Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30042 del 26/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 26/10/2021, (ud. 14/07/2021, dep. 26/10/2021), n.30042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 3464 del ruolo generale dell’anno

2015, proposto da:

F.lli M. s.n.c. di S.M. & C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, Mu.Ma. e M.S., quali

soci, rappresentati e difesi, giusta procura speciale a margine del

ricorso dall’Avv.to Giuseppe Lai, elettivamente domiciliati presso

lo studio dell’Avv.to Daniele Manca-Bitti, in Roma, Via Luigi

Luciani n. 1;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sardegna n. 308/05/14, depositata in data 22

settembre 2014, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14 luglio 2021 al Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 308/05/14, depositata in data 22 settembre 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Sardegna rigettava l’appello proposto da F.lli M. s.n.c. di S.M. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ma.Mu. e M.S., quali soci, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 6/03/11 della Commissione tributaria provinciale di Cagliari che, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi della società contribuente e dei soci avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS), n. (OMISSIS), (OMISSIS), con i quali l’Ufficio aveva contestato, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3: 1) nei confronti della società maggiori ricavi non dichiarati, ai fini Ires, Irap e Iva, interessi e sanzioni, per l’anno 2005, in relazione alle cessioni di otto unità immobiliari situate nel comune di (OMISSIS) (CA) in base allo scostamento in eccesso dell’importo dei mutui erogati agli acquirenti, alle differenze tra le singole compravendite circa il prezzo dichiarato al m.q. a fronte di immobili aventi caratteristiche identiche, alle quotazioni OMI e agli indici dell’Osservatorio Immobiliare della Camera di Commercio Industria e Artigianato di Cagliari (CCIAA); 2) nei confronti dei soci il maggior reddito di partecipazione ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5;

– in punto di diritto, la CTR – confermando la decisione di primo grado – ha osservato che: 1) la L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, commi 4 lett. f), e art. 5 (comunitaria 2008), aveva modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, sopprimendo, con effetto retroattivo, il riferimento al “valore normale”, quale strumento di accertamento del valore delle transazioni immobiliari, per cui, per legittimare l’accertamento analitico-induttivo di maggiori ricavi erano necessari altri elementi presuntivi, gravi, precisi e concordanti che, nella specie, erano da ravvisare: a) nello scostamento in eccesso (dell’80% e, in due casi, del 130%) dell’importo dei mutui stipulati dagli acquirenti di alcuni immobili rispetto al prezzo di vendita dichiarato in assenza di garanzie integrative prestate dagli acquirenti in favore degli istituti di credito e stante la rigida regola imposta dalla Banca d’Italia che imponeva alle banche di non erogare finanziamenti o mutui superiori all’80% del valore effettivo degli immobili; b) nella divergenza tra il corrispettivo dichiarato negli atti di vendita e le quotazioni OMI nonché gli indici dell’Osservatorio della Camera di commercio di Cagliari che consentivano di determinare il prezzo effettivo di ciascuna vendita ben oltre quello dichiarato, sostanzialmente coincidente con quello ricavabile dall’importo del mutuo; 2) stante l’appartenenza a lotti omogenei degli immobili venduti, le caratteristiche analoghe degli appartamenti in termini di superficie e numero di vani, la conclusione delle vendite in un lasso temporale limitato a pochi mesi, era legittima la estensione operata a tutte le operazioni di compravendita del valore accertato sulla base del riferimento all’importo dei mutui concessi ad alcuni acquirenti e alle quotazioni delle tabelle delle banche dati; ciò anche in considerazione delle generiche allegazioni della contribuente – inidonee a giustificare la sottofatturazione – circa una possibile differenziazione di valore al m.q. legata al c.d. “acquisto sulla carta”, all’incidenza dei materiali di maggiore pregio richiesti al costruttore e alla presenza di pertinenze (cantine, posti auto);

– avverso la sentenza della CTR, la società e i soci propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– i ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis1 c.p.c.;

– il ricorso è stato fissato in Camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare: a) sulla eccepita falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 comma 1 lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5 e 25, per la totale discordanza tra i valori dei mutui contratti, quelli OMI/OPI- CCIAA e i valori accertati, con conseguente erronea ricostruzione da parte dell’Ufficio dei maggiori ricavi in base al mero elemento indiziario del valore dei mutui concessi per alcuni appartamenti, esteso indebitamente anche agli immobili; b) sul susseguente difetto di motivazione del giudice di primo grado;

– il motivo è infondato;

– premesso che costituisce violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, e configura il vizio di cui all’art. 112 c.p.c., l’omesso esame di specifiche richieste o eccezioni fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 22759 del 2014; n. 6835 del 2017); in particolare, il vizio di omessa pronuncia ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 27566 del 2018; n. 28308 del 2017; n. 7653 del 2012), nella specie, la CTR – nel confermare la decisione di primo grado – ha rigettato le doglianze sollevate dai contribuenti in ordine al difetto di motivazione del giudice di primo grado e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, per assunta discordanza dei valori di mutuo e dei valori OMI/OPI- CCIAA, ritenendo corretto l’accertamento dei maggiori ricavi operato dall’Ufficio sulla base dell’elemento fortemente indiziante della sottofatturazione costituito dallo scostamento in eccesso (dell’80%) dell’importo dei mutui concessi rispetto ai prezzi dichiarati negli atti di vendita degli appartamenti, elemento che trovava ulteriore conferma nei valori degli immobili tratti dalle quotazioni OMI e dalla banca dati dell’Osservatorio della Camera di Commercio di Cagliari che “consentivano di determinare il prezzo effettivo di ciascuna vendita ben oltre quello dichiarato e sostanzialmente coincidente con quello ricavabile dall’importo del mutuo” (pag. 9 della sentenza impugnata); elementi presuntivi, stimati, gravi precisi e concordanti, complessivamente considerati dal giudice di appello, con generalizzazione del valore accertato a tutte le compravendite, in considerazione delle caratteristiche planovolumetriche e costruttive omogenee degli immobili ceduti;

– con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, per avere la CTR ritenuto legittimo l’accertamento in questione, identificando erroneamente come elementi presuntivi dei maggiori ricavi contestati i valori di mutuo contratti dagli acquirenti degli immobili e le quotazioni OMI/OPI-CCIAA, nonostante l’evidente discordanza tra i valori di mutuo, quelli OMI/OPI-CCIAA e quelli accertati dall’Ufficio nonché la irrilevanza delle rilevate presunte differenze di prezzo dichiarato al mq. a fronte di immobili con caratteristiche, soltanto sulla carta, identiche; con ciò, ad avviso dei ricorrenti, legittimando erroneamente una ricostruzione reddituale fondata sostanzialmente soltanto sull’elemento indiziario del valore dei mutui concessi per alcuni immobili, in assenza di ulteriori elementi sintomatici a sostegno del contestato meccanismo evasivo;

– con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del principio di doppia presunzione di cui all’art. 2727 c.c., per avere la CTR, nel ritenere legittima la ricostruzione del maggiore reddito d’impresa operata dall’Ufficio, esteso erroneamente il valore accertato – sulla base dell’importo dei mutui concessi agli acquirenti di alcuni appartamenti – a tutti gli altri immobili dei tre lotti interessati in contrasto con il divieto di presumptum de praesumpto;

– i motivi secondo e terzo- da trattare congiuntamente per connessione- sono in parte inammissibili, in parte infondati;

– va premesso che l’accertamento fiscale da cui muove la presente controversia, è un accertamento di tipo analitico-induttivo, con cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (ex multis: Cass., sez. 5, n. 33508 del 2018; n. 20060 del 2014);

– in particolare, ai sensi del quarto e del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 5, a decorrere dal 10 luglio 1986, il potere di rettifica dei valori dichiarati negli atti era impedito qualora gli stessi fossero risultati pari o superiori a quel minimum determinato dalla capitalizzazione delle rendite catastali – che si otteneva moltiplicando per specifici coefficienti fissi di legge il valore catastale – con l’unico limite dato dall’eventuale individuazione, da parte dell’Ufficio, di corrispettivi non dichiarati. Pur essendo inibito l’accertamento di valore, il criterio automatico di valutazione non implicava una diversa determinazione della base imponibile, che si identificava, ai sensi del combinato disposto dell’art. 43 TUR, comma 1, e dell’art. 51 TUR, con il “valore del bene o del diritto alla data dell’atto”, assumendosi per tale “quello dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito”. Per le cessioni di immobili soggette ad I.V.A., il D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 15, aveva esteso (per i fabbricati classificati o classificabili nei gruppi A, B e C) il principio della non rettificabilità del corrispettivo dichiarato, ove determinato in base ai parametri automatici previsti per l’imposta di registro, salvo che da atto o documento il corrispettivo risultasse di maggiore ammontare;

– il D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 2 (cd. decreto Visco-Bersani), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2006 (decreto in vigore dal 4 luglio 2006), ha inserito nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3 (ai fini dell’I.V.A.) una disposizione in base alla quale “per le cessioni aventi ad oggetto beni immobili e relative pertinenze, la prova di cui al precedente periodo s’intende integrata anche se l’esistenza delle operazioni imponibili o l’inesattezza delle indicazioni di cui al comma 2, sono desunte sulla base del valore normale dei predetti beni, determinato ai sensi del presente decreto, art. 14”. Il citato D.L. n. 223 del 2006, stesso art. 35, con il comma 3, ha inoltre inserito nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) (ai fini delle imposte sui redditi) una disposizione analoga alla precedente ed in base alla quale “per le cessioni aventi ad oggetto beni immobili, ovvero la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento sui medesimi beni, la prova (…) si intende integrata anche se l’infedeltà dei ricavi viene desunta sulla base del valore normale dei predetti beni determinato ai sensi del testo unico delle imposte sui redditi, art. 9, comma 3”. Lo stesso cit. art. 35, comma 4, ha, inoltre, espressamente abrogato il D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, art. 15. Il D.L. n. 223 del 2006, ha, quindi, introdotto presunzioni semplici legali relative che consentivano all’ente impositore di rettificare la dichiarazione del contribuente sulla base del solo scostamento tra il corrispettivo dichiarato per le cessioni di beni immobili ed il valore normale degli stessi, determinato (in forza della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 307 – Legge finanziaria 2007 e del provv. direttoriale del 27 luglio 2007, emesso in attuazione di tale legge e con il quale erano indicati i criteri utili per la determinazione del valore normale dei fabbricati ai sensi del Decreto n. 633 del 1972, art. 14, e del testo unico delle imposte sui redditi, art. 9, comma 3) secondo i valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare (O.M.I.) presso l’Agenzia del Territorio e i coefficienti di merito relativi alle caratteristiche dell’immobile, integrati da altre informazioni in possesso degli uffici tributari. Anche se inizialmente tali nuovi disposizioni sono state ritenute di natura “procedimentale” e, quindi, applicabili anche ad accertamenti relativi ad anni d’imposta precedenti al 4 luglio 2006 (data di entrata in vigore del decreto Visco-Bersani), la L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265, in vigore dal 10 gennaio 2008, ha stabilito che le presunzioni legali (basate sul valore normale) si applicano soltanto per gli atti formati a decorrere dal 4 luglio 2006, mentre per gli atti formati anteriormente, valgono “agli effetti tributari, come presunzioni semplici”. Successivamente la Commissione Europea, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, ha rilevato l’incompatibilità – in relazione all’I.V.A., ma con valutazione ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette – delle disposizioni introdotte dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, con la Dir. comunitaria n. 2006/112/CE, art. 73, secondo cui la base imponibile I.V.A. “comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni”. In considerazione di tale parere, la L. n. 88 del 2009 (legge comunitaria del 2008) con l’art. 24, comma 4, lett. f), e comma 5, è nuovamente intervenuta sul citato art. 39, stabilendo all’art. 39, comma 1, lett. d): “Per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio procede alla rettifica:(…) d) se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’art. 33, ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32. L’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”, nonché sul D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, prevedendo: “L’Ufficio può tuttavia procedere alla rettifica indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente qualora l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture di cui all’art. 51, comma 2, nn. 2), 3) e 4), dagli elenchi allegati alle dichiarazioni nonché da altri atti e documenti in suo possesso”;

– questa Corte ha, quindi, ripetutamente affermato che, in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione del citato art. 39, ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo – stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea – ha eliminato la presunzione relativa di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi introdotta dal citato art. 35, così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”, l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni O.M.I., ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass. n. 23379 del 2019; n. 9474 del 2017; Cass. n. 26487 del 2016; n. 24054 del 2014; Cass. n. 11439 del 2018; n. 2155 del 25/1/2019; n. 10731 del 5/6/2020);

– nella sentenza impugnata, la CTR, facendo buon governo dei suddetti principi, ha correttamente condiviso l’operato dell’Ufficio che, nel ricostruire, con metodo analitico-induttivo, i maggiori ricavi della contribuente in relazione alle diverse vendite di immobili appartenenti a tre lotti – nel comune di (OMISSIS) (CA), (OMISSIS) e (OMISSIS) – ha fondato l’indagine su vari elementi indiziari – stimati dal giudice di appello precisi, gravi e concordanti – provenienti da fonti differenti quali: a) lo scostamento in eccesso (dell’80% e, in due casi, del 130%) dell’importo dei mutui stipulati dagli acquirenti di alcuni immobili rispetto al prezzo di vendita dichiarato – in assenza di garanzie integrative prestate dagli acquirenti in favore degli istituti di credito e stante la rigida regola imposta dalla Banca d’Italia che imponeva alle banche di non erogare finanziamenti o mutui superiori all’80% del valore effettivo degli immobili; b) la divergenza tra il corrispettivo dichiarato negli atti di vendita e le quotazioni OMI nonché gli indici dell’Osservatorio della Camera di commercio di Cagliari che consentivano di determinare il prezzo effettivo di ciascuna vendita ben oltre quello dichiarato, sostanzialmente coincidente con quello ricavabile dall’importo dei mutui; in considerazione poi dell’appartenenza degli immobili venduti a lotti omogenei, delle analoghe caratteristiche immobiliari, in termini di superficie e numero di vani, della conclusione delle vendite in un lasso temporale limitato a pochi mesi, il giudice di appello- dopo avere, con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, disatteso, in quanto generiche le allegazioni addotte a contrario dalla società contribuente circa una possibile differenziazione del valore al m.q. legata al c.d. “acquisto sulla carta”, all’incidenza dei materiali di maggiore pregio richiesti al costruttore e alla presenza di pertinenze (cantine, posti auto) – ha ritenuto corretta la operata estensione a tutte le operazioni di compravendita del valore accertato sulla base del riferimento all’importo dei mutui concessi ad alcuni acquirenti e alle quotazioni di cui alle tabelle delle banche dati; con ciò, senza, peraltro, incorrere nella assunta violazione del divieto di “doppia presunzione” o di “presunzione a catena”; al riguardo, come precisato da questa Corte il “divieto di doppie presunzioni” o “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena” non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c., né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento, ben potendo il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 c.c., legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea – in quanto, a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto (ex multis, Cass. sez. 5, n. 20748 del 2019; n. 15003 del 2017; Cass. n. 1289 e n. 9348 del 2015); nella specie, la CTR, ha, pertanto, ritenuto legittimo l’accertamento dell’Ufficio, alla luce di una serie di elementi presuntivi – stimati gravi, precisi e concordanti – considerati complessivamente concrentantesi nello scostamento rilevante (dell’80%) del valore dei mutui erogati rispetto al prezzo di vendita dichiarato, in assenza di garanzie ulteriori, nelle quotazioni desunte dalle banche dati, tenuto conto delle caratteristiche planovolumetriche e costruttive assolutamente omogenee degli immobili ceduti; ciò, in conformità all’insegnamento di questa Corte secondo cui “La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perché equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare” (Cass. sez. 3, n. 5787 del 2014; v. Cass., sez. 6-5, n. 30276 del 2017);

– né, in tale sede è ammissibile introdurre una nuova valutazione dei fatti oggetto del giudizio di merito, come sembrano richiedere i ricorrenti, nella parte in cui assumono la discordanza tra i valori di mutuo, quelli OMI/OPI-CCIAAA e quelli accertati dall’Ufficio, con assunto fondamento dell’accertamento esclusivamente sull’elemento indiziario del valore di alcuni mutui in assenza di ulteriori elementi sintomatici del meccanismo evasivo; invero, il giudizio di merito non può essere ulteriormente revisionato in questa sede, tenuto conto del principio di diritto secondo cui: “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.” (così, Cass., sez. 5, n. 32624 del 2019; sez. 6- 5, n. 9097 del 2017;cfr. altresì, sez. 6 -3, n. 8758 del 2017);

– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte:

– rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessive Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2021

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