Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 30041 del 31/12/2020

Cassazione civile sez. I, 31/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 31/12/2020), n.30041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso R.G.N. 10733/2019 proposto da:

C.S., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata

al ricorso, dall’Avvocato Sabrina Rossi, presso il cui studio in

Roma, alla via Golametto n. 2, è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata il

14/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2020 dal Consigliere Dott.ssa Irene Scordamaglia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.S., cittadino del (OMISSIS), ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo, contro la sentenza della Corte di appello di Roma del 14 dicembre 2018, di rigetto dell’appello proposto avverso l’ordinanza del Tribunale di quella stessa città del 9 ottobre 2017, che aveva respinto il ricorso presentato avverso la decisione della Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale.

In particolare, la Corte di appello ha respinto la domanda di riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, rilevando, quanto al profilo della situazione di particolare fragilità dell’appellante, che la documentazione sanitaria prodotta non attestava l’esistenza a suo carico di una patologia (di tipo psichico) rilevante o non diversamente trattabile nel Paese di provenienza, e, quanto al profilo del suo avviato percorso di integrazione socio-lavorativa in Italia, che lo stesso, in assenza di comprovata fragilità personale, non era rilevante e, comunque, non poteva dirsi dimostrato dalla mera frequenza di un corso di formazione professionale e dalla conoscenza della lingua italiana.

2. L’intimato Ministero dell’Interno, ha depositato nota di costituzione in giudizio senza spiegare difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso è denunciata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5. Si deduce che la Corte di appello avrebbe escluso in capo all’istante la sussistenza di una situazione di vulnerabilità riconducendo quanto dedotto “ad una faccenda di tipo prettamente medico-legale” (p. 7 del ricorso), in tal modo facendo “coincidere con una mera valutazione psicologica quello che doveva essere invece un giudizio sulla sussistenza o meno di quei gravi motivi umanitari intesi come fattori ostativi al rimpatrio” (p. 7 del ricorso): giudizio che si sarebbe dovuto compiere effettuando una valutazione comparativa tra la situazione oggettiva del Paese di origine del richiedente, rapportata alla sua specifica condizione personale, rispetto alla vita nel Paese di accoglienza (p. 8 del ricorso). Ci si duole, inoltre, dell’illegittimità della decisione impugnata per aver compiuto “con superficialità” il giudizio sulla integrazione socio-economica del richiedente, valorizzando il mancato svolgimento di attività lavorativa, senza considerare adeguatamente la conoscenza della lingua italiana.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di appello, nel motivare il diniego della protezione umanitaria, ha escluso l’esistenza in capo al richiedente di una situazione di fragilità personale, non limitandosi a considerare quanto attestato dalla documentazione sanitaria relativa alla sua condizione psichica, ma esaminando anche la sua situazione nel Paese di origine nei limiti di quanto allegato: vale a dire la sua condizione di insicurezza determinata dalla militanza nel partito (OMISSIS), ritenuta, tuttavia, dalla Corte non più attuale in quanto il suddetto partito nelle elezioni del 2016 aveva riportato la vittoria contro J. (pag. 4 della sentenza impugnata).

E’ evidente, dunque, che, pur a fronte dell’ulteriore rilievo della Corte censurata secondo il quale, ai fini del riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, anche le allegate condizioni di salute non buone devono essere l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente nel Paese di provenienza, nel ricorso nulla si è dedotto, in modo specifico, in ordine a situazioni di deprivazione dei diritti umani fondamentali subite dal richiedente nel Paese di origine, portando puntuali e circostanziati argomenti atti a lumeggiare l’esistenza di allegazioni sulle dette situazioni, non considerate dalla Corte di appello, che se lo fossero state avrebbero consentito la richiesta valutazione comparativa.

Ne viene che la censura – anche con riferimento alla denunciata superficialità della valutazione del profilo della conseguita integrazione in Italia del richiedente – è generica: con il ricorso per cassazione, infatti, l’impugnante non può limitarsi a dissentire dalle ragioni offerte dal giudice di appello o a riproporre le tesi difensive già articolate nei procedenti gradi e motivatamente disattese, ma ha l’obbligo di articolare, a pena di inammissibilità, una critica effettiva, cioè puntuale ed argomentata, alle singole rationes decidendi che sostengono la decisione, risolvendosi, altrimenti, la doglianza nella proposizione di un “non motivo” (Sez. 1, n. 22478 del 24/09/2018, Rv. 650919; Sez. 3, n. 17330 del 31/08/2015, Rv. 636872).

2. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. Nulla è dovuto per le spese del giudizio, non avendo l’Amministrazione intimata spiegato difese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis dovrà essere versato dal ricorrente se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2020

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