Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30046 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. I, 31/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 31/12/2020), n.30046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso R.G.N. 12780/2019 proposto da:

U.M., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

allegata al ricorso, dall’Avvocato Manuela Agnitelli, ed

elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Spinoza n. 10, presso lo

studio dell’Avvocato Maria Pia De Simone;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso, ex lege, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n.

12, è domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata il

17/10/2018;

letta la requisitoria in data 30 luglio 2020 del Procuratore Generale

presso questa Corte, in persona del Sostituto Dottoressa Ceroni

Francesca;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2020 dal Consigliere Dott.ssa Irene Scordamaglia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da U. (o U.) M., cittadino (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di quella città del 6 aprile 2018, che aveva rigettato il ricorso dello stesso U. avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale.

1.1. In particolare, la Corte di merito ha ritenuto aspecifici i motivi di gravame presentati, in quanto non espressivi di un’argomentata critica alle effettive ragioni del rigetto delle domande; ragioni che risiedevano: nell’inattendibilità della vicenda personale narrata (una storia di omosessualità vissuta in un Paese in cui tale condizione integra illecito penale), essendo state offerte versioni contraddittorie su profili essenziali; nell’assenza di una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato esistente nella regione di provenienza, avuto riguardo alle informazioni sulla stessa desunte dal rapporto Easo 2017; nella mancata allegazione e documentazione di situazioni di particolare vulnerabilità individuale.

2. Per la cassazione della decisione ricorre U. (o U.) M. sulla base di cinque motivi.

3. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

4. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con la requisitoria in data 30 luglio 2020, ha chiesto l’accoglimento del ricorso e in subordine la remissione alle Sezioni Unite perchè si pronunci sulla questione: “Se la disposizione di cui all’art. 342 c.p.c., per come ad oggi interpretata, trovi o meno applicazione in materia di protezione internazionale, in cui non vigono le regole ordinarie del processo civile”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia error in iudicando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed erroneità della motivazione, laddove la Corte di appello ha dichiarato inammissibile il gravame per l’assenza di specificità dei motivi: richiamata la giurisprudenza di legittimità sul tema, secondo la quale l’appello è mezzo di impugnazione a critica liberta, si deduce che i tre motivi di gravame erano sufficientemente specifici perchè erano state enunciate le norme regolatrici della materia evocata con le singole domande, i motivi in fatto e in diritto, la giurisprudenza delle Corti di merito e, quanto alla protezione umanitaria, gli elementi attestanti il percorso di integrazione compiuto dal richiedente.

Il motivo è inammissibile.

1.1. La giurisprudenza di legittimità (sia con la sentenza S.U. n. 27310 del 17/11/2008, Rv. 605498, che con numerose pronunce delle Sezioni semplici (da ultimo Sez. 3, Ordinanza n. 8819 del 12/05/2020, Rv. 657916)), ha chiarito che, nella materia della protezione internazionale, l’attenuazione del principio dispositivo si colloca non sul versante dell’allegazione dei fatti costitutivi del diritto invocato, ma su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata. Il richiedente, infatti, ha l’onere di presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, anche sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerati veritiere soltanto “se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 cit., art. 3, comma 5) (Sez. 2, Ordinanza n. 17185 del 14/08/2020, Rv. 658956; Sez. 6-1, n. 16201 del 30/07/2015, Rv. 636625).

Ne viene che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 19197 del 28/09/2015, Rv. 637125): in sostanza, solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare, anche d’ufficio, se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Sez. 6-1, Ordinanza n. 17069 del 28/06/2018, Rv. 649647).

Così correttamente inteso l’ambito di esplicazione del principio dispositivo in tema di protezione internazionale, non può trovare accoglimento la richiesta di remissione della causa alle Sezioni Unite avanzata dal Procuratore Generale, che dubita dell’applicabilità della disposizione di cui all’art. 342 c.p.c. alla materia de qua. Invero, una volta stabilito che anche in riferimento ad essa, vige il principio per il quale incombe sul richiedente protezione l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, ai fini della perimetrazione del thema decidendum, non è possibile dubitare dell’operatività del principio del “tantum devolutum quantum appellatum” nel giudizio di gravame, che non può che essere limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di impugnazione.

1.2. Fatta tale premessa, va dato atto che questa Corte ha affermato che:”L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità” (Sez. 1, n. 20405 del 20/09/2006, Rv. 594136; conf. Sez. 5, n. 22880 del 29/09/2017, Rv. 645637).

A tale indicazione direttiva il ricorrente non si è fatto attenuto, atteso che non solo non ha trascritto i motivi di gravame, ma dal contenuto degli stessi, per come riportato, non è dato comprendere se i rilievi in essi sviluppati contenessero o meno una critica argomentata rispetto alle effettive ragioni della decisione.

2. Con gli ulteriori quattro motivi si denunciano:

II motivo: “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Lacunosità della motivazione poichè il Collegio non è pronunciato sulla richiesta dello status di rifugiato, “non riuscendo ad individuare persecuzioni per tendenze o stili di vita del ricorrente”;

III motivo: “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e art. 3, comma 3, lett. a) e artt. 2, 3, 5, 8 e art. 9 CEDU e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dal momento che il rigetto della protezione sussidiaria è stato omesso senza alcuna valutazione sulla sussistenza del danno grave. Difetto di istruttoria”;

IV motivo: “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e b), arrtt. 3 e 7 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dal momento che la Corte di appello di Roma non si è pronunciata sul riconoscimento della protezione sussidiaria, anche sulla base di un giudizio prognostico, futuro (e incerto) e “sullo stato effettivo ed attuale del Paese d’origine”, atteso che in (OMISSIS) sussiste un pericolo generalizzato”;

V motivo: “Violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c e comma 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Mancata valutazione sulla richiesta di protezione umanitaria senza operare un esame specifico e attuale della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente, con riferimento al Paese di origine”.

I motivi sono inammissibili.

Gli stessi, infatti, si caratterizzano per difetto di attinenza alla ratio decidendi della decisione impugnata, che non ha esaminato nel merito le domande proposte avendole la Corte di appello respinte per una ragione di ordine processuale, vale a dire per l’inammissibilità dei relativi mezzi di gravame.

3. Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile. In ossequio al criterio della soccombenza, le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis dovrà essere versato dal ricorrente se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

 

 

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