Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30044 del 19/11/2019

Cassazione civile sez. I, 19/11/2019, (ud. 29/10/2019, dep. 19/11/2019), n.30044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32647/2018 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avvocato Cristina Perozzi giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n.

12,

rappresenta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 460/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA

depositata il 11/4/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/10/2019 dal cons. dott. Alberto Pazzi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Ancona, con ordinanza in data 24 giugno 2016, respingeva la domanda presentata da S.A., cittadino del Senegal, perchè gli fosse riconosciuto il diritto alla protezione internazionale o umanitaria negatogli dalla competente commissione territoriale.

2. La Corte d’appello di Ancona, a seguito dell’impugnazione proposta dal richiedente asilo (il quale aveva raccontato di aver lasciato il proprio paese per sfuggire ai ribelli operanti nella regione del (OMISSIS), che erano entrati nel suo villaggio e, dopo aver ucciso numerose persone, avevano portato via i giovani per arruolarli forzatamente nelle loro fila), ribadiva il giudizio di non credibilità già formulato dal primo giudice, osservava che in ogni caso la situazione di violenza dedotta mancava di attualità, dato che i fatti narrati risalivano al (OMISSIS) e tenuto conto dei miglioramenti nel frattempo verificatisi nella situazione socio-politica del Senegal, e, di conseguenza, riteneva che non ricorressero le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, anche in ragione, sotto quest’ultimo profilo, dell’inesistenza di specifici indici di pericolosità nel paese di provenienza.

La corte distrettuale disattendeva infine anche la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, rispetto alla quale il migrante si era limitato a fare riferimento alla situazione di instabilità socio-politica già esistente nella sua regione di origine senza però dedurre come la stessa si riverberasse con specifica incidenza sul soggetto richiedente, risultando così irrilevante l’avvenuto inserimento nel tessuto sociale dello Stato italiano.

In virtù di questi argomenti il collegio dell’impugnazione rigettava l’appello con sentenza pubblicata in data 11 aprile 2018.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso S.A. prospettando tre motivi di doglianza.

Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4, nonchè il difetto di motivazione, in ragione della mancata traduzione, pur in presenza di un obbligo di legge, della decisione della commissione territoriale e della sentenza di appello, che erano così risultate incomprensibili al richiedente asilo; nel contempo la doglianza assume la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, e del principio convenzionale internazionale del non refoulement, oltre che la violazione delle norme costituzionali e CEDU in ordine al diritto a un processo giusto ed effettivo.

4.2 Il motivo risulta in parte inammissibile, rispetto a ciascuno dei profili di critica dedotti, in parte infondato.

La sentenza impugnata non fa alcun cenno alla questione relativa alla mancata traduzione delle decisioni assunte dalla commissione territoriale o al divieto di espulsione o respingimento per i motivi indicati dall’art. 19, comma 1 T.U.B..

Il silenzio serbato su queste questioni imponeva al ricorrente di allegare la loro deduzione avanti al giudice di merito e indicare, in ossequio al principio di specificità del motivo, in quale atto tale deduzione fosse avvenuta.

La costante giurisprudenza di questa Corte ritiene infatti che ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa; ciò in quanto i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (Cass. 2038/2019, Cass. 15430/2018, Cass. 27568/2017).

Il mancato assolvimento di un simile onere di allegazione impone di constatare l’inammissibilità della censura proposta in ragione della sua novità rispetto alle questioni poste avanti al giudice di merito.

Va rilevato infine che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 regolante la controversia ratione temporis, non prevedeva affatto alcuna traduzione della sentenza della Corte d’appello.

5.1 Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 11 e 17, art. 2 Cost. e art. 10 Cost., comma 3 nonchè il difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria; in particolare il ricorrente ha inteso denunciare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del provvedimento impugnato per omessa pronuncia nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la mancanza o l’insufficienza della motivazione, in ragione della natura meramente apparente o tautologica degli argomenti offerti in sentenza.

In tesi di parte ricorrente la corte territoriale, facendo un’erronea applicazione delle norme in materia, avrebbe offerto una ricostruzione dei fatti non corrispondente al vero, perchè l’attuale situazione di estrema precarietà e conflitto esistente nel (OMISSIS), zona tutt’altro che pacifica, e le condizioni generali della regione, contraddistinta da un elevatissimo livello di criminalità e teatro di gravi atti di terrorismo, violenze generalizzate e sommosse, imponevano il riconoscimento della protezione sussidiaria, come già avevano riconosciuto vari Tribunali.

5.2 Il motivo è inammissibile.

Esso infatti, in presenza di una motivazione che argomenta compiutamente le ragioni per le quali il giudice di merito ha ritenuto insussistenti le condizioni di legge per il riconoscimento della protezione sussidiaria, intende nella sostanza sollecitare una valutazione di opposto segno della situazione esistente in Senegal e nella regione del (OMISSIS) nel senso più favorevole già indicato da alcuni giudici di merito.

In questo modo tuttavia la censura non si correla con il contenuto della sentenza della corte distrettuale, che fonda il rigetto della domanda sulla mancanza di credibilità della narrazione del richiedente asilo e comunque sul carattere inattuale del pericolo prospettato, e manca del carattere di riferibilità alla decisione impugnata che il ricorso per cassazione deve necessariamente avere.

Nel contempo il mezzo, a fronte di un accertamento rientrante nel giudizio di fatto istituzionalmente demandato al giudice di merito, si riduce a deduzioni meramente astratte e di principio, che non scalfiscono la ratio decidendi e si limitano a sollecitare una nuova valutazione, nel merito, della domanda, malgrado la stessa non sia rinnovabile in questa sede.

6.1 Il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione degli artt. 353 e 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione della protezione umanitaria: la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti le condizioni necessarie per la concessione del permesso umanitario, a dispetto del positivo percorso integrativo compiuto dal ricorrente, comprovato dai documenti prodotti, e delle sue condizioni personali.

6.2 Il motivo è inammissibile, a prescindere da ogni questione concernente l’applicazione al caso di specie della disciplina normativa introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 2018.

La Corte distrettuale, oltre a constatare la mancata prospettazione di peculiari condizioni psicofisiche o l’omessa dimostrazione dell’inclusione in categorie soggettive rispetto alle quali fossero ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità, ha sottolineato che la mera situazione esistente nel paese di origine non era sufficiente al fine del riconoscimento della protezione umanitaria richiesta, ove la stessa non determinasse una situazione personale concreta e reale di rischio; il che toglieva mordente all’argomento relativo all’avvenuto inserimento nel tessuto sociale nazionale.

In questo modo la Corte d’appello ha inteso sostenere che al fine del riconoscimento della protezione umanitaria non erano sufficienti le allegazioni sulla sola situazione generale esistente nel paese di origine, poichè tale misura, atipica e residuale, è il frutto della valutazione di una specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente e dunque richiede che all’allegazione delle condizioni generali del paese di origine si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità, da apprezzare a fini comparativi in uno con la condizione di inserimento nel contesto nazionale.

A fronte di questi argomenti il ricorrente si è limitato a lamentare, in maniera del tutto generica, la mancata valutazione delle sue condizioni personali di inserimento nel paese di accoglienza e delle atrocità subite nel viaggio fatto per raggiungere l’Italia, senza cogliere e criticare la ratio decidendi posta a base, su questo punto specifico, della decisione impugnata.

Il che comporta l’inammissibilità della critica, dato che il ricorso per cassazione deve necessariamente contestare in maniera specifica la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata, nè si può tradurre in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito. Per di più la critica non indica specificamente gli atti processuali e i documenti su cui la stessa è fondata, in adempimento dell’obbligo previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, risultando perciò inammissibile anche per difetto di autosufficienza.

7. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto.

La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. e al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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