avrebbero potuto condurre il giudice del gravame ad una diversa decisione, senza alcuna specificazione degli stessi, in violazione del principio di autosufficienza del motivo, non consentendo, in tal modo, una valutazione di decisività.

Con il quarto motivo si censura la sentenza per falsa applicazione del CDC, artt. 30 e 31, per avere ritenuto legittimo il provvedimento di rettifica senza tenere conto del fatto che, secondo le suddette previsioni, sussiste un ordine perentorio di determinazione del valore del prezzo in dogana, mentre la pronuncia censurata ha ritenuto applicabile il criterio delle merci similari senza tenere conto del fatto che, invece, la stessa aveva a disposizione il valore di transazione di merci identiche, sicchè avrebbe dovuto fare riferimento, in via prioritaria, a quest’ultimo criterio, piuttosto che a quello successivo applicato.

Il motivo è fondato.

La questione è stata proposta quale vizio di violazione di legge, prospettando la non corretta applicazione dell’ordine di determinazione del prezzo di cui al CDC, art. 30.

Va precisato che il codice doganale comunitario ha stabilito, con gli artt. 29, 30 e 31, una rigida sequenza di regole di determinazione del valore doganale e che il valore di transazione deve comunque riflettere il valore economico reale della merce importata e tener conto di tutti gli elementi di rilievo economico di essa.

Ne consegue che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa della controricorrente, nel seguire la rigida scansione delle regole fissate dal codice doganale comunitario, quando il valore in dogana non possa essere determinato mediante ricorso al valore di transazione delle merci importate, la valutazione doganale si dovrà attenere alle disposizioni del cit. codice, art. 30, applicando, in sequenza, i metodi previsti alle lettere da a) a d) del paragrafo 2 di quest’ultimo articolo (Corte giust. in causa C-116/12, cit., punto 41) e soltanto quando non sia possibile determinare il valore in dogana delle merci importate neppure sulla base del codice doganale, art. 30, si opererà la valutazione in dogana conformemente alle disposizioni dell’art. 31 cit. codice (sentenza in causa C-116/12, punto 42).

In definitiva, i criteri di determinazione del valore in dogana devono essere applicati in base al codice doganale comunitario, artt. 29, 30 e 31, ma rispettando il nesso di sussidiarietà tra essi esistente: soltanto quando il valore in dogana non possa essere determinato applicando la disposizione precedente, si deve far riferimento a quella immediatamente successiva secondo l’ordine stabilito dal codice (sentenza in causa C-116/12, punto 43).

La pronuncia censurata ha precisato che in sostanza, la Dogana ha tratto i valori dal Sistema M.E.R.C.E., e tale sistema, come precisato dalla giurisprudenza di questa Suprema (Corte Cass. civ. Sez. V, 27 settembre 2018, n. 23246), evoca i valori relativi a merci similari, non quindi a merci identiche, sicchè, la determinazione del valore doganale non è stato compiuto secondo la rigida sequenza delineata dall’art. 30, cit..

In conclusione, dichiarati inammissibili il primo e terzo motivo di ricorso, infondato il secondo, va accolto il quarto motivo di ricorso, con cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibili il primo e terzo motivo di ricorso, infondato il secondo, accoglie il quarto motivo di ricorso, cassa la sentenza sul motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione staccata di Verona, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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