Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30048 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. I, 31/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 31/12/2020), n.30048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso R.G.N. 16120/2019 proposto da:

A.Y., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

allegata al ricorso, dall’Avvocato Roberto Valenza, presso il cui

studio in Roma, alla Via Cesare Pavese n. 141, è elettivamente

domiciliato;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata il

17/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2020 dal Consigliere Dott.ssa Irene Scordamaglia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da A.Y., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di quella città del 17 dicembre 2018, che aveva rigettato il ricorso avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale.

1.1. In particolare, la Corte di merito ha motivato il diniego delle domande di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria evidenziando come: I.) il racconto del richiedente desse conto soltanto di fatti suscettibili di integrare condotte di reato (l’omicidio di un compagno nel corso di una reciproca esplosione di spari per testare la potenza dei rispettivi amuleti magici); II.) il timore nutrito dal richiedente di essere perseguito dalla giustizia del (OMISSIS) fosse del tutto soggettivo; III.) in quel Paese, in cui non sussisteva, peraltro, neanche un conflitto armato, non vi fosse notizia di trattamenti disumani in danno della popolazione carceraria. La stessa Corte ha giustificato il diniego del riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria con il riferimento alla mancata allegazione da parte del richiedente di una sua peculiare situazione di vulnerabilità.

2. Per la cassazione della decisione ricorre A.Y. sulla base di cinque motivi.

3. L’intimato Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in riferimento al diritto del ricorrente al riconoscimento della protezione internazionale, e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,7 e 8. Si deduce che la Corte territoriale, se avesse compiutamente valutato le dichiarazioni del richiedente, che aveva messo in correlazione la propria fuga dal (OMISSIS) con le persecuzioni subite in ragione della propria appartenenza all’etnia (OMISSIS), in seno alla quale è praticato il rito magico del (OMISSIS) – rito praticato anche dal ricorrente su imposizione del nonno che all’uopo gli aveva somministrato sostanze vegetali le quali avevano alterato le sue capacità psico-volitive – avrebbe dovuto riconoscergli la tutela prevista a favore dei rifugiati per motivi etnici, in considerazione della discriminazione subita in (OMISSIS) da quanti praticano la magia.

Il motivo è inammissibile.

Parte ricorrente si duole, sostanzialmente, del fatto che la Corte territoriale avrebbe travisato il contenuto del motivo di appello attinente al diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, posto che a fondamento della domanda sarebbero state allegate le persecuzioni cui il richiedente si sarebbe trovato esposto nel Paese di origine in quanto appartenente all’etnia (OMISSIS) – discriminata perchè accusata di praticare riti magici – e non, come invece ritenuto dalla Corte di merito, il “mero timore di subire un processo e di conseguire una sanzione carceraria”. Tuttavia, ai fini dell’ammissibilità del motivo proposto, la stessa parte, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, avrebbe dovuto riportare il testo del motivo di appello; onere del quale non si è fatta carico.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28.07.1951, ratificata in Italia con la L. n. 722 del 1954, nonchè le norme della Convenzione Europea dei Ditti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, ratificata in Italia con la L. n. 848 del 1955, richiamato dal T.U. n. 286 del 1998, art. 13 e la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Si ascrive alla Corte territoriale di avere respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, avanzata dal richiedente, che ne avrebbe avuto diritto in ragione delle violenze e dei soprusi cui egli si sarebbe trovato esposto nel Paese di origine, a causa dell’instabilità, ivi esistente, per i gravi scontri di carattere etnico e religioso, sulla sola base del giudizio di non credibilità del suo racconto.

Il motivo è inammissibile.

Il diniego del riconoscimento dello status di rifugiato è stato motivato dalla Corte di appello evidenziando come il timore nutrito dal richiedente (che aveva precisato di non sapere neppure se gli fosse stato contestato un reato) di subire un processo e di essere sottoposto ad una sanzione detentiva (a seguito dell’uccisione involontaria di un amico) non fosse tale da integrare gli estremi della protezione prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 senza alcun apprezzamento della credibilità del suo racconto. Tale rilievo vale a porre in risalto l’eccentricità della formulata censura rispetto alla ratio sottesa alla decisione sulla domanda.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; dell’art. 115 c.p.c.. Si assume che le dichiarazioni del richiedente non sarebbero state vagliate al lume del protocollo valutativo stabilito dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 che impone al giudice di merito di apprezzarle alla luce delle informazioni officiosamente acquisite sul Paese di origine ed integrando le carenze probatorie riscontrate nella domanda. Ci si duole, altresì, del fatto che la Corte territoriale avrebbe disatteso la richiesta di protezione umanitaria senza tener conto del grave trauma subito dal richiedente per effetto dell’uccisione involontaria del suo avversario nei riti (OMISSIS) (trauma che l’aveva indotto ad abbandonarli, con il rischio, però, di esporsi alle ritorsioni di quanti li praticavano, lasciati liberi di agire dalla polizia (OMISSIS)), della condizione di indigenza nella quale egli versava nel Paese di origine e della situazione di preoccupazione e turbamento vissuta in Libia.

Il motivo è inammissibile.

Il giudice di merito non era tenuto ad alcuna implementazione istruttoria.

Il fatto costitutivo del diritto al riconoscimento della protezione maggiore – per come delineato nel giudizio di merito – non è stato ritenuto carente dal punto di vista probatorio, ma semplicemente non qualificato come idoneo ad integrare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Nessuna utile allegazione è stata, invece, effettuata dal richiedente a fondamento della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, come si evince dalla sentenza impugnata, nella quale si è dato conto di come nulla fosse stato neppure dedotto in riferimento ad un suo particolare stato di vulnerabilità. Deve, quindi, ripetersi che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non ne esclude l’onere di precisa ed affidabile allegazione, posto che la materia della protezione internazionale non si sottrae al principio dispositivo, pur nei limiti riguardanti il principio della cooperazione istruttoria del giudice (Sez. 6 – 1, n. 19197 del 28/09/2015, Rv. 637125).

Gli ulteriori rilievi sviluppati in punto di protezione umanitaria risultano, pertanto, del tutto scollegati dalle ragioni poste a fondamento della decisione sul punto e mirano, in maniera non consentita, a riprodurre le cadenze del giudizio di merito.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, e violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si ascrive alla Corte territoriale di non avere tenuto conto del principio del “non-refoulement”, che vieta il respingimento o l’espulsione dello straniero che possa essere oggetto di persecuzione nel Paese di destinazione o che corra il rischio di essere rinviato in altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.

Il motivo è inammissibile.

E’ pur vero che la norma di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, in combinato disposto con quella di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, lett. d), introduce una misura umanitaria a carattere negativo, che conferisce al beneficiario il diritto a non vedersi nuovamente immesso in un contesto di elevato rischio personale (Sez. 1, n. 3875 del 17/02/2020, Rv. 657059), ma nel caso di specie della misura evocata non è dato ravvisare i concreti presupposti.

5. Con il quinto motivo si denuncia violazione ed errata applicazione della L. n. 1423 del 1956, art. 1 richiamato dal T.U. n. 286 del 1998, art. 13 e violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, per violazione del diritto di difesa del richiedente in conseguenza della mancata traduzione in una lingua a lui comprensibile del provvedimento di diniego della protezione umanitaria.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non ha adempiuto all’onere di dimostrare, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di avere eccepito la violazione del diritto di difesa, per mancata traduzione della comunicazione della decisione negativa della Commissione territoriale competente, dinanzi al Tribunale (Sez. 6, n. 18493 del 08/09/2011, Rv. 618980; conf. Sez. 1, n. 16470 del 19/06/2019, Rv. 654638): onere cui non poteva sottrarsi, anche in ragione del silenzio serbato sul punto nella sentenza impugnata.

6. Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile. Nulla è dovuto per le spese perchè l’Amministrazione intimata è rimasta tale. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis dovrà essere versato dal ricorrente se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

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