Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30050 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 21/11/2018), n.30050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15787-2013 proposto da:

ICA IMPOSTE COMUNALI AFFINI SRL UNIPERSONALE in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE

TIZIANO 110, presso lo studio dell’avvocato SIMONE TABLO’,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO CARDOSI giusta

delega a margine;

– Ricorrente –

contro

BENAZZATO GRU SPA, in persona del Presidente del C.d.A. e legale

rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 23,

presso lo studio dell’avvocato CINZIA DE MICHELI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato PIERO POLLASTRO giusta delega in

calce;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI CESENA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1/2013 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 15 gennaio 2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

ottobre 2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CARDOSI che ha chiesto

l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La I.C.A. – Imposte Comunali Affini – s.r.l. ricorre, nei confronti di Benazzato Gru s.p.a., e del Comune di Cesena, per la cassazione della sentenza, meglio indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Emilia Romagna ha accolto l’appello della contribuente, riformato la sentenza di primo grado, ed annullato l’avviso di accertamento emesso in relazione ad un impianto pubblicitario (due striscioni di 1,5 metri quadri ciascuno) sito in un cantiere edile della (OMISSIS), nel territorio del predetto Comune, per imposta sulla pubblicità, anno 2007.

La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, osserva: che l’adita CTP di Forlì non avrebbe dovuto esaminare le difese del Concessionario della riscossione, ed i documenti tardivamente prodotti “dodici giorni prima della fissata discussione in pubblica udienza, in violazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32”, per cui avrebbe dovuto rilevare il difetto di legittimazione attiva della società I.C.A., in quanto la legittimità della sostituzione della firma autografa del responsabile del procedimento impositivo con la indicazione a stampa del relativo nominativo, ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, richiede pur sempre l’adozione di un provvedimento di livello dirigenziale, nella specie, mancante; che il Concessionario, in luogo dell’allegazione degli atti richiamati nell’impugnato avviso di accertamento, avrebbe dovuto indicarne gli estremi, per porre il contribuente in grado di conoscere tutti gli elementi previsti dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 10, comma 2, e non lo ha fatto; che la insussistenza della natura pubblicitaria dei cartelli apposti sulla gru, recanti il marchio “(OMISSIS)” della impresa costruttrice, discende dalla circostanza che essi non riportano nè l’attività, nè il prodotto dell’impresa, nè tantomeno un numero di telefono, un indirizzo o un recapito di posta elettronica che consentano il contatto con la società, la quale non può essere chiamata a rispondere della omessa dichiarazione di cui al D.Lgs. citato, art. 8, non essendo il soggetto passivo dell’imposta, quello cioè che dispone della gru, il quale, peraltro, in quanto obbligato principale, deve essere preventivamente escusso.

L’intimata società Benazzato Gru resiste con controricorso, mentre il Comune di Cesena non ha svolto attività difensiva; la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, art. 32, comma 1, art. 58, comma 3, nonchè art. 115 c.p.c., error in procedendo, giacchè la sentenza impugnata, per l’effetto nulla, ha rilevato la tardività della costituzione del Concessionario nel giudizio di prime cure, benchè avvenuta nel rispetto del termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, senza considerare che, nella specie, rientra tra le prerogative del diritto di difesa (art. 24 Cost.) esercitabili in giudizio senza preclusioni, quella di contrastare la negazione dei fatti costitutivi della pretesa impositiva esposta dalla contribuente nel ricorso originario, così come quella di proporre una diversa interpretazione delle norme di legge invocate (D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 5, 6 e 10, L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87), e che la produzione irrituale di documenti nel corso del giudizio di primo grado di per sè non preclude alla parte di ripetere la produzione, in secondo grado, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 3, ed al giudicante di porre gli elementi probatori così acquisiti (art. 115 c.p.c.) a base della decisione.

Con il secondo motivo deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al R.D. n. 262 del 1942, art. 15, disposizioni sulla legge in generale, nonchè alla L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, violazione di norme di diritto, giacchè la sentenza impugnata esclude la legittimità della sostituzione della firma autografa del responsabile del procedimento impositivo con la indicazione a stampa del relativo nominativo, difettando un provvedimento autorizzativo di livello dirigenziale, senza considerare l’erroneità del riferimento, contenuto nelle difese della contribuente, al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 10, comma 3, disposizione abrogata dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 172, lett. b), con decorrenza 1 luglio 2007, non più applicabile ratione temporis, poichè l’avviso di accertamento è stato emesso il 28 luglio 2007, ed in ogni caso in quanto il richiamato precedente giurisprudenziale di legittimità non è condivisibile.

Con il terzo motivo deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al R.D. n. 262 del 1942, art. 15 disposizioni sulla legge in generale, nonchè alla L. n. 549 del 1995, art. 10, violazione di norme di diritto, giacchè la sentenza impugnata fa discendere la nullità dell’avviso di accertamento dalla violazione delle prescrizioni contenute in una disposizione (L. n. 549 del 1995, art. 10, comma 3) abrogata.

Con il quarto motivo deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, contraddittoria, illogica, apodittica motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, giacchè la sentenza impugnata esclude tout court l’applicazione della imposta sulla pubblicità in caso di utilizzazione del marchio da parte dell’imprenditore, enfatizzando la circostanza, del tutto pacifica, che la scritta “(OMISSIS)” non era accompagna da altra indicazione che potesse valere come comunicazione pubblicitaria di beni venduti o di servizi svolti, senza considerare che proprio la collocazione degli striscioni sulla gru, bene venduto dalla società Benazzato Gru, determina l’associazione del relativo marchio a detta impresa, circostanza, peraltro, comprovata anche dalla documentazione fotografica versata in atti.

Con il quinto motivo deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 5,12,17,violazione di norme di diritto, giacchè nella esaminata fattispecie non ricorrono i presupposti per l’applicazione della esenzione di cui al D.Lgs. citato, art. 17, comma 1 bis, anche alla luce dello jus superveniens rappresentato dal D.L. n. 16 del 2012, art. 3, comma 16 sexies, conv. In L. n. 44 del 2012, e dal D.M. del 26 luglio 2012.

Con il sesto motivo deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 6,violazione di norme di diritto, giacchè la sentenza impugnata ha escluso la responsabilità della società Benazzato Gru in ordine alle conseguenze dell’omessa presentazione della dichiarazione di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, ipotizzando un insussistente beneficio di escussione preventiva del soggetto passivo dell’imposta, obbligato in via principale verso l’ente impositore.

Il primo motivo è fondato.

In tema di contenzioso tributario, è principio pacifico che “la costituzione in giudizio della parte resistente deve avvenire, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, sicchè, qualora tali difese non siano state concretamente esercitate, nessun altro pregiudizio può derivare al resistente, al quale va riconosciuto il diritto di negare i fatti costitutivi della pretesa attrice, di contestare l’applicabilità delle norme di diritto invocate, nonchè di produrre documenti, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 24 e 32 ” (Cass. n. 6734/2015).

Orbene, la diversa interpretazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 5,6, e 10, offerta, nella memoria depositata il 15 aprile 2008, dal già costituito Concessionario, in relazione alla contestata sussistenza dei presupposti per l’applicazione della imposta sulla pubblicità, alla solidarietà passiva di chi produce o vende merce o fornisce servizi, alla sufficienza motivazionale dell’avviso di accertamento, alla legittimità della sostituzione, ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 1,comma 87, della firma autografa del responsabile del procedimento, con la indicazione a stampa, sull’atto impositivo, del relativo nominativo, nonchè alla legittimità del trattamento sanzionatorio applicato, rientrano, a pieno titolo, tra le mere difese, in quanto non ampliano l’oggetto del giudizio, individuato dall’originario ricorso della contribuente.

La censura di parte ricorrente impone l’esame del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, in considerazione dell’affermazione, contenuta nella decisione impugnata, della inutilizzabilità delle prove documentali prodotte, a sostegno delle proprie difese, dal Concessionario, in primo grado tardivamente, e riprodotte in grado di appello, alla stregua dell’uniforme orientamento di questa Corte – avvalorato dal dato normativo testuale della sopra richiamata disposizione processuale – in ordine alla specialità del rito tributario, che non consente un automatico rinvio formale all’art. 345 c.p.c. ed alle condizioni ivi previste di ammissibilità di nuove prove documentali in grado di appello (Cass. n. 6734/2015; n. 20109/2012; n. 18907/2011; n. 1915/2007).

Il richiamato art. 58, comma 2, infatti, espressamente prevede, e consente, la produzione di nuovi documenti in appello, con la conseguenza che, nel processo tributario, mentre prove ulteriori, rispetto a quelle già acquisite nel giudizio di primo grado, non possono essere disposte in grado d’appello, salvo che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio, i documenti possono essere liberamente prodotti anche in sede di gravame, ancorchè preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cass. n. 22776/2015; n. 3661/2015), a nulla rilevando l’eventuale irritualità della loro produzione in primo grado (Cass. n. 22776/2015; n. 23616/2011).

Orbene, il giudice di appello non ha fatto corretta applicazione delle norme processuali invocate dall’allora appellata allorchè ha ritenuto non valutabili i documenti in questione, sebbene acquisiti al fascicolo processuale, in quanto comunque prodotti in grado di appello e, sotto tale profilo, la sentenza impugnata merita di essere cassata, atteso che “il giudice d’appello può fondare la propria decisione sui documenti tardivamente prodotti in primo grado, purchè acquisiti al fascicolo processuale in quanto tempestivamente e ritualmente prodotti in sede di gravame entro il termine perentorio di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, di venti giorni liberi prima dell’udienza, applicabile in secondo grado stante il richiamo, operato dal citato decreto, art. 61, alle norme relative al giudizio di primo grado” (Cass. n. 3661/2015 cit.).

Il secondo motivo è fondato.

La L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162 (in vigore dall’1 gennaio 2007), prevede che gli avvisi di accertamento dei tributi locali “sono sottoscritti dal funzionario designato dall’ente locale per la gestione del tributo” e, quanto alla sottoscrizione con firma a stampa del responsabile del procedimento, la L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 87, stabilisce che ” la firma autografa prevista dalle norme che disciplinano i tributi regionali e locali sugli atti di liquidazione e accertamento è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, nel caso in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati. “, e questa Corte ha chiarito che si tratta di norma speciale, non abrogata, la quale, pertanto, conserva la sua efficacia (Cass. n. 9079/2015, Cass. n. 6736/2015, Cass. n. 20362/2017), e che, a garanzia del contribuente e della trasparenza della azione amministrativa, il nominativo del funzionario responsabile va individuato con apposito provvedimento di livello dirigenziale (Cass. n. 20628/2017, n. 15447/2010).

Siffatta garanzia, sostiene il contribuente, deve valere non solo nel caso di gestione diretta, ma anche nel caso di gestione in concessione della potestà impositiva, e la tesi, fatta propria dal giudice di appello, troverebbe riscontro nella sentenza n. 9627 del 2012 di questa Corte, secondo cui il “provvedimento di livello dirigenziale” rimanda inequivocabilmente ad un atto della pubblica amministrazione, ipotesi rispetto alla quale la formulazione letterale della norma appare calibrata, ma ciò non di meno, qualora l’imposta sia gestita da un concessionario, “sugli atti di liquidazione e di accertamento prodotti da sistemi informativi automatizzati la firma autografa è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, purchè tale nominativo, nonchè la fonte dei dati, risultino indicati in un apposito atto sottoscritto dal concessionario (o da altro soggetto che da questi abbia ricevuto il relativo potere), destinato ad assolvere alla stessa funzione assolta, nell’ipotesi di gestione diretta dell’imposta da parte dell’ente pubblico impositore, dal “provvedimento di livello dirigenziale” di cui al secondo alinea della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 87″.

Tuttavia, la necessità, ritenuta nella sopra richiamata pronuncia di legittimità, di una “scrittura privata di data certa anteriore alla emissione dell’atto impositivo”, contenente la indicazione del “responsabile dell’emanazione degli atti di liquidazione ed accertamento del tributo”, anche nella ipotesi – che qui si esamina – in cui il legale rappresentante della società concessionaria abbia “mantenuto la responsabilità direttamente su di sè” della relativa procedura automatizzata, non può farsi discendere dalla “interpretazione teleologica” della citata L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 87, stante la sostanziale diversità delle situazioni considerate.

In un caso, infatti, c’è delega di poteri attribuiti – per legge – al dirigente dell’ente pubblico, ad un funzionario responsabile, che per esercitarli legittimamente deve essere preventivamente individuato all’interno della propria organizzazione, appunto, mediante un provvedimento di livello dirigenziale, nell’altro caso, c’è esercizio diretto di poteri che discendono dalla carica ricoperta nell’ambito dell’organigramma della società, nella specie, quella di Amministratore Unico, la cui verifica non richiede provvedimenti di sorta, ma è agevolmente effettuabile tramite il Registro delle Imprese, previsto dall’art. 2188 c.c., e tenuto da apposito ufficio istituito presso le Camere di Commercio.

Del resto, anche il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 11, tiene distinto il caso della gestione diretta (comma 1), prevedendo che “il comune designa un funzionario cui sono attributi la funzione ed i poteri per l’esercizio di ogni attività organizzativa e gestionale dell’imposta sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni; il predetto funzionario sottoscrive anche le richieste, gli avvisi, i provvedimenti relativi e dispone i rimborsi”, dal caso della gestione in concessione (comma 3), prevedendo che “le attribuzioni di cui al comma 1 spettano al concessionario”.

Nella esaminata fattispecie, è incontroverso (v. pag. 20 del controricorso) che l’avviso di accertamento è stato sottoscritto, con le modalità di cui al citato art. 1, comma 87, dall’Amministratore Unico della società I.C.A., concessionaria del servizio di liquidazione, accertamento e riscossione del tributo afferente pubblicità ed affissioni, in forza di convenzione sottoscritta con il Comune di Cesena, e tanto basta, ai fini qui considerati, per ritenere valido l’impugnato avviso di accertamento, pur se privo della sottoscrizione autografa del legale rappresentante della società concessionaria.

Il terzo motivo è fondato.

La sentenza impugnata si appalesa censurabile non solo, e non tanto, perchè continua a parametrare l’obbligo motivazionale ad una norma (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 10), non più vigente al momento dell’emissione dell’impugnato avviso di accertamento, considerato che è la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, a dettare il contenuto minimo di un atto tipico di accertamento che include sia elementi di sostanza, sia elementi di forma, ma perchè applica malamente il principio, affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 11722/2010, secondo cui, nell’ipotesi in cui la cartella esattoriale non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, essa deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, e contenere, quindi, gli elementi indispensabili per consentire al contribuente di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione, ed inoltre, la motivazione può essere assolta per relationem ad altro atto che costituisca il presupposto dell’imposizione, atto del quale, tuttavia, debbono comunque essere specificamente indicati gli estremi, anche relativi alla pubblicazione dello stesso su bollettini o albi ufficiali che eventualmente ne sia stata fatta a sensi di legge, affinchè il contribuente ne abbia conoscenza o conoscibilità.

La ricorrente ha debitamente riportato (pag. 37 del ricorso per cassazione) la parte motiva dell’avviso di accertamento, in cui si fa riferimento a “rilevazioni e (…) verifiche effettuate sul territorio comunale dal personale preposto le cui risultanze vengono specificate nel prospetto riportato a tergo”, sicchè non può revocarsi in dubbio il legittimo utilizzo della c.d. motivazione per relationem, atteso che la norma sopra citata prescrive che “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca – come nel caso di specie è avvenuto – il contenuto essenziale.”

Al riguardo, questa Corte ha espresso il principio, sia pure in tema di ICI, secondo cui “l’obbligo di allegazione all’atto impositivo, o di riproduzione al suo interno, di ogni altro atto dal primo richiamato, previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 (cosiddetto Statuto del contribuente), avendo la funzione di rendere comprensibili le ragioni della decisione, riguarda i soli atti necessari per sostenere quelle ragioni intese in senso ampio e, quindi, non limitate a quelle puramente giuridiche ma comprensive anche dei presupposti di fatto. Ne deriva che sono esclusi dall’obbligo dell’allegazione gli atti irrilevanti a tal fine e gli atti (in specie quelli a contenuto normativo, anche secondario quali le delibere o i regolamenti comunali) giuridicamente noti per effetto ed in conseguenza dell’avvenuto espletamento delle formalità di legge relative alla loro pubblicazione” (Cass. n. 13105/2012, n. 25371/2008, n. 22254/2016, n. 26454/2017).

Il quarto ed il quinto motivo, scrutinabili congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono fondati.

La decisione del giudice di appello non è conforme al dato normativo richiamato, considerato che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, intende assoggettare ad imposizione il messaggio pubblicitario attuato “attraverso forme di comunicazione visive o acustiche”, in quanto espressivo di capacità contributiva, tutte le volte in cui l’uso del segno distintivo dell’impresa o del prodotto (ditta, ragione sociale, marchio) travalica la mera finalità distintiva, che è quella di consentire al consumatore di riconoscere i prodotti o servizi offerti sul mercato dagli altri operatori del settore, orientandone le scelte, per il luogo (pubblico, aperto o esposto al pubblico) ove esso è situato, per le sue caratteristiche strutturali, o per le modalità di utilizzo, essendo oggettivamente idoneo a far conoscere ad un numero indeterminato di possibili acquirenti o utenti il nome, l’attività o il prodotto dell’impresa (tra le altre, Cass. n. 9580/1994, n. 8220/1993, n. 1930/1990, sia pure con riferimento al D.P.R. n. 639 del 1972, art. 6).

La valutazione operata dal giudice di merito si discosta dal consolidato insegnamento di questa Corte, secondo cui il presupposto normativo deve essere individuato nella astratta possibilità del messaggio, in rapporto alla ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, che diventano tali solo perchè vengono a trovarsi in quel luogo determinato (Cass. n. 6714/2017, n. 27497/2014, n. 21161/2009, n. 22572/2008, n. 1930/1990).

Nè vale richiamare la nozione d’insegna di esercizio, che assolve la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività economica, ipotesi che qui non ricorre essendo pacificamente altrove la sede della società Benazzato Gru, per cui non può trovare applicazione l’esenzione dall’imposta sulla pubblicità prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1 bis, primo periodo (Cass. n. 27496/2014).

La sentenza impugnata appare censurabile anche perchè si regge su affermazioni contraddittorie; per un verso, infatti, riconosce che qualsiasi mezzo di comunicazione con il pubblico, indipendentemente dalla ragione e dalla finalità della sua adozione, può risultare oggettivamente idoneo a far conoscere ad una massa indeterminata di possibili acquirenti ed utenti, il nome, l’attività e il prodotto di un’impresa, per altro verso, afferma che la mera scritta “(OMISSIS)” riportata sugli striscioni non costituisce mezzo pubblicitario, sol perchè corrisponde al segno distintivo dell’impresa, e contiene un’informazione pubblicitaria non espressamente riferibile alla società contribuente, essendo la gru ubicata all’interno di un cantiere edile in cui operano soggetti diversi (“chi costruisce materialmente l’immobile o chi abbia appaltato terzi la costruzione dello stesso, per poi rivederlo, o di un altro produttore di materiali per l’edilizia, o la denominazione di un soggetto che affitta gru”), e comunque incompleta (“il potenziale destinatario della asserita pubblicità non avrebbe alcuna indicazione utile per mettersi in contatto con “(OMISSIS)”, posto che su quanto collocato sulla gru non vi era un numero di telefono, nè un indirizzo, nè un recapito di posta elettronica”).

Non appaiono, invero, sufficientemente individuabili i criteri a cui il giudice di secondo grado si è attenuto per scriminare, in concreto, sul piano della rilevanza tributaria, l’uso del segno distintivo in chiave semplicemente identificativa di prodotti e servizi dell’impresa, dall’uso del segno distintivo in chiave pubblicitaria, atteso che quel che conta, ai fini della imposta comunale sulla pubblicità, al di là della intenzioni soggettive, è l’oggettivo risultato conseguito con il messaggio dal soggetto interessato alla pubblicità.

Ed allora, se è pacifico che sulla gru, al termine del montaggio, vennero apposti i due striscioni (ciascuno della superficie di 1,5 metri quadrati) recanti la scritta “(OMISSIS)”, e che detto macchinario costituisce il prodotto dell’attività imprenditoriale esercitata dalla società contribuente, la sentenza impugnata sembra trascurare completamente la relazione materiale esistente tra i predetti striscioni ed il macchinario medesimo, e non spiega perchè il messaggio pubblicitario, invece di essere percepito dai destinatari, con immediatezza, in termini di associazione tra prodotto (la gru) e produttore (la società (OMISSIS)), anche in ragione della dimensione e della ubicazione in “luogo visibile al pubblico” del mezzo pubblicitario, possa essere posto in relazione con la attività d’impresa di altri soggetti, presenti nel cantiere, non essendo indicati gli elementi probatori a supporto di una simile, ipotetica conclusione.

Nè, ai fini della individuazione della portata applicativa del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 5 e 17, può attribuirsi rilievo al criterio dimensionale previsto dalla novella della disciplina dell’imposta sulla pubblicità, ai sensi del D.L. n. 16 del 2012, art. 3, comma 16 sexies, conv. in L. n. 44 del 2012, e del D.M. del 26 luglio 2012 (G.U. n. 185 del 9 agosto 2012) che vi ha dato attuazione, i quali dispongono – per il futuro – una specifica esenzione per il marchio di fabbrica apposto sulle gru mobili, sulle gru a torre adoperate nei cantieri edili e sulle macchine da cantiere.

Il sesto motivo è fondato.

La sentenza gravata ha escluso la legittimità dell’avviso di accertamento notificato esclusivamente alla società (OMISSIS), quale soggetto pubblicizzato, e non anche al soggetto che disponeva della gru recante gli striscioni, ossia l’impianto pubblicitario, il quale avrebbe dovuto presentare la prescritta dichiarazione, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8.

La decisione non è in linea con principi affermati da questa Corte (Cass. n. 7348/2012, n. 9612/2012, n. 7314/2005), a cui il Collegio intende dare continuità, atteso che, “In materia di imposta sulla pubblicità, ove vi è solidarietà nell’obbligazione tributaria tra il soggetto pubblicizzato ed il soggetto che dispone del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso, la responsabilità di quest’ultimo “in via principale” – prevista dal del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 6 – non indica un beneficio d’ordine, bensì si limita a fondare il diritto di rivalsa nei confronti di chi dispone del mezzo attraverso il quale il messaggio viene diffuso. Ne consegue che la legittimità dell’avviso di accertamento al soggetto pubblicizzato non dipende dalla previa o contestuale emissione di altro avviso nei confronti del coobbligato solidale.”.

Giova ricordare, inoltre, che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 557/2000, ha escluso i prospettati profili di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 6, comma 2, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., nella parte in cui non dispone la preventiva escussione dell’obbligato principale e non condiziona il sorgere dell’obbligazione solidale all’esistenza di un effettivo rapporto giuridico-economico tra i due soggetti, osservando, tra l’altro, che “Nella fattispecie in esame non può certo considerarsi estraneo al presupposto di imposta, rappresentato dalla diffusione del messaggio pubblicitario, colui che, svolgendo l’attività economica oggetto della pubblicità, dalla pubblicità stessa trae immediato e diretto vantaggio. E ciò (…) vale ad escludere che la solidarietà passiva a carico di tale soggetto possa risultare lesiva del principio di capacità contributiva garantito dall’art. 53 Cost. Mentre è appena il caso di aggiungere che alla solidarietà passiva nel senso sopra precisato si ricollegano quali necessari corollari il diritto di rivalsa dell’obbligato solidale nei confronti del debitore principale e il diritto al risarcimento del danno nel caso in cui la diffusione del messaggio pubblicitario avvenga in difformità o, come di fatto possibile, in difetto di un sottostante rapporto giuridico. (…) La mancata previsione del beneficio di escussione non si pone, poi, in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto tale beneficio riveste, nella disciplina delle obbligazioni solidali, un carattere eccezionale.”.

Il ricorso, in conclusione, va accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio, per nuovo esame, alla medesima Commissione Tributaria Regionale, in altra composizione, la quale provvederà alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Emilia Romagna, in altra composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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