Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30043 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. I, 31/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 31/12/2020), n.30043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso R.G.N. 11274/2019 proposto da:

N.S., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

allegata al ricorso, dall’Avvocato Laura Barberio, presso il cui

studio in Roma, alla Via del Casale Strozzi n. 31, è elettivamente

domiciliato;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata il

28/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2020 dal Consigliere Dott.ssa Irene Scordamaglia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da N.S., cittadino (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di quella città del 5 luglio 2016, che aveva respinto il suo ricorso avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale.

1.1. In particolare, la Corte di merito, rilevata la scarsa credibilità del racconto del richiedente circa le ragioni che l’avevano indotto ad espatriare – indicate, alla Commissione Territoriale, nell’essere egli considerato dalla gente del suo villaggio alla stregua di uno schiavo; al Tribunale, nel timore di essere arrestato per il ferimento di una persona con la quale aveva discusso – ha respinto: 1) la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato perchè le circostanze riferite erano riconducibili a questioni di giustizia ordinaria; 2) la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, sia perchè i fatti narrati non erano riconducibili ad alcuna delle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), sia perchè dal report 2016-2017 di Amnesty International non risultava che il villaggio di sua provenienza ((OMISSIS), regione di (OMISSIS)) fosse interessato da un conflitto armato o da una disputa interna; 3) la domanda di riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, perchè dall’esame della documentazione prodotta non emergeva nè la prova di uno stato di vulnerabilità fisica e psicologica dell’appellante, che avrebbe reso difficile il reinserimento nel proprio Paese, nè la prova di una conseguita integrazione in Italia, non desumibile dal depositato contratto di lavoro a tempo determinato.

2. Per la cassazione della decisione ricorre N.S. sulla base di due motivi. Questi sono stati integrati ed approfonditi con memoria ex art. 380-bis c.p.c., a firma del difensore, trasmessa tramite PEC in data 11/09/2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia error in iudicando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, integrato dalla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, relativi all’obbligo di cooperazione istruttoria incombente sul giudice della protezione internazionale, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), artt. 3, 4, 5, art. 6, comma 2, artt. 7 e 8, art. 14, lett. b), in relazione ai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria nella forma del rischio di trattamenti inumani e degradanti per motivi etnici in (OMISSIS). Si ascrive alla Corte territoriale, oltre che il mancato esame della richiesta riguardante il riconoscimento dello status di rifugiato, una distorta lettura delle dichiarazioni del richiedente protezione, che aveva da sempre allegato quale fatto costitutivo del proprio diritto a vedersi riconosciuta quantomeno la protezione sussidiaria, nella forma prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), la discriminazione etnica subita nel proprio villaggio rispetto alla quale non aveva ricevuto protezione da parte dell’Autorità Statuale; si imputa, altresì, alla Corte di merito di non avere adempiuto all’obbligo di accertamento ufficioso del trattamento discriminatorio praticato in (OMISSIS) nei riguardi degli appartenenti a determinati gruppi etnici.

Il motivo è inammissibile.

La censura denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di legge sotto il duplice profilo del mancato rispetto degli obblighi, incombenti sul giudice di merito, di integrazione probatoria officiosa, e della falsa applicazione della norma che stabilisce i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, nella forma della tutela da accordare allo straniero, che rischi nel Paese di origine, di essere sottoposto ad un trattamento inumano o degradante.

La doglianza, tuttavia, si articola nell’espressione di un mero dissenso rispetto alla valutazione delle dichiarazioni del richiedente siccome effettuata dai giudici di merito, senza alcuna indicazione di un fatto decisivo per il giudizio il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte censurata; profilo, questo, del quale, peraltro, il ricorrente si sarebbe potuto lamentare esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Traducendosi, pertanto, il vizio dedotto in una sequela di rilievi in fatto circa l’apprezzamento di scarsa credibilità del racconto del richiedente, lo stesso non è sindacabile in questa sede.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia error in iudicando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, esistenti in capo al richiedente, giacchè soggetto vulnerabile e ben integrato in Italia, come documentato dalla copiosa documentazione medica, psicologica e sociale presente in atti.

Il motivo è inammissibile.

Anche in questo caso la censura, lungi dal denunciare l’errore di giudizio compiuto dalla Corte territoriale nel male interpretare le norme che disciplinano la fattispecie della protezione umanitaria o nel non sussumere i fatti, per come compiutamente ed incontestabilmente ricostruiti, nelle norme stesse, deduce un vizio di sottovalutazione della documentazione comprovante i fatti costitutivi del diritto al riconoscimento della protezione umanitaria, senza specificamente allegare l’omesso esame di un fatto rilevante per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; profilo, questo, che, comunque, si sarebbe dovuto far valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposizione mai evocata in ricorso.

Venendo in rilievo, pertanto, un vizio non denunciato o, comunque, un vizio non consentito (perchè interamente articolato in fatto), lo stesso non è scrutinabile in questa sede.

3. Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile. Nulla è dovuto per le spese perchè l’Amministrazione intimata è rimasta tale. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis dovrà essere versato dal ricorrente se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

 

 

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