Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30046 del 21/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/11/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 21/11/2018), n.30046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2830-2012 proposto da:

BENAZZATO GRU SPA in persona del Presidente del C.d.A., elettivamente

domiciliato in ROMA VIA TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato

CINZIA DE MICHELI, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PIERO POLLASTRO giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VERONA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIALE LIEGI 32, presso lo studio dell’avvocato

MARCELLO CLARICH, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati GIOVANNI ROBERTO CAINERI, FULVIA SQUADRONI giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 169/2010 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

VERONA, depositata il 09/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Benazzato Gru s.p.a. ricorre, nei confronti del Comune di Verona, per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, appellata da entrambe le parti, che aveva accolto il ricorso della contribuente ed annullato l’avviso di accertamento emesso il 25/11/2008, in relazione ad impianti pubblicitari siti in Via Luigi Dorigo, nel territorio comunale, per imposta sulla pubblicità, anno 2008.

La Commissione Tributaria Regionale, per quanto d’interesse, ha riconosciuto naatura pubblicitaria allo striscione apposto sul braccio mobile della gru prodotta dalla società Benazzato Gru, recante i segni distintivi della impresa costruttrice, in quanto “a ragione della sua collocazione e delle sue dimensioni (un cartello di due metri per tre), infatti, non ha la mera funzione di identificazione del prodotto, risultando funzionale all’esigenza di essere visto e percepito da un numero indefinito di soggetti”, ma ha escluso, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, l’applicabilità delle sanzioni, “tenuto conto che la perdita della disponibilità della gru a seguito di vendita rende impossibile alla Benazzato di venire a conoscenza del momento e del luogo in cui essa viene ad essere esposta”.

L’intimato Comune di Verona resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di doglianza la ricorrente deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5 e della L. n. 241 del 199, art. 24, comma 4, lett. a), n. 1, giacchè il giudice di appello non ha considerato che lo striscione del quale si discute riporta unicamente il marchio (“Benazzato”) del produttore della gru, che l’utilizzazione di marchio o insegna non può essere ritenuto di per sè presupposto per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità, poichè costituisce l’estrinsecazione del diritto dell’imprenditore a contrassegnare i propri prodotti o sevizi, ovvero il luogo di esercizio dell’attività, e che oltre la collocazione e le dimensioni del cartello rileva la natura del mezzo pubblicitario, cioè la effettiva capacità di perseguire lo scopo di promuovere la domanda di beni e servizi.

Con il secondo motivo deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 115 c.p.c., travisamento delle prove, essendo pacifico che il Comune intendesse tassare due striscioni di un metro per tre, come si legge nella “minuta avviso di accertamento su rilievo pubblicità esposta”, e non già “un cartello di due metri per tre”, come invece riportato nella sentenza impugnata, essendo controversa anche la effettiva superficie complessiva da considerare ai fini dell’imposta.

Con il terzo motivo deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, giacchè giudice di appello non ha chiarito come le rilevanti dimensioni dello striscione, recante la scritta “Benazzato”, senza alcuna ulteriore specificazione circa l’attività ed i prodotti della impresa, apposto sul braccio della gru, ad una considerevole altezza dal suolo, possa essere considerato un mezzo di comunicazione idoneo a raggiungere una massa indeterminata di potenziali acquirenti.

Con il quarto motivo deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, giacchè giudice di appello non ha chiarito come sia pervenuto a ritenere correttamente individuato il soggetto passivo dell’imposta nella società contribuente, in quanto soggetto pubblicizzato, per “l’impossibilità oggettiva di identificare il soggetto che aveva collocato la gru”, in difetto di un provvedimento di autorizzazione, stante viceversa la possibilità di ispezionare i cantieri edili, e la necessità della preventiva notifica dell’avviso di accertamento al soggetto che dispone materialmente del presunto mezzo pubblicitario, essendo il produttore del bene soltanto coobbligato in solido, con beneficio di escussione.

Con il quinto motivo deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed in relazione all’art. 112 c.p.c., omessa pronuncia del giudice di appello sul motivo di gravame incidentale, proposto dalla contribuente, diretto all’annullamento dell’avviso di accertamento, perchè non preventivamente notificato all’utilizzatore dell’impianto pubblicitario.

Con il sesto motivo deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 507 del 1993, art. 6 violazione e falsa applicazione di norme di diritto, giacchè il giudice di appello, nell’individuare la società Benazzato Gru come soggetto passivo dell’imposta, non ha operato alcuna distinzione tra produttore della gru e reale utilizzatore dell’impianto, obbligato in via principale, sul quale grava l’obbligo di presentare la dichiarazione al Comune territorialmente competente per l’applicazione del tributo, in quanto il vincolo di solidarietà passiva non esclude il beneficio di escussione.

Con il settimo motivo deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ed in relazione all’art. 112 c.p.c., nullità della sentenza impugnata, in quanto ha omesso di pronunciarsi sul rilievo, oggetto di gravame incidentale, della carente motivazione dell’avviso di accertamento, in relazione ai presupposti di fatto e di diritto del tributo, nonchè dell’omessa allegazione degli atti richiamati nell’avviso medesimo, con conseguente carenza informativa del contribuente destinatario dell’atto impositivo.

Con l’ottavo motivo deduce, sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, giacchè il giudice di appello, erroneamente, ha ritenuto sufficiente la mera conoscibilità degli atti richiamati nell’avviso di accertamento, nonchè la produzione, in corso di giudizio, del processo verbale di accertamento dell’omesso versamento dell’imposta sulla pubblicità.

La prima, la seconda e la terza censura, scrutinabili congiuntamente in quanto logicamente connesse, sono infondate e non meritano accoglimento.

La contribuente si duole del fatto che il giudice di appello ha ravvisato un messaggio pubblicitario nello striscione, con la scritta “Benazzato”, apposto sul braccio della gru, sita nel territorio del Comune di Verona, la cui immagine risulta riprodotta nella documentazione fotografica versata in atti (sulla quale non risulta svolta alcuna contestazione).

La decisione del giudice di appello è conforme al dato normativo richiamato, poichè il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5,intende assoggettare ad imposizione il messaggio pubblicitario attuato “attraverso forme di comunicazione visive o acustiche”, in quanto espressivo di capacità contributiva, tutte le volte in cui l’uso del segno distintivo dell’impresa o del prodotto (ditta, ragione sociale, marchio) travalica la mera finalità distintiva, che è quella di consentire al consumatore di riconoscere i prodotti o servizi offerti sul mercato dagli altri operatori del settore, orientandone le scelte, per il luogo (pubblico, aperto o esposto al pubblico) ove esso è situato, per le sue caratteristiche strutturali, o per le modalità di utilizzo, in quanto oggettivamente idoneo a far conoscere ad un numero indeterminato di possibili acquirenti o utenti il nome, l’attività o il prodotto dell’impresa (tra le altre, Cass. n. 11530/2018, n. 8658/2015, e n. 9580/1994, n. 8220/1993, n. 1930/1990, con riferimento al D.P.R. n. 639 del 1972, art. 6).

Nè vale richiamare la nozione d’insegna di esercizio, che assolve la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività economica, ipotesi che qui non ricorre essendo pacificamente altrove la sede della società Benazzato Gru, per cui non può trovare applicazione l’esenzione dall’imposta sulla pubblicità prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1 bis, primo periodo, (Cass. n. 27497/2014).

La decisione del giudice di appello non è censurabile, in quanto si regge sull’affermazione che la scritta “Benazzato” costituisce mezzo pubblicitario, cosa che giustifica la richiesta del tributo, essendo percepito il relativo messaggio in diretta associazione con la gru su cui è apposta, la quale costituisce il prodotto dell’attività imprenditoriale esercitata dalla contribuente, proprio per le sue dimensioni e per l’ubicazione; affermazione del tutto corretta perchè non si discosta dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui il presupposto normativo deve essere individuato nella astratta possibilità del messaggio, in rapporto alla ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, che diventano tali solo perchè vengono a trovarsi in quel luogo determinato (Cass. n. 6714/2017, n. 22572/2008).

E poichè si possono dare come acquisiti i dati fattuali della rilevante dimensione (cm. 100 x 300) e della ubicazione del mezzo pubblicitario, evincibili anche dalla documentazione prodotta nel corso del giudizio (allegata al ricorso per cassazione), appaiono chiaramente individuati i criteri a cui il giudicante si è attenuto per scriminare, sul piano della rilevanza tributaria, l’uso del segno distintivo in chiave semplicemente identificativa di prodotti e servizi dell’impresa, dall’uso del segno distintivo in chiave pubblicitaria, con la opportuna precisazione che quel che conta, ai fini della imposta comunale sulla pubblicità, al di là della intenzioni soggettive, è l’oggettivo risultato conseguito con il messaggio dal soggetto interessato alla pubblicità.

Il giudice di appello ha ritenuto, sulla scorta degli atti di causa, che il cartello con la scritta “Benazzato” assolve ad una funzione pubblicitaria, per le sue dimensioni, perchè riporta il nome della impresa costruttrice, e per il suo posizionamento sulla sommità di una gru di altezza rilevante, circostanza che la rende particolarmente visibile, e tanto basta, trattandosi di tipica valutazione del giudice di merito.

Va, peraltro, sottolineato che il denunciato travisamento della prova (due striscioni cm. 100 x 300 e non uno striscione cm. 200 x 300) appare errore privo di rilievo, in quanto il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1 bis, prevede che l’imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a 5 metri quadrati, attiene a fattispecie diversa da quella oggetto di causa, e la sentenza impugnata, seppure in relazione ad altro rilievo della contribuente, riferisce della esistenza in atti della “fotografia” e del “verbale di accertamento”, il che conferma l’apprezzamento di tali decisivi elementi della controversia, e l’ininfluenza del dato riferito alla complessiva superficie pubblicitaria dei due impianti.

La quarta, la quinta e la sesta censura, scrutinabili congiuntamente in quanto logicamente connesse, sono infondate e non meritano accoglimento.

La sentenza impugnata ha ritenuto valido l’avviso di accertamento notificato esclusivamente alla società Benazzato, in quanto soggetto pubblicizzato, e non anche al soggetto che aveva la disponibilità della gru, ancorchè non fosse affatto difficile identificarlo accedendo nel cantiere edile ove il macchinario era stato montato, ma la decisione appare in linea con principi reiteratamente affermati da questa Corte (Cass. n. 9612/2012, Cass. n. 7346/2012, Cass. n. 7314/2005), ai quali il Collegio intende dare continuità.

L’obbligazione tributaria, quale sottospecie delle obbligazioni pubbliche, nella sua struttura non si differenzia, una volta venuta ad esistenza, dalle obbligazioni di diritto privato, per cui la solidarietà deve essere ricondotta integralmente alle regole concernenti la solidarietà di diritto comune, sia sotto l’aspetto sostanziale che per quanto concerne la disciplina processuale (Cass. S. U. n. 2580/1973).

Le obbligazioni solidali pongono i debitori su un piano di parità nel confronti del creditore e la solidarietà non è esclusa dal fatto che i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse (art. 1293 c.c.).

Il vincolo di solidarietà di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 6, connota storicamente la disciplina dell’imposta di pubblicità, essendo previsto già nella previgente normativa di cui al D.P.R. n. 639 del 1972, art. 7, che espressamente recitava: “l’imposta è dovuta in solido da chiunque effettua la pubblicità e da chi produce o vende la merce o fornisce i servizi oggetto della pubblicità stessa”; in relazione a detta più risalente normativa, questa Corte aveva già avuto modo di precisare che il soggetto passivo dell’imposta sulla pubblicità era tanto chi effettuava la pubblicità, quanto chi produceva o vendeva la merce o forniva i servizi oggetto della pubblicità stessa (Cass. n. 8220/1993).

All’esito della sentenza n. 557/2000 della Corte Costituzionale, possono escludersi profili d’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 6, comma 2, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., nella parte in cui non dispone la preventiva escussione dell’obbligato principale e non condiziona il sorgere dell’obbligazione solidale all’esistenza di un effettivo rapporto giuridico-economico tra i due soggetti.

La disciplina non prevede a favore del soggetto pubblicizzato alcuna forma di beneficium excussionis e, comunque, in relazione alla solidarietà passiva, la particolarità di assegnare ad uno dei condebitori un determinato vantaggio – sia che si risolva nell’onere per il creditore di chiedere in primo luogo l’adempimento ad un altro debitore (c.d. beneficio d’ordine), sia che consista nel più gravoso onere per il creditore di escutere preventivamente il patrimonio di un altro debitore (c.d. beneficio di escussione) – concerne solamente la fase di esercizio del credito, senza tuttavia che, in considerazione di tale vantaggio, si possa ritenere che l’obbligazione del debitore solidale non possa coesistere con le altre secondo lo schema della solidarietà passiva.

Deve, pertanto, escludersi che, in materia di imposta di pubblicità, la legittimità dell’avviso di accertamento al soggetto pubblicizzato dipenda dalla previa o contestuale emissione di altro avviso nei confronti del soggetto che dispone del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso, e tale conclusione non ha al contrario di quanto paventato dalla difesa della ricorrente – portata abrogatrice dell’espressione “in via principale” con cui il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 6, comma 1, descrive la modalità con la quale è tenuto al pagamento dell’imposta chi dispone del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso, giacchè tale espressione vale a fondare a favore del soggetto che produce o vende la merce o fornisce i servizi oggetto della pubblicità, non un inesistente “beneficio d’ordine”, ma il diritto di rivalsa nei confronti di chi dispone del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso (vedi C. Cost. n. 557/2000).

La settima e l’ottava censura sono inammissibili prima che infondate.

Il motivo d’impugnazione è affetto da una evidente ragione di inammissibilità, rilevabile primariamente sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso, atteso che in forza di detto principio l’atto di impugnazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito, ed altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, e che il ricorrente ha perciò l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass. n. 17198/2016, n. 14182/2016, n. 14784/2015).

L’opinione reiteratamente espressa, sul punto, da questa Corte è nel senso che, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una Commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento “è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo” (Cass. n. 10316/2016, n. 8312/2013, n. 15867/2004).

La sentenza di appello, ad ogni buon conto, non omette di pronunciarsi sui rilievi afferenti la motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, avendo positivamente escluso la lamentata insufficienza delle informazioni fornite al contribuente con l’atto impositivo, in relazione alla dedotta “mancata allegazione di documentazione richiamata nell’accertamento”, in quanto l’esito del sopralluogo, comunque, “era perfettamente e completamente riprodotto nell’accertamento” medesimo.

Basta, infatti, porre il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi aspetti essenziali e, quindi, di contestare l’an ed il quantum dell’imposta richiesta, profili ampiamente dibattuti tra le parti nella successiva fase contenziosa, per cui l’obbligo previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, volto ad assicurare al contribuente l’esercizio del diritto di difesa nel giudizio di impugnazione, non può essere dilatato sino a ricomprendere l’allegazione, o la riproduzione di atti, il cui contenuto si intende conosciuto, o comunque conoscibile, dal contribuente, come gli atti generali, i regolamenti e le delibere comunali, che essendo soggette a pubblicità legale si presumo conosciuti (Cass. n. 8278/2018, n. 4332/2015, n. 11722/2010, n. 25371/2008).

Quanto alla sottoscrizione del funzionario responsabile con firma a stampa, L. n. 549 del 1995, il richiamato art. 1,comma 87, stabilisce che “la firma autografa prevista dalle norme che disciplinano i tributi regionali e locali sugli atti di liquidazione e accertamento è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, nel caso in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati”, e questa Corte ha chiarito che si tratta di norma speciale non abrogata, la quale, pertanto, conserva la sua efficacia (Cass. n. 9079/2015, Cass. n. 6736/2015, Cass. n. 20362/2017), e che il soggetto responsabile va individuato da apposita Det. dirigenziale (Cass. n. 20628/2017, n. 15447/2010).

Nella fattispecie in esame è incontroversa (v. pag. 81 del ricorso per cassazione) la circostanza che il soggetto responsabile del procedimento, legittimato a sottoscrivere gli atti di accertamento secondo le modalità di cui al citato art. 1, comma 87, fosse quello di cui al nominativo indicato nella “Det. dirigenziale n. 5581 del 24/10/2008, richiamata a p. 2, sotto la dicitura “firma a stampa ai sensi della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 87,””, per cui nessun ulteriore onere probatorio può essere posto a carico del Comune, incombendo semmai sul contribuente, che intenda contestare la sussistenza dei presupposti di legge, l’onere di dedurre, e provare, l’assenza o l’illegittimità dei provvedimenti sopra menzionati (Cass. n. 3512/2012).

Difettano specifiche contestazioni della società ricorrente anche con riguardo alla dedotta pubblicazione all’albo pretorio della Det. dirigenziale, per cui vale il principio di diritto, in precedenza ricordato, secondo cui l’obbligo di allegazione all’avviso di accertamento giammai si estende agli atti dei quali il contribuenti abbia conoscenza per effetto di notificazione o pubblicazione su bollettini o albi ufficiali che ne sia stata fatta ai sensi di legge.

La ricorrente va condannata al pagamento delle spese di lite, in favore dell’intimato Comune, che sono determinate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 510,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento, e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2018

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