Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30048 del 14/12/2017
Civile Sent. Sez. 2 Num. 30048 Anno 2017
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: ORICCHIO ANTONIO
SENTENZA
sul ricorso 27662-2012 proposto da:
VALENTINI
SANDRO
VLNSDR38S01L103Y,
elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA ENRICO ACCINNI 63, presso lo
studio dell’avvocato ACHILLE CARONE FABIANI,
rappresentato e difeso dall’avvocato GUERINO D’ANGELO
GALLO;
– ricorrente –
2017
contro
2280
CHIARUGI CORRADO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE MAZZINI 114 B, presso lo studio dell’avvocato
ANDREA GUIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato
SERGIO GABRIELLI;
Data pubblicazione: 14/12/2017
- controricorrente
–
avverso la sentenza n. 989/2012 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 05/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/09/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO
ORICCHIO;
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato CARONE FABIANI Achille, con delega
depositata in udienza dell’Avvocato D’ANGELO GALLO
Guerino, difensore del ricorrente che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato GUIDI Andrea con delega orale
dell’Avvocato GABRIELLI Sergio, difensore del
resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso.
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Fatti di causa
Valentini Sandro, quale titolare dell’omonima impresa edile,
conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Teramo Sezione Distaccata di Giulianova Chiarugi Corrado, con il
quale, in data 20 gennaio 1996, aveva stipulato un contratto
sita nel Comune di Alba Adriatica ed oggetto di un piano di
lottizzazione per la costruzione di un complesso edificatorio
sulla base di progetti predisposti dal convenuto medesimo.
Parte attrice esponeva, quindi, che’ il contratto preliminare
prevedeva l’obbligo del promissario acquirente di realizzare
le opere edilizie assentite, con cessione del 18% dei
manufatti al promittente venditore, il quale avrebbe dovuto
provvedere al necessario per il rilascio della concessione
edilizia, attività di poi non svolta e che aveva impedito il
contratto definitivo da rogitare entro sessanta giorni dal
rilascio della stessa concessione.
L’attore chiedeva la risoluzione del detto preliminare per
inadempimento colpevole del convenuto con condanna di
quest’ultimo al risarcimento del danno nella misura di C
154.937,07, oltre interessi e rivalutazione.
Parte convenuta, contestando l’avversa domanda, eccepiva
la nullità del preliminare per violazione dell’art. 18 L.n.
47/1985, nonché per indeterminatezza ed indeterminabilità
dell’oggetto del negozio ; deduceva che la risoluzione
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preliminare per l’acquisto di un’area edificabile di mq. 9121
automatica del contratto ex art. 7 dello stesso si era
comunque verificata per fatto e colpa dell’attore, cui
incombeva il pagamento degli oneri concessori accessori e
chiedeva , in via riconvenzionale, la risoluzione del
preliminare per inadempimento dell’attore, con condanna di
per mancato guadagno dall’utilizzazione dell’immobile.
L’adito Tribunale, con sentenza n. 183/2006, disattendeva
l’eccezione di nullità, rigettava la domanda attorea,
accoglieva parzialmente la riconvenzionale e , per l’effetto,
dichiarava risolto il preliminare per grave inadempimento
dell’attore consistito nel mancato versamento delle somme
per il rilascio della concessione edilizia, rigettando la
medesima domanda riconvenzionale quanto all’istanza di
risarcimento.
La sentenza del Tribunale di prima istanza era gravata dal
Chiarugi con appello principale, resistito dall’appellato, che
interponeva – a sua volta- appello incidentale.
L’adita Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza
n.
989/2012; rigettava l’appello incidentale ed , in parziale
accoglimento dell’appello principale, condannava il Valentini
-oltre che alla refusione delle spese del doppio grado del
giudizio- al risarcimento del danno conseguente alla
risoluzione del preliminare de quo e quantificato nella
misura di C 22.500,00 (così determinata quale perdita di
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quest’ultimo al risarcimento danni nella misura di C 460mila
commerciabilità
dell’area
edificabile
dalla
data
del
preliminare a’y quella della risoluzione) , oltre rivalutazione
ed interessi.
Per la cassazione della suddetta decisione della Corte
territoriale ricorre il Valentini, con atto affidato a tre ordini di
Entrambe le parti in causa hanno de .positato memorie.
Ragioni della Decisione
1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di
“violazione i legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. e in
particolare per erronea e falsa applicazione dell’art. 116
c.p.c. nella valutazione dell’art. 8/d del preliminare”.
Il motivo non può essere accolto.
Lo stesso, innanzitutto, confonde erroneamente una
questione di interpretazione di una norma contrattuale
(quella sull’incombenza dell’obbligo di corresponsione degli
oneri) con la violazione di legge in tema di valutazione
delle prove da parte giudice ex art. 116 c.p.c..
Al di là del corretto accertamento svolto dalla Corte del
merito ( per cui la norma contrattuale espressamente
prevedeva l’incombenza del detto onere in capo al Valentini)
deve rammentarsi che “le violazioni degli artt. 115 e 116
c.p.c. sono apprezzabili nei limiti del vizio di motivazione
descritto nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e devono
pertanto emergere direttamente dalla lettura della sentenza
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motivi e resistito con controricorso dal Chiarugi.
e non già del riesame degli atti” Cass. n.ri 2707/2004 e
14267/2006).
Sotto altro profilo, poi, va evidenziato che, quanto al preteso
cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da
parte del giudice del merito, “in tema di ricorso per
sancisce il principio della libera valutazione delle prove,
salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio
di cui all’art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando il giudice di
merito disattenda tale principio in assenza di una deroga
normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti
secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza
probatoria soggetta ad un diverso regime”. (Cass. civ., Sez.
Terza, Sent. 10 giugno 2016,n. 11892) .
Il motivo va, dunque, respinto.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce , ai sensi
dell’art. – 360, n. 5 c.p.c., il vizio di “omesso esame di un
fatto” ovvero – più specificamente – “omessa valutazione
degli effetti della lettera del 5 aprile 1997”.
Il motivo, per la precisione, fa rifermento alla valutazione
degli effetti della lettera del 5 aprile 1997 del Chiarugi con
richiamo a precedente nota del 28 dicembre 1996 al fine
della fissazione di termine di adempimento ex art. 1454 c.c.
per la risoluzione di diritto del preliminare inter partes.
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cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che
Il motivo, al quale si applica ratione temporis l’art. 360, n. 5
c.p.c. nel testo oggi non più vigente, non è ammissibile.
Esso tende ad una inammissibile rivalutazione in fatto del
ragionamento decisorio del giudice del merito, il quale – è
bene chiarire- ha incentrato il proprio decisum, in assenza di
motivo in esame, sulla “ferma volontà di rescissione del
contratto” del medesimo Valentini.
Inoltre la stessa doglianza di cui al motivo in esame fa
inammissibile confusione fra errata considerazione di un
fatto e pretesa omessa valutazione e carenza motivazionale.
In ogni caso la censura
costituisce -allo stato degli atti-
questione nuova (non risultante come già svolta nei pregressi
gradi del giudizio) o comunque, come tale, ritenuta in difetto di
ogni altra dovuta opportuna allegazione.
Infatti ” i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a
pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel
tema del decidere del giudizio
di
appello, non essendo
prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni
nuove o nuovi terni di contestazione non trattati nella fase di
merito né rilevabili d’ufficio.” ( Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 30
marzo 2007, n. 7981 ed, ancora e più di recente, Sez. 6 1, Ordinanza, 9 luglio 2013, n. 17041).
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ogni specifico richiamo alle odierne lettere richiamate col
Il motivo è, quindi, inammissibile.
3.-
Con il terzo motivo del ricorso si prospetta il vizio di
violazione e falsa applicazione dell’art 1126 in relazione
all’art. 1454 c.c. ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c..
Col motivo qui in esame si deduce l’erroneità della gravata
tenuta presente dalla Corte nella valutazione del danno
liquidato ovvero del suo ancoraggio dalla stipula del
preliminare (20 gennaio 1996) e non, invece, come
prospettato e preteso dalla parte ricorrente dalla scadenza
della diffida ad adempiere (9 aprile 1997).
Il motivo è del tutto infondato in quanto il detto termine di
decorrenza, pure preteso in ricorso, non poteva essere
utilizzato- , una volta ritenuto dal Giudice del merito ( come
già esposto innanzi sub 2) la prevalenza della volontà del
Valentini di rescindere il compromesso.
Il motivo, in quanto infondato, va -dunque- respinto.
4.- Il ricorso va, pertanto, rigettato.
5.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così
come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in
favore del contro ricorrente delle spese del giudizio,
determinate in C 3.700,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre
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decisione in relazione alla questione i della data di decorrenza
spese genérali nella misura del 15% ed accessori come per
legge.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Seconda
Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il
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26 settembre 2017.