Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3005 del 11/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3005 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO

ORDINANZA
sul ricorso 7424-2012 proposto da:
MARTINO HAUGE SARA MRTSRA44C57I480L, HAUGE JARLE
ARVID HGA 44E23Z125V, elettivamente domiciliati in ROMA,
PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato
ORLANDO GUIDO, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato PESCE PIERLUIGI, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrenti contro

CONDOMINIO VILLA DEI FIORI VIA XI FEBBRAIO N. 10 VADO LIGURE 80008600092;
– intimato –

avverso la sentenza n. 70/2011 del TRIBUNALE di SAVONA del
26.1.2011, depositata 11 27/01/2011;

Data pubblicazione: 11/02/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
10/12/2013 dal Consigliere Relatore Dott. CESARE ANTONIO
PROTO.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. AURELIO
GOLIA.

Vista la relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. del relatore nominato
per l’esame del ricorso,
Considerato che il ricorso è stato fissato per l’esame in camera di
consiglio e che sono state effettuate :n=s2WE:=EflUiWg5t le
comunicazioni sia al P.G. sia ai ricorrenti che hanno depositato
memoria, replicando alle considerazioni svolte dal relatore, hanno
sostenuto che, contrariamente a quanto ritenuto in relazione la
violazione dei principi regolatori della materia da parte del giudice di
primo grado doveva intendersi implicita nell’atto di appello, non
occorrendo una espressa specificazione dei principi violati.
Questa Corte

Osserva in fatto
1. Con sentenza depositata il 27/1/2011 il Tribunale di Savona
dichiarò inammissibile l’appello proposto dai sigg.ri Hauge Jarle Arvi e
Martino Auge Sara avverso la sentenza emessa dal Giudice di Pace di
Savona con la quale era stata rigettata la loro opposizione al decreto
con il quale era loro ingiunto il pagamento, a favore del Condominio
Villa dei Fiori, via XI Febbraio 10 Vado Ligure, di spese condominiali
per l’importo di curo 958,00 per spese condominiali.
Il Tribunale rilevò che la sentenza emessa dal Giudice di Pace era stata
pronunciata secondo equità in quanto di valore inferiore a euro
1.100,00 e che pertanto non era appellabile se non per la violazione dei
principi regolatori della materia che tuttavia non erano stati evidenziati,
Ric. 2012 n. 07424 sez. M2 – ud. 10-12-2013
-2-

***

nell’appello; le successive censure indicate nella comparsa
conclusionale erano tardive e inammissibili.
2. I ricorrenti propongono ricorso per cassazione deducendo, quale
unico motivo, la violazione dell’art. 338 c.p.c. in relazione all’art. 360
nn. 3 e 5 c.p.c. sostenendo che:

in violazione dei principi che regolano la concessione e la revoca dei
decreti ingiuntivi;
– nell’atto di appello avevano sostenuto che il capitale richiesto in sede
monitoria non corrispondeva a quello effettivamente dovuto;
– che nel primo grado avevano prodotto documentazione attestante
l’integrale estinzione del debito;
– che a fronte di pagamenti anche parziali prima dell’emissione del
decreto ingiuntivo o durante il giudizio di opposizione il decreto
doveva essere revocato;
– che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è limitato alla
verifica delle condizioni di ammissibilità e validità del decreto, ma si
estende anche ai fatti costitutivi, modificati ed estintivi con riferimento
al momento della sentenza;
– che il Tribunale non doveva arrestarsi ad una pronuncia di
inammissibilità dell’appello, ma decidere nel merito;
– che deve invece affermarsi l’ammissibilità dell’appello delle sentenze
pronunciate dal Giudice di Pace secondo equità quando in principi
informatori della materia che si intendono violati emergano dal
contenuto dell’atto senza necessità di formule esplicite o sacramentali.

Osserva in diritto
3. La sentenza del Giudice di Pace, in quanto pubblicata
successivamente alla modifica apportata dal D.L. 2 febbraio 2006, n.
40, è regolata dall’art. 339 c.p.c., comma 3, come modificato dal D.L.
Ric. 2012 n. 07424 sez. M2 – ud. 10-12-2013
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– la sentenza del Giudice di Pace era appellabile in quanto pronunciata

n. 40 del 2006, art. 1, il quale statuisce che “Le senten.ze del Giudice di

Pace, pronuiqiate secondo equità a norma dell’art. 113 cp.c., comma 2, sono
appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per
violazione di norme costitnionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della
materia”.

seppure con riferimento al ricorso per Cassazione nel sistema anteriore
alla riforma del 2006, ma con riferimento alla formulazione del motivo
di impugnazione e, quindi, con principi applicabili anche ai motivi di
appello, ha affermato che in tema di giudizio di equità, i principi
informatori della materia non rappresentano una regola di giudizio, ma
una limitazione del potere discrezionale nel determinare la regola
equitativa del caso concreto, giacché il risultato della scelta operata dal
giudice, pur potendo non coincidere con quello raggiunto dal
legislatore, dovrà necessariamente rispettare i principi ai quali questi si
è ispirato nel disciplinare la materia.
Pertanto, il ricorso che denunci la violazione di un principio
informatore della materia deve con chiarezza indicare specificamente
quale sia il principio violato e come la regola equitativa individuata dal
giudice di pace si ponga in contrasto con esso, trattandosi di principi
che – non essendo oggettivizzati in norme – devono essere prima
individuati da chi ne lamenta la violazione e soltanto successivamente
verificati dal giudice di legittimità prima nella loro esistenza e quindi
nella loro eventuale violazione (Cass. 284/2007; Cass. 8466/2010).
Nella specie, il Tribunale, nella sentenza impugnata con il ricorso, non
solo ha rilevato che l’appellante non aveva individuato gli eventuali
principi regolatori della materia che sarebbero stati violati, ma anche
che le successive censure, formulate solo in comparsa conclusionale
erano tardive e inammissibili.
Ric. 2012 n. 07424 sez. M2 – ud. 10-12-2013
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Come evidenziato nella relazione del giudice relatore, questa Corte,

L’atto d’appello è strutturalmente e funzionalmente diverso dall’atto
introduttivo del processo di primo grado, non contiene una domanda
giudiziale (che è già contenuta nella citazione in primo grado) e deve
invece contenere ex art. 342 c.p.c., anche nella formulazione
previdente alla modifica introdotta con il D.L. n. 83 del 2012,
pena

l’inammissibilità; in altri termini, l’appellante doveva e deve indicare a
pena di inammissibilità i motivi specifici dell’impugnazione
individuando esattamente il limite violato dal giudice di pace nel
decidere secondo equità e specificando i principi regolatori che ritiene
violati nel caso di specie; solo a queste condizioni il giudice di appello
è tenuto ad emettere una pronuncia stricto iure.
Pertanto correttamente il giudice di appello ha rilevato la mancata
indicazione, nei motivi di appello, dei principi regolatori della materia
che sarebbero stati violati, ha deciso nell’ambito del “devolutum” e ha
dichiarato l’inammissibilità dell’appello tenuto conto
dell’inammissibilità delle censure formulate solo in comparsa
conclusionale e quindi tardive e non essendo stato dedotto, come
motivo di appello, il superamento, da parte del giudice di primo grado,
del potere discrezionale nel determinare la regola equitativa del caso
concreto.
Solo con il ricorso per cassazione i ricorrenti formulano il motivo che,
avrebbero dovuto formulare con l’atto di appello, ma, nella sostanza,
introducono una questione di merito che attiene alla riferibilità di
alcuni pagamenti ai crediti azionati con il decreto ingiuntivo.
4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato per manifesta
infondatezza.
Non v’è luogo a pronunciare sulle spese di questo giudizio di
Cassazione in quanto l’intimato non ha svolto difese.
Ric. 2012 n. 07424 sez. M2 – ud. 10-12-2013
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“Pesposione sommaria dei fatti e i motivi d’impugnazione”,

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10/12/2013.

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