Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3005 del 10/02/2010

Cassazione civile sez. II, 10/02/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 10/02/2010), n.3005

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – rel. Consigliere –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.R. C. F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CUNFIDA 20, presso lo studio dell’avvocato BATTAGLIA

MONICA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PISCOPO

FRANCESCO, CAPASSO FRANCESCO;

– ricorrente –

contro

C.G. C. F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 479/2004 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 10/08/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

03/12/2009 dal Consigliere Dott. MENSITIERI Alfredo;

udito l’Avvocato FRANCESCO PISCOPO con Procura Speciale Notarile

difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e

compare altresì l’Avvocato MONICA BATTAGLIA. Entrambi si

costituiscono con procura speciale notarile N Rep. 85077 del 2/12/09

– Monza Notaio Avv. MARIO ERBA;

nessuno compare quale difensore del resistente non costituito;

udito il P. M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso o in subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata nell’ottobre 1994 C.G. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Udine, il nipote R., figlio del defunto fratello Ce.Ge., per sentir accertare che l’immobile sito in (OMISSIS), era in sua esclusiva proprietà, sicchè abusivamente il nipote l’aveva occupato, con la condanna del predetto al rilascio del bene ed al risarcimento del danno provocato. Resisteva il convenuto chiedendo il rigetto dell’avversa domanda in quanto lo zio non era proprietario del bene da lui occupato alla morte del padre ed in via riconvenzionale instava per la declaratoria di nullità del contratto con il quale Ce.Ge. aveva venduto al fratello G. la quota della metà della casa contesa in causa per vizio della volontà.

Acquisiti documenti, espletata CTU ed escussi testi il Tribunale adito, con sentenza del 5.11.2002, accoglieva la domanda dell’attore, accertando il suo diritto di proprietà esclusiva sull’immobile conteso, ordinando al nipote la pronta restituzione del bene e condannandolo alla rifusione dei danni da occupazione e delle spese di lite.

Proposto gravame da C.R., con sentenza del 10 agosto 2004 la Corte giuliana rigettava l’impugnazione e condannava l’appellante alle maggiori spese del grado.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione C. R. sulla base di sei motivi. Non ha spiegato attività difensiva in questa sede l’intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, si denunzia errata interpretazione ed applicazione della L.R. 4 luglio 1979 n. 35;

violazione della normativa regionale in riferimento al contratto intervenuto in data (OMISSIS) tra i due fratelli ed il Comune di (OMISSIS).

Ripropone in sostanza il ricorrente le doglianze da lui svolte con il primo motivo del gravame di merito con il quale aveva lamentato la violazione della disciplina posta dalla L.R. Friuli e Venezia Giulia n. 35 del 1979 non avendo il giudice di prime cure rilevato che, negli atti confezionati dalla parte richiedente della procedura amministrativa concernente l’erogazione del contributo pubblico per la ricostruzione dell’edificio abbattuto a seguito del terremoto del (OMISSIS), come proprietario del nuovo lotto assegnato in luogo dell’immobile in precedenza posseduto risultava essere o il solo Ce.Ge. ovvero questi ed esso figlio R.; mai il fratello G..

Doglianze confutate dalla Corte territoriale con motivazione adeguata, esente da vizi logici e da errori giuridici e pertanto incensurabile nella attuale sede di legittimità.

Ha invero affermato il giudice d’appello nella qui gravata pronunzia:

Come evidenziato rettamente nella decisione di prime cure la disciplina portata dalle leggi regionali in “subiecta materia”, quella fondamentale L.R. n. 63 del 1977 e quella di modifica del 1979 invocata nell’atto d’impugnazione, espressamente faceva salvo il regime di proprietà esistente circa i beni immobili interessati dai provvedimenti afferenti la ricostruzione post terremoto.

Semplicemente erano previste forme semplificate per l’erogazione delle provvidenze in caso di comproprietà, non già mediante l’ablazione del diritto reale ai comproprietari, bensì mediante la previsione di erogazione ad uno solo dei condomini che avevano presentato domanda di contributo, individuato secondo dati parametri.

Dunque a nulla circa il regime della proprietà rilevavano e la circostanza che l’unico soggetto destinatario del contributo fosse Ce.Ge. e che questi, in alcuni atti della procedura amministrativa, per poter realizzare una casa di maggiori dimensioni, aveva indicato come comproprietario e facente parte del suo nucleo familiare il figlio R., in realtà residente a (OMISSIS).

Difatti era dato incontestato e provato dalla documentazione in atti che, in origine, i germani C. erano comproprietari, in quota indivisa di un mezzo ciascuno, di un immobile sito in (OMISSIS) gravemente danneggiato dall’evento sismico del (OMISSIS). A seguito di ciò il Comune di detta città non solo aveva ordinato l’abbattimento dell’edificio pericolante, ma anche espropriato l’area, secondo le norme speciali emanate in seguito all’emergenza terremoto. Quindi, in forza della normativa ex L.R. n. 63 del 1911, i titolari dell’immobile espropriato avevano diritto all’assegnazione di un nuovo immobile in proprietà dal locale Comune ed a un contributo per erigere nuova casa adeguata al loro nucleo familiare.

Così erano state presentate domande e da Ce.Ge. e da G., ma risultando esistente nella casa abbattuta un solo alloggio atto al nucleo familiare di una sola persona, il contributo era stato assegnato a Ce.Ge. come da provvedimento di detto Comune dell’ottobre 1982. In un successivo momento – aprile 1986 – per ottenere un contributo adeguato a costruire una nuova casa di maggior superficie, Ce.Ge. aveva asserito che il figlio R. era appartenente al suo nucleo familiare.

In sostanza però alcun rilievo assumevano i dati presenti in alcuni atti della procedura amministrativa per l’erogazione del contributo, posto che la normativa regionale non incideva sui diritti reali esistenti in capo ai titolari degli immobili sinistrati od espropriati per esigenze di sicurezza pubblica, ma soprattutto perchè l’iter amministrativo delle provvidenze aveva conclusione con l’assegnazione di nuovo immobile in proprietà al Comune. Solo in tale momento si verificava l’acquisto del diritto di proprietà sul bene assegnato in esito alle provvidenze post terremoto, non esistendo prima alcun diritto reale in capo al destinatario del contributo.

Il che era avvenuto, posto che il (OMISSIS) era intervenuto specifico contratto tra il Comune di (OMISSIS) da un lato e Ce.

G. e C.G. dall’altro, con il trasferimento del diritto di proprietà in misura di metà ciascuno relativamente all’immobile sub mappali (OMISSIS), esattamente il sedime sul quale risultava eretta la casa oggetto di causa. Nella premessa del contratto si dava atto che ambedue i germani C. avevano presentato domanda di concessione in proprietà del nuovo lotto, quali comproprietari dell’immobile espropriato, il che risultava confermato dalla stessa documentazione dimessa dall’appellante, attuale ricorrente.

Essendo dato certo che con il contratto “de quo” il Comune, precedente titolare dell’area in questione, aveva ceduto la proprietà dell’immobile neo costruito metà a Ge. e per l’altra metà a C.G., non corrispondeva alla realtà documentale l’asserzione di parte appellante che non risultava chiaro in forza di quale titolo G. era divenuto comproprietario con il fratello Ge. dell’immobile in discorso. Mai, quindi, C.R., attuale ricorrente, era stato comproprietario dell’edificio abbattuto e del sedime espropriato, come mai il predetto a prescindere dalle affermazioni del genitore presenti in alcuni atti della procedura amministrativa, tesi esclusivamente ad ottenere un maggior contributo pubblico, era divenuto comproprietario del nuovo immobile assegnato.

Con il terzo ed il quarto motivo, anch’essi da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, si deduce errata interpretazione della volontà del “de cuius”, nonchè violazione delle norme testamentarie.

Rileva il ricorrente che il testamento del Ce.Ge. con il quale il predetto revocava qualsiasi precedente disposizione testamentaria e nominava suo erede universale il figlio C. R. al quale disponeva venissero devoluti la casa ed i terreni siti in Comune di (OMISSIS), contrastava con l’atto di assegnazione comunale del (OMISSIS) che assegnava i terreni ad entrambi i fratelli Ge. e G. in forza di una pretesa domanda di assegnazione congiunta di proprietà rilevabile in atti. Deduce che a seguito del decesso del genitore aveva preso possesso della proprietà rispondendo ad una lettera dello zio G. del 12 settembre 1989, precisando che il padre Ge. non poteva firmare l’atto del (OMISSIS) non essendone in grado, ed altresì che G. aveva rivendicato la proprietà solo nel 1994, peraltro con un atto che gli assegnava soltanto il 50% dell’unità immobiliare.

Le censure non hanno pregio.

La Corte territoriale, nel rigettare le omologhe doglianze avanzate dall’attuale ricorrente in sede di gravame di merito, ha osservato che il testamento di Ce.Ge., anche se specificamente indicava il bene oggetto di devoluzione successoria, nè prevaleva sulla successiva vendita, essendo atto unilaterale destinato ad acquistare valore dopo la morte del testatore, nè costituiva il diritto di proprietà, se già esso non esisteva per altro titolo.

Ovviamente, ad avviso di quel giudice, la qualità di erede, ancorchè testamentario, del padre G. autorizzava C. R. a prender possesso dei soli beni dei quali era titolare il genitore, non anche di quelli che erano stati in sua proprietà durante la vita, ma erano stati venduti. Certamente, per ignoranza della nuova situazione, l’attuale ricorrente poteva in buona fede ritenere che il padre fosse, ancora, proprietario del bene ricostruito con le provvidenze post terremoto in quanto, in concreto, non abitava col genitore bensì in località vicino a (OMISSIS), ma di certo tale buona fede era venuta meno quando lo zio G. gli aveva richiesto motivatamente la restituzione dell’immobile con la nota del 12 settembre 1989. Quanto poi alla capacità del Ge.

sulla scorta dell’analisi delle sue condizioni di salute – malato terminale per neoplasia polmonare – e della significativa circostanza che il testamento redatto a favore del figlio e da questi usato come titolo di legittimazione era stato confezionato esattamente il giorno dopo che il Comune aveva venduto ai germani C. l’immobile e venti minuti prima che Ge. vendesse al fratello G. la sua quota di metà, ha dato atto la Corte Giuliana che se Ge.

era capace di intendere e di volere quando testava, di certo lo era anche il giorno prima e venti minuti dopo, come peraltro ricordato da tutti i testi escussi in sede penale con riguardo alle circostanze della confezione dei vari atti pubblici.

Ebbene, come ognun vede, tali considerazioni, tese a confutare la dedotta violazione di norme testamentarie, neppur specificate dal ricorrente, appaiono sorrette da motivazione adeguata, esente da vizi logici e da errori giuridici, come tale insindacabile nell’attuale sede.

Con il quinto motivo si denunzia errata attribuzione dei danni subiti dall’immobile, contestandosi la valutazione in merito della Corte territoriale.

La doglianza non può essere accolta giacchè sul punto la Corte del merito, con motivazione del pari incensurabile in questa sede, ha dato atto, sulla scorta dalla CTU, che l’unica posta collegata al danno, comprovatamente provocato dal C.G., risultava essere la chiusura con chiodi dell’oscuro relativo ad una finestra.

In proposito l’ausiliare aveva verificato non già l’esistenza del danno alla finestra, bensì all’oscuro relativo, in dipendenza delle incongrue contromisure adottate da C.R. e quindi conseguenza riferibile effettivamente all’attuale ricorrente. Ed ha aggiunto quel giudice, quanto a tutte le altre denunciate poste di danno, che non vi era in atti, se si eccettuavano le parole dette dal C.R. al consulente, elemento probatorio alcuno che consentisse di imputarle ad azioni illecite di G., sicchè bene il primo giudice aveva addossato al possessore ( C.R.) l’onere del loro ristoro.

Con il sesto motivo si deduce infine “mancato diritto alla difesa”.

Osserva il Collegio che parte ricorrente riformula in questa sede tutta una serie di censure relative alla mancata ammissione delle sue istanze istruttorie – consulenza medico legale e testi – dettagliatamente confutate dalla Corte triestina nella qui gravata pronunzia (vedi le pagine da 18 a 21) e che pertanto non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità non avendo il C.R. introdotto elementi di novità rispetto a quanto già denunciato in sede di gravame di merito.

Va aggiunto che il giudice “a quo” si è dato anche carico di evidenziare che i vari procedimenti penali, di cui è cenno nel formulato motivo di ricorso, erano stati tutti definiti con archiviazione, sicchè assolutamente inesistente risultava la denunziata circonvenzione d’incapace. Alla stregua delle svolte argomentazioni il proposto ricorso va respinto, mentre il ricorrente evita le spese di questo giudizio, stante la mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2010

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