Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30045 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. I, 31/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 31/12/2020), n.30045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso R.G.N. 12664/2019 proposto da:

W.H., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

allegata al ricorso, dall’Avvocato Manuela Agnitelli, presso il cui

studio in Roma, alla Via Giuseppe Mazzini n. 6, è elettivamente

domiciliato;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata il

17/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2020 dal Consigliere Dott.ssa Irene Scordamaglia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma ha respinto l’appello proposto da W.H., cittadino (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di quella città del 22 giugno 2017, che aveva rigettato il ricorso dallo stesso proposto avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale.

1.1. In particolare, la Corte di merito ha respinto le domande di protezione maggiore, rilevando: I.) che la mancanza di credibilità del racconto del richiedente, in ordine alle vicissitudini patite in (OMISSIS) per il rifiuto di subentrare al padre nella setta degli (OMISSIS), non consentiva di ritenere provato il rischio di sottoposizione a persecuzioni o a trattamenti inumani o degradanti; II.) che il timore di ritorsioni da parte dei membri della citata setta non era tale da integrare i presupposti per il riconoscimento della tutela accordata ai rifugiati o della protezione sussidiaria; III.) che, quest’ultima forma di protezione, non trovava fondamento neppure nella situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata dell'(OMISSIS), sua regione di provenienza, in quanto esclusa dalle fonti internazionali. La stessa Corte ha respinto anche la domanda di protezione complementare, rilevando che nulla di specifico era stato dedotto dal richiedente in ordine alla propria situazione sanitaria e che nulla era stato provato in ordine al proprio percorso di integrazione lavorativa e sociale.

2. Per la cassazione della decisione ricorre W.H. sulla base di due motivi.

3. L’intimato Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione ma non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e art. 14, lett. b) e c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1-bis, la carenza motivazionale del rigetto della protezione sussidiaria, la mancata attivazione dei poteri istruttori del giudice di merito in relazione all’attuale condizione della (OMISSIS). Si ascrive alla Corte territoriale di non avere accertato, avvalendosi dei propri poteri anche ufficiosi, acquisendo, in particolare, le informazioni sul Paese di origine del richiedente, se esista un divieto legale in (OMISSIS) di costringere gli individui a far parte di sette e se le Autorità (OMISSIS) sono in grado di assicurare effettiva protezione ai cittadini da tali costrizioni o dalle conseguenti ritorsioni in caso di rifiuto di adesione alla setta. Si adduce, altresì, che non sarebbe dato sapere quale sarebbe stato il criterio utilizzato dalla corte di appello per respingere la domanda di protezione sussidiaria avanzata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) stante la mancata indicazione di fonti ufficiali volte a confutare la richiesta dell’appellante.

2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, degli art. 5, comma 6 e art. 19, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), b) e c), nonchè l’illogicità, la contraddittorietà e l’apparenza della motivazione quanto al diniego della protezione umanitaria. Richiamando i parametri interpretativi offerti dalla giurisprudenza di legittimità in materia, si deduce che la Corte di appello avrebbe dovuto riconoscere il grave pericolo per la vita e l’incolumità cui il richiedente sarebbe rimasto esposto nella sua regione di provenienza, in caso di rientro forzato, non solo a causa della seria situazione di insicurezza, violenza, degrado ed instabilità politica e istituzionale ivi esistente, ma anche a causa della sua indigenza e della mancanza di un nucleo familiare in grado di accoglierlo, e, pertanto, avrebbe dovuto concedergli la misura di protezione complementare; di contro la Corte medesima si era limitata a considerare l’aspetto delle sole cure mediche che non potevano essere sospese.

3. E’ fondato il primo motivo, con efficacia assorbente sul secondo.

3.1. Deve essere ricordato come, la valutazione della domanda di protezione internazionale debba avvenire, secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), tramite l’apprezzamento di tutti i fatti pertinenti che riguardano il Paese di origine al momento dell’adozione della decisione. Il D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 3, comma 5, lett. c) stabilisce, inoltre, che qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere ritenga che le dichiarazioni siano coerenti e plausibili e non siano in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone. A ciò deve aggiungersi l’obbligo, previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, di esaminare ciascuna domanda alla luce delle informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel paese di origine dei richiedenti asilo.

3.2. Alla stregua delle riportate disposizioni, emerge che la valutazione della domanda di protezione internazionale presuppone, per un verso, il dovere di cooperazione del richiedente asilo, consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda; per altro verso, l’obbligo dell’autorità decidente di informarsi, in modo adeguato e pertinente alla richiesta, in ordine alle condizioni generali del Paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti (Sez. 1, n. 11175 del 10/06/2020, Rv. 658032; Sez. 6 – 1, n. 7333 del 10/04/2015, Rv. 634949 – 01).

1.3. In particolare, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione. (Sez. 6 – 1, n. 17075 del 28/06/2018, Rv. 649790 – 01) e specifico, nel senso che deve dar conto delle fonti di informazione consultate (Sez. 6 – 1, n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608 – 01): infatti “Il riferimento operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle “fonti informative privilegiate” deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione” (Sez. 1 -, n. 13449 del 17/05/2019, Rv. 653887 – 01).

1.4. Stando a tali condivisibili principi, incorre, dunque, nella violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, oltre che nel vizio di motivazione apparente, la pronuncia che, nel prendere in considerazione “i fatti pertinenti che riguardano il Paese di origine del richiedente in merito alla domanda”, nonchè la situazione generale dello stesso Paese, si limiti a valutazioni solo generiche o, comunque, non individui le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte: che è quanto avvenuto nel caso di specie, in cui il Collegio di merito, si è sottratto all’obbligo di spiegare in base a quali specifiche fonti aveva ritenuto, per un verso, che dai membri della setta degli (OMISSIS) non potessero provenire comportamenti suscettibili di integrare gli estremi del danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 5, lett. c); per altro verso, che fosse inesistente nell'(OMISSIS), regione di origine del richiedente, una situazione di violenza diffusa atta a porre in pericolo la vita e l’incolumità di quanti vi si trovino. Obbligo il cui adempimento è essenziale per dar conto della puntualità ed attualità della verifica giudiziale compiuta e per conferire alla motivazione carattere effettivo.

2. In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va, dunque, annullata ed il giudizio rinviato alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese della fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

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