Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30050 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 29/11/2011, dep. 29/12/2011), n.30050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

E.L. (C.F. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA QUINTILIO VARO 133, presso

l’avvocato GIULIANI ANGELO, che li rappresenta e difende, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– Intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

07/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/11/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato,depositato il 7/4/2008, la Corte d’appello di Roma ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento a favore dei ricorrenti E.L. + 11 della somma di Euro 2000,00 ciascuno, oltre interessi legali dalla data del decreto, a titolo di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, per la durata irragionevole del giudizio instaurato dai ricorrenti avanti al Tar del Lazio con ricorso depositato il 12/1/1999, per il quale le parti avevano presentato istanza di fissazione d’udienza il 14/5/01, istanza di prelievo il 30/7/2002 ed ulteriore istanza di fissazione d’udienza il 17/5/04, e che era stato definito con sentenza del 21/3/07, dopo il deposito dei ricorsi ex L. n. 89 del 2001 (24/8/2006); la Corte ha condannato altresì l’Amministrazione alle spese del giudizio, come liquidate.

La Corte territoriale, riuniti per connessione i procedimenti a quello iscritto per primo, ritenuta la durata ragionevole del giudizio presupposto in anni tre, e quindi la durata irragionevole di circa quattro anni, ha riconosciuto per il danno non patrimoniale la somma complessiva di euro 2000,00 per ciascun ricorrente, equitativamente determinata, avuto riguardo al fatto che la controversia, concernendo un numero assai rilevante di ricorrenti e presupponendo l’accoglimento dell’eccezione di legittimità costituzionale della normativa di riferimento, non poteva non essere stata proposta con la consapevolezza di lunghi tempio di attesa e con elevata probabilità di rigetto.

Ricorrono E.L., + ALTRI OMESSI sulla base di tre motivi.

La Presidenza del Consiglio non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, e degli artt. 6, 13, 41 della CEDU; omessa, illogica e/o insufficiente motivazione, rilevando che la definizione del procedimento amministrativo è avvenuta solo dopo 70 mesi dal deposito dell’istanza di fissazione d’udienza, e la Corte del merito ha quantificato il danno in misura non congrua rispetto alle decisioni della Corte Europea.

1.3.- Con il secondo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 attesa la decorrenza degli interessi indicata dalla Corte del merito.

1.3.- Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., del D.M. n. 127 del 2004, artt. 1, 4, 5, 6 per non avere la Corte capitolina tenuto conto dei minimi degli onorari e delle competenze, avendo operato la riunione all’esito dell’udienza camerale.

2.1.- I primi due motivi del ricorso, da valutarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono da ritenersi fondati, per quanto di seguito esposto. In relazione al quantum dell’indennizzo, va fatta applicazione dei principi più volte affermati da questa Corte, come espressi, tra le altre, nelle pronunce 17922/2010 (nella forma dell’ordinanza),819/2010 e 21840/2009, che in merito si è così espressa: “i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea, che ha fissato un parametro tendenziale di Euro 1.000,00 – 1.500,00 per anno, non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della “posta in gioco”, apprezzata in comparazione con la situazione economico – patrimoniale della parte, che questa ha l’onere di allegare e dedurre; il “numero dei tribunale che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento”…) purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte… Cass. n. 6039 del 2009;

n. 6898 del 2008); in virtù della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale (costituiti appunto, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura delle medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce della quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesioni di diritti diversi da quello in esame, la quantificazione deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno”. E’ fondata altresì la doglianza in punto decorrenza degli interessi, in quanto è principio già affermato dalla Corte quello secondo cui, “Atteso il carattere indennitario dell’obbligazione nascente dall’accoglimento della domanda di danni conseguenti alla irragionevole durata del processo (ex L. n. 89 del 2001) gli interessi legali sulla somma liquidata decorrono dalla data della domanda di equa riparazione, stante la regola che gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere di incertezza e di illiquidità del credito prima della pronuncia giudiziaria” (Cassazione civile, sez. 1, 17 giugno 2009, n. 14072).

L’accoglimento dei primi due motivi comporta la cassazione del decreto impugnato, con l’assorbimento del terzo motivo in punto spese,dovendosi provvedere a nuova liqudazione e, non occorrendo ulteriori accertamenti di merito, può procedersi alla decisione nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 2, ultima parte, riconoscendosi a ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 3250,00, oltre interessi dalla data della domanda.

Quanto alle spese,che seguono il principio della soccombenza, non può seguirsi il criterio indicato dai ricorrenti per la liquidazione delle spese del merito, in quanto a riguardo deve evidenziarsi che i ricorrenti sono stati tutti parti nel giudizio presupposto, ma hanno presentati distinti ricorsi per il riconoscimento dell’equo indennizzo, con ciò ponendo in essere una fattispecie di abuso del processo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, come espressa nelle pronunce 10634/2010 e 9962/2011, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, la condotta di più soggetti, che dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto, in tal modo dimostrando la carenza di interesse alla diversificazione delle rispettive posizioni, propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale, dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per l’oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo, contrastando con l’inderogabile dovere di solidarietà, che impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante dall’aumento degli oneri processuali, e con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto riguardo all’allungamento dei tempi processuali derivante dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti. Tale abuso non è sanzionabile con l’inammissibilità dei ricorsi, non essendo illegittimo lo strumento adottato bensì le modalità della sua utilizzazione, ma impone per quanto possibile l’eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano, e quindi la valutazione delle spese come se unico fosse stato sin dall’inizio il giudizio.

Le spese del giudizio di primo grado sono dunque liquidate come in dispositivo sulla base del valore della controversia, corrispondente alla somma degli importi riconosciuti ai singoli ricorrenti, ex art. 10 c.p.c., comma 2.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, liquida a favore di ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 3250,00, oltre interessi legali dalla domanda; condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate in Euro 1182,00 per diritti, Euro 1200,00 per onorari, oltre Euro 100,00 per spese, e del presente giudizio, liquidate in Euro 1400,00, oltre Euro 100,00 per spese; oltre spese generali ed accessori di legge; con distrazione a favore dell’avv. Angelo Giuliani, antistatario.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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